C’è un momento in cui anche il gesto più eclatante diventa scontato? C’è un’inflazione del gesto sensazionale? Forse sì e quel momento è arrivato per l’attivismo climatico, o almeno per quel tipo di attivismo climatico portato avanti da movimenti come Ultima generazione, i cui membri tedeschi hanno bloccato l’aeroporto di Francoforte per indurre il governo tedesco a firmare un accordo globale per la sospensione dell’uso e della produzione di petrolio, gas e carbone entro il 2030.

Chiariamo subito un punto: nella sostanza, a parere di chi scrive, gli attivisti hanno ragione. Il petrolio uccide, come la nicotina e altri inquinanti di cui ci siamo liberati, o ci stiamo liberando, pur a fatica. Il petrolio uccide anche di più, perché lo fa su larga scala e nel tempo. Se continuiamo a produrre emissioni, molte persone che vivono adesso vivranno di meno e molte persone che nasceranno nel futuro vivranno peggio. Alcune non nasceranno.

Come i fertilizzanti più nocivi, il petrolio uccide ma è molto redditizio per chi lo produce e costa meno di altre fonti di energia per chi lo consuma. Volare, andare in macchina, comprare prodotti a buon mercato è ancora la maniera migliore per spostarsi e vivere una vita confortevole. Nessuno o pochissimi in Europa o negli Stati Uniti hanno veramente l’interesse a spendere di più andando a piedi, in bicicletta, facendo vacanze vicino a casa o comprando prodotti a chilometro zero più costosi. Le aziende basate sui combustibili fossili non hanno interesse a cambiare o sospendere le loro attività.

disobbedienza e consapevolezza

Gli attivisti hanno ragione a volere scuotere l’opinione pubblica. Il ragionamento è semplice: vogliamo farvi capire che il petrolio uccide e che dovete smettere di usarlo e forse vi converrebbe anche. Per farvelo capire in maniera immediata blocchiamo le vostre attività più comuni (andare in vacanza, andare in macchina) o sabotiamo quelle che hanno più significato (concerti, mostre d’arte e così via).

In molti casi questa strategia ha funzionato. Le marce dei neri, la decisione di Rosa Parks di sedersi dove non doveva e altri episodi del genere spesso hanno smosso le opinioni pubbliche creando il consenso necessario a produrre leggi migliori o ad abolire leggi ingiuste (lo spiega benissimo Federico Zuolo, nel suo recente Disobbedire. Se, come, quando, Laterza, 2024).

Nei casi passati e in alcuni casi presenti (si pensi alla disobbedienza civile di Marco Cappato e altri sul fine vita), la dinamica causale è semplice. Certe leggi sono ingiuste o violano i diritti all’autodeterminazione di minoranze consapevoli. La disobbedienza civile, che spesso prende le forme di una violazione della legge ingiusta, induce i cittadini a riflettere sul contenuto e le conseguenze della legge violata, attivando così una discussione pubblica che porterà all’abolizione della legge.

Anche quando la disobbedienza e la protesta hanno caratteri di massa e coinvolgono obiettivi larghi (si pensi alle proteste operaie degli anni passati o ai grandi movimenti a difesa dei diritti civili), la dinamica è la medesima. La protesta attira l’attenzione di maggioranze o di èlite disattente sulle condizioni di chi protesta, innescando una presa di consapevolezza che, sperabilmente, porta a nuove leggi o nuovi assetti (nuovi contratti di lavoro, una differente politica economica).

una questione di consenso

Nel caso del cambiamento climatico le cose sono diverse, però. Perché qualsiasi provvedimento sia efficace, non basta promulgare la legge o ottenere la decisione dei governi. Serve anche che la legge sia rispettata dalla maggior parte dei cittadini. In regimi non autoritari, non ci sono sanzioni e polizie che bastano se la maggioranza di cittadini non vede il senso di una legge. Veramente possiamo sbattere in cella chi usa la macchina o prende l’aereo?

La legge, gli accordi fra stati, vengono dopo il cambiamento di mentalità: servono a convogliare e coordinare le volontà di tutti noi di farla finita col petrolio e altri combustibili fossili. Ma non tutti sono convinti di questo, lo sappiamo. Le resistenze alla transizione ecologica sono enormi. È in atto una battaglia comunicativa dove le teorie scientifiche più accreditate sono presentate come favole ideologiche e gli ambientalisti più moderati descritti come pericolosi estremisti.

In questo contesto, l’ennesimo gesto eclatante ha due esiti, entrambi infausti: l’irritazione e l’assuefazione. Ultima generazione finisce per somigliare sempre più a Talia Concept, in La grande bellezza. Dà la sua testata agli archi dell’acquedotto, straparla di vibrazioni, ma alla fin fine cede allo scetticismo di Jep Gambardella, che le dice, secco: «Non sprechi energie. Ci sono cose più importanti che provocare me».

Ultima generazione sta sprecando le sue energie. Ci sono cose più importanti che provocare chi va in vacanza. Ci sarebbe da sostenere quella parte delle élite europee che militano per continuare, per quanto con difficoltà, il Green Deal.

Ci sarebbe da capire come andranno le contrattazioni alla Cop29 di Baku e attrezzarsi per influenzarle. Cose così, meno divertenti, più faticose, ma forse più efficaci dell’ennesima provocazione.

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