Le associazioni italiane tendono la mano al popolo ucraino. Il Peace Village accoglie chi resta e resiste, simbolo dell’Europa dei popoli
Mercoledì notte abbiamo passato il confine tra la Polonia e l’Ucraina per la terza volta dallo scoppio della guerra. A giugno a Kiev abbiamo messo in piedi un incontro tra le associazioni italiane e ucraine ospiti del sindaco di Kiev. A ottobre a Leopoli abbiamo costruito un incontro tra i sindaci italiani e quelli ucraini, sulla scorta delle parole di Alexander Langer. Ci guida la consapevolezza e la scelta che la pace si costruisce ogni giorno costruendo ponti tra la società civile di tutti i paesi. E, come diceva Giorgio La Pira, i gemellaggi tra le città.
A Kiev abbiamo avuto la fortuna di conoscere Malik, con cui condivideremo questa esperienza. Serhiy Malik è un ex campione di motociclismo famosissimo che ora si occupa di aiuti umanitari. Fa avanti indietro con le aree di guerra, sottoposte a continui bombardamenti e combattimenti. Utilizza i propri mezzi e nella sua officina adatta i mezzi di soccorso agli scenari di guerra.
Saremo a Mikolaev, Bucha, e soprattutto a Brovary, la destinazione del progetto.
Cosa andremo a fare?
Il primo novembre 2022, il sindaco di Kiev, Klycko, che avevamo incontrato nella marcia nonviolenta dell’11 luglio, ha lanciato appello all’Europa per avere a disposizione dei rifugi climatici contro la nuova strategia del nemico.
Poche ore dopo, ci siamo riuniti, con Angelo Moretti, Tetyana Shyshynyak, Marianella Sclavi e Riccardo Bonaccina come coordinamento dei portavoce del Mean. E come altre volte, abbiamo pensato a quale poteva essere la nostra parte. Presi i contatti con la fondazione “Free Spirit of Ukraine”, entriamo in contatto con il Sindaco di Brovary. Da allora è partito un “tam tam” di contatti e generosità contagiose: con il professor Maurizio Sasso dell’Università degli Studi del Sannio abbiamo vagliato ogni proposta possibile di co-generatori, fino a concludere che la soluzione ideale per rispondere in maniera immediata e sostenibile erano le stufe fabbricate a Paolisi, Benevento, e donate dall’impresa Pasqualicchio, gli infissi donati e prodotti appositamente a Torino dall’impresa Gallina, i portoni regalati dall’azienda Ramaccioni di Macerata.
Ma non basta, servono fondi, ed allora il Movimento Start Up Civica “Base Italia” ha avviato una raccolta fondi che ha acquistato un generatore e a sostenere le spesse di di trasporto, a loro si aggiunge anche l’impegno della Fondazione Progetto Arca, della rete Sale della Terra e della Fondazione Piero Bongianino. Vita Non Profit segue e accompagna con Riccardo Bonacina ogni azione realizzata e deciderà di inviare la giornalista Anna Spena nella spedizione, Marianella Sclavi ed Antonella Agnoli verificano tutti gli accorgimenti sociali, culturali ed ambientali del progetto.
Nel frattempo, gli attivisti del Mean raccolgono oltre venti tremila euro di offerte in poco tempo. Tutto è pronto, si parte, quattro tir sono in viaggio dal 31 gennaio da Milano e da Verona, e portano anche trenta bancali di indumenti, viveri e coperte raccolti in tutta Italia. Il Peace Village è inoltre progettato per essere facilmente “rielaborato”, oggi è un rifugio sociale per l’inverno, ma domani può diventare una libreria di comunità, un centro polifunzionale, un centro per la memoria e la riconciliazione.
Brovary è una città, media come me, di 97 mila abitanti, 20 chilometri a est di Kiev. Come in tutte le città ucraine la popolazione civile sta vivendo nel terrore di non riuscire a superare questo inverno, a causa dei ripetuti attacchi alle centrali elettriche che bloccano riscaldamenti ed acqua calda e di missili impazziti ed intermittenti che non hanno risparmiato condomini e parchi giochi.
