Lo scontro tv ha messo in luce le debolezze di entrambi. Se gli occidentali non credono più nella loro democrazia, come possono insegnarla agli altri? La polarizzazione e l’antipolitica mostrano la corda e le conseguenze sono nefaste. I partiti europei – sia tradizionali che della destra – dovrebbero fare una seria riflessione
Improvvisamente gli Stati Uniti si scoprono fragili: il dibattito presidenziale tra Joe Biden e Donald Trump ha messo in luce le debolezze di entrambi, tra stato confusionale del primo e idiosincrasia per le regole del secondo. Se i candidati restano questi c’è da aspettarsi un alto tasso di astensionismo, come già si è visto in Europa sia al voto europeo che in altre consultazioni nazionali.
In Francia la divaricazione tra sinistra, in cui la fa da padrone la France Insoumise accusata di antisemitismo, e il Rassemblement National lepenista, sta tenendo lontano dalle urne molti cittadini. Cosa avviene alle democrazie occidentali? Quale tipo di crisi abbiamo di fronte? La polarizzazione subita da tutti e accettata da molti ci ha portato dove siamo. L’elettorato è stato infiammato, allarmato, posto davanti a false semplificazioni o ad alternative impossibili, creando una sindrome di paure ed incertezze che hanno amplificato l’astensionismo.
La formula bipolare mostra così il suo limite: il dialogo politico ha perso popolarità, anzi viene considerato una specie di tradimento. Finché a decidere erano gli elettori indipendenti (come si dice oltreoceano) o centristi (come si dice in Europa), il modello poteva reggere. Ma appena i leader hanno spinto sull’acceleratore, inventando ricette sempre più divaricatrici, l’intero sistema si è inceppato. Troppa polarizzazione porta all’esclusione dell’altro, a soluzioni istituzionali che non tengono più conto dell’interesse generale ma solo a quello del polo vittorioso, al quale fa da pendant il rancore covato dagli sconfitti che proveranno a delegittimare la vittoria e a vendicarsi.
Il tifo
Tutto ciò aumenta esponenzialmente la diffidenza dei cittadini nell’intero metodo e alla fine nella democrazia stessa. Sembra che a votare siano solo i “tifosi” dell’una o dell’altra parte, che il voto sia sostanzialmente riservato a loro e inutile per gli altri. Chi perde accusa spesso il vincitore di aver truffato in qualche modo, raggirando l’elettorato. Non si sopporta più il fallimento in uno scontro che viene presentato come esistenziale. Lo stesso linguaggio della politica è mutato, usando toni sempre più accesi e faziosi, quasi militari, alimentando contrapposizioni sovente inventate.
La democrazia bipolare e polarizzata dei tifosi si attorciglia su sé stessa e rischia di soffocarsi, fino a morire. Si è tanto criticato il centrismo di ogni risma come noioso, pedante e lontano dal popolo, ma ora ci si trova davanti alle conseguenze ultime dell’aver preferito un bipolarismo emozionale, che è diventato quello dell’odio dell’avversario.
Nemmeno in Gran Bretagna, dove esisteva una vera tradizione bipolare originaria, la democrazia funziona più tanto bene al punto di aver fatto compiere ai britannici una scelta contro i propri interessi come la Brexit, ed aver cosparso il paese di spinte centrifughe come in Scozia, Ulster e altrove. Basta ricordare in che condizioni stava Westminster -culla della democrazia- in quei mesi e della popolarità del suo speaker John Bercow che gridava “order, order!”. Faceva sorridere ma era un segnale grave. La cosa più grave è che la crisi democratica occidentale diviene un’opportunità per chi nella democrazia non ha mai creduto, come i poteri autoritari o regimi simili.
La soddisfazione di Vladimir Putin per la crisi del liberal-democrazie è arcinota. D’altronde se gli occidentali non pensano più che andare a votare sia importante, cosa devono pensare gli altri popoli? Se la democrazia sembra inutile a chi l’ha praticata e insegnata per decenni, perché l’Occidente dovrebbe continuare ad essere un esempio? È ciò che si chiedono africani, asiatici e perfino i latinoamericani. Non c’è solo l’utilizzo del doppio standard ad allontanare l’Occidente dal resto del mondo: c’è anche la mancanza di fiducia nella democrazia, cioè nel dialogo e nel compromesso, che cresce con l’antipolitica e si contagia a tutti. Il declino occidentale inizia a casa nostra e soltanto in un secondo momento altri se ne approfittano.
Il disinteresse
Abbiamo visto come il ritiro dall’Afghanistan e la riluttanza sulla Siria (uscita dall’agenda internazionale), assieme all’infausto intervento in Libia, abbiano dato alla Russia l’idea che poteva spingersi oltre in Ucraina, scatenando una grande guerra. Si tratta di scelte politiche prese sull’onda della contrapposizione tra leader senza un reale dibattito nazionale. La mancanza di fiducia e il disinteresse nella democrazia provocherà altri danni e ulteriori disaffezioni.
Nell’attuale fase di scelte della UE i partiti della destra populista ed euroscettica dovrebbero fare una riflessione: è davvero saggio cavalcare le emozioni antipolitiche scegliendo la contrapposizione come cifra della politica con il rischio di fare saltare tutto?
Tanta antipolitica è assolutamente autodistruttiva. Anche i partiti tradizionali europei devono porsi serie domande: la mancanza di coraggio nel dialogo e il ritrarsi nel personalismo dei leader, può essere proposto come unica soluzione?
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