Il dibattito presidenziale tra Joe Biden e Donald Trump è andato nel modo in cui alcuni dem temevano. Anzi, forse è stata l’opzione peggiore a prevalere. Il titolo «ecco perché è una cattiva notizia per Biden», forse un po’ stereotipato, usato per molti scivoloni dell’attuale presidente su diverse testate statunitensi nei mesi passati, stavolta calza alla perfezione. Certamente il dibattito è apparso molto diverso da quelli visti finora: senza pubblico in sala, senza possibilità di controreplica durante l’intervento dell’avversario ma soprattutto senza la possibilità di fare fact-checking da parte dei conduttori della Cnn Jake Tapper e Dana Bash.

Tutte regole che avrebbero dovuto bilanciare il confronto e che invece sono stati assi nella manica di Trump che è apparso controllato, vitale e persino presidenziale. Certo, ha detto la consueta marea di imprecisioni e aperte menzogne ma tutto è finito in ombra rispetto alla pessima performance del presidente in carica.

Si parte da un elemento: il tono di voce di Biden è apparso tremante e poco chiaro, una sensazione che è culminata con un doppio bisticcio, prima sull’immigrazione dove a un certo punto la difesa dell’inquilino della Casa Bianca contro le accuse del suo predecessore di aver fatto un disastro dal punto di vista del controllo delle frontiere si è infilata in una serie di espressioni con poco senso e Trump ha potuto subito puntare il dito dicendo «non capisco quello che ha detto, penso non lo sappia nemmeno lui».

Non solo: anche sul tema del post-Covid Biden ha concluso il suo intervento dicendo «abbiamo battuto il Medicare», un bizzarro riferimento al programma federale pubblico di sanità per gli over 65. Da parte del presidente c’è stato un punto di rivalsa quando ha accusato il presidente di essere un «criminale condannato» che ha «fatto sesso con una pornostar» mentre «sua moglie era incinta», con evidente riferimento al processo newyorchese che lo ha visto giudicato colpevole su trentaquattro capi d’imputazione relativi al pagamento di 130mila dollari a Stormy Daniels per silenziare la loro relazione extraconiugale durante la campagna elettorale del 2016.

Il tycoon ha prontamente risposto dicendo che «il figlio Hunter è un condannato», rigirando la frittata sulla recente condanna di Hunter Biden da parte di un tribunale del Delaware per aver acquistato un’arma mentre era tossicodipendente. Non solo: ha rilanciato dicendo che presto anche il presidente «potrebbe essere un condannato».

Anche nei momenti che avrebbero dovuto essere più favorevoli al candidato dem, come quelli relativi al tema dell’aborto e alla difesa della democrazia il 6 gennaio 2021, sono andati non splendidamente anche agli occhi di alcuni strateghi dem. Lo stesso Steve Schmidt del Lincoln Project, think tank di ex repubblicani ora vicini al mondo progressista, ha affermato che «Biden ha perso ieri sera e non c’è modo di tornare indietro».

E in effetti si fa fatica a trovare qualcosa di positivo in una performance deludente e in quel caso bisogna andare a fare ciò che non è stato fatto dai moderatori, ovverosia fare un fact-checking alle affermazioni di Trump secondo cui sotto il suo mandato il confine era «perfettamente sotto controllo» oppure la smentita del suo «aver fatto sesso con una pornostar».

E quindi è molto condivisibile il giudizio di Andrew Yang, imprenditore del tech candidato alle primarie dem nel 2020: «Ho fatto sette dibattiti con Biden e oggi appare proprio un’altra persona». Da parte del team trumpiano, invece, si registra una comprensibile gioia, con eccessi come quello del consulente sull’immigrazione Stephen Miller che ha detto «Trump ha dato una lezione di comunicazione che verrà studiata per decenni». Giudizio più tiepido, ma comunque tranchant è quello dell’ex speechwriter di Ronald Reagan Peggy Noonan che ha parlato di «rotta» e di «disastro senza attenuanti» per il presidente in carica.

Tanto che anche altri punti su cui Biden è più forte, come la politica estera, sono stati messi in discussione facilmente da Trump anche con affermazioni totalmente senza fondamento, come quella che l’invasione dell’Ucraina e l’attacco di Hamas del 7 ottobre siano avvenuti solo perché «ci sei tu alla Casa Bianca».

«Una partenza lenta»

A questo punto c’è il panico tra i dem, che pensano l’impensabile anche apertamente, con persino Kamala Harris che deve dire che il suo capo ha fatto una «partenza lenta». Anche lo spin delle prime ore da parte della campagna di Biden di affermare che il presidente «ha proposto una visione positiva dell’America» non regge più e il vantaggio delle ultime settimane in termini di fondi per la campagna elettorale è andato già in fumo.

Si pensa addirittura a una “brokered convention”, una forma di convention che non si vedeva dagli anni Venti del Novecento, con i maggiorenti del partito che si riuniscono per scegliere un candidato, che a quel punto potrebbe essere un’outsider completa come la governatrice del Michigan Gretchen Whitmer o la segretaria al Commercio Gina Raimondo, per capitalizzare uno dei pochi punti dove Biden ha tenuto, quello relativo all’aborto e al fatto che grazie a tre giudici nominati da Trump è stata cancellata la Roe v. Wade che stabiliva il diritto federale all’interruzione di gravidanza.

Oggi quindi ritorna alla mente il titolo di The Atlantic di qualche settimana fa: “Ruth Bader Biden”, riferendosi alla storica giudice progressista della Corte Suprema Ruth Bader Ginsburg morta durante la presidenza di Donald Trump che per anni si rifiutò di cedere il passo quando alla Casa Bianca c’era Barack Obama.

La decisione però spetta proprio a Biden. Se come afferma da mesi è in gioco la democrazia, una presidenza Trump con maggioranza repubblicana a Camera e Senato da oggi è un’opzione molto più concreta di ieri se l’inquilino della Casa Bianca non si farà da parte.

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