Immaginate la scena. David di Donatello, Luciana Littizzetto o Maurizio Crozza conducono la serata. Uno dei due fa una battuta a un’attrice, compagna di un attore presente in sala. Una battuta su un problema di varia natura, un’acne deturpante, un lutto recente, un licenziamento, quello che vi pare. Lei abbozza.

Quell’attore - che so, Alessandro Haber - si alza, attraversa la scena, ha quei 10 secondi per riflettere su quello che sta facendo e così, senza tanti complimenti, sferra un pugno in faccia a Maurizio Crozza. O a Luciana Littizzetto. E il pubblico, gli organizzatori, tutti muti, immobili, come se niente fosse. Ma non finisce qui. Quell’attore dopo pochi minuti è di nuovo sul palco a ritirare un premio - il premio più importante della sua carriera - e a fare il suo discorsetto strappalacrime, mentre Luciana Littizzetto si passa il ghiaccio sull’occhio e gli organizzatori dietro le quinte: «Beh dai pure te però Luciana te le cerchi eh!».

Nel frattempo Haber non si giustifica né si scusa con la conduttrice ma dice al pubblico adorante cose da investito dal Signore, tipo: «Richard Williams era un difensore accanito della SUA famiglia, in questo momento della mia vita sono sopraffatto da quello che Dio mi chiede di fare su questa terra. Sono stato chiamato nella mia vita ad amare le persone, a proteggere le persone ed essere un fiume per la mia gente. Ho dovuto proteggere Jada. Io voglio essere un ambasciatore di questo tipo di amore, cura, attenzione».

Cioè, ha appena dato un pugno a un comico in mondovisione perché la battuta su sua moglie era cattiva, e parla da predicatore dell’amore, da protettore del genere femminile che evidentemente lui ritiene così fragile indifeso da aver bisogno di quella sua mano che oggi po’ esse ferro e domani piuma.

Poi, siccome non può fare proprio finta di niente, aggiunge: «Quando sei nel momento più alto, il diavolo viene a prenderti» e «L'amore ti farà fare cose pazze», scusandosi con i colleghi (non con Chris Rock). Insomma, quel pugno non è colpa sua che è un truzzo incapace di gestire la rabbia, è colpa del diavolo. E in effetti, vista la maturità emotiva di Will che a quanto pare è quella di un bambino di 8 anni, «mannaggia al diavoletto che ci