Come tutto il popolo ucraino che ho incontrato e ascoltato nelle mie precedenti missioni con il Mean, Movimento Europeo di Azione Nonviolenta, di cui fa parte Base Italia, ho saputo da alcuni amici lì sul posto che anche la gente di Brovary ha deciso di resistere e di restare in città. Gli abitanti si rifugiano come possono, nonostante il nemico alle porte cerchi in ogni modo di piegare questa loro volontà di non abbandonare la loro terra. L’esercito russo ha un chiaro obiettivo: aggredire non tanto e non solo l’esercito ucraino che si contrappone all’invasione, ma soprattutto la vita quotidiana degli ucraini, una vita che si avviava ad essere europea e mediamente comoda, dopo tanti decenni di grande povertà e sofferenze.
Ecco, l’esatto opposto dell’italiano in vestaglia e pantofole che confonde la pace con “l’essere lanciato in pace”. Infastidito dalla resistenza ucraina perché dà per scontato il suo benessere e ancora prima la libertà e la democrazia e crede che possa “infastidire” i suoi status. Che finge di non sapere che in tutti i conflitti, il primo che spara deve cessare il fuoco e non capisce che la resistenza del popolo è a difesa dell’Europa, della libertà e della democrazia. Che vive con più “fastidio” il presidente ucraino a Sanremo che un anno di clamorose bugie nei talk show (a nostre spese).
La politica che non sa più educare va a caccia di voti e sposa le “parole finte” foraggiate dalle dittature. Le “burocrazie del sociale” che si schierano per fare cartello, tutti facciamo appelli, ma il 24 la guerra compirà un anno. Putin aggredisce il popolo ucraino non solo attraverso i suoi soldati e le sue armi, ma colpendo obiettivi civili. Non abbiamo una “contabilità” di chi è morto di freddo per il suo disegno criminale e imperialista.
Il 3 febbraio arriveranno a Brovary insieme alla nostra piccola delegazione MEAN le strutture del primo “Peace Village”: una struttura coperta e autoriscaldata progettata dall’architetto Mario Cucinella che ha prestato gratuitamente la sua opera di ingegno e ha chiamato a raccolta una squadra di imprese amiche che hanno donato tutti i materiali utili alla realizzazione, in particolare la Scaffsystem di Ostuni e la Mannigroup di Verona.
Il Pv è un piccolo progetto per garantire, a chi ha deciso di restare nonostante tutto, uno spazio di ResiStanza, un luogo di socializzazione per bambini e famiglie che vivono in quella città e che possono trovare tra quelle pareti innovative di metallo, coibentate e ben isolate dal freddo, un ambiente di vita confortevole per trascorrere il terribile febbraio 2023. Sono tre strutture da circa 100 metri quadrati ognuna e sono disposte in modo tale da disegnare un simbolo di pace, al centro hanno uno spazio collettivo, una piccola agorà domestica per accendere un fuoco collettivo, per vivere un focolare.
Chi ce lo fa fare?
La domanda torna: io che ci faccio? A cosa servo? Bisogna rappresentare tutte le donne e gli uomini medi di Europa che vorrebbero essere lì, stringere tra le mani gli ucraini infreddoliti e dire «noi ci siamo durante questo inverno» guardandoli negli occhi, «non siamo solo l’Europa che invia le armi ed i viveri, indumenti e soldi, non siamo solo l’Europa dei beni materiali, siamo l’Europa dei popoli, e la vostra resistenza e desiderio di restare ci interessa». Vado per dire che anche noi non sappiamo come uscirne da questa guerra, ma che questo non significa che non vogliamo agire per la pace.
Andare a Brovary, durante questo inverno, penso che sia l’unica cosa da fare per non essere un semplice “tifosi” della pace. Ogni sguardo ed abbraccio che si fa progetto può avere la forza di togliere veleno alla guerra ed al suo rancore, ai desideri di vendetta, al senso di solitudine e di abbandono, al sentimento di ingiustizia e di impunità.
Anche quando non si riesce a fermare la guerra, bisogna fare di tutto per costruire la pace. Abbassare le armi e ritirare le truppe, come in Iran contro la violenza degli Ayatollah, come nelle 59 guerre in giro per il mondo. Vedere l’orrore e la distruzione della guerra con nel cuore le parole di Alex Langer, «non siate tristi, continuate in ciò che era giusto» aiuta a non arrendersi all’odio e alla guerra e neanche all’indignazione in pantofole.
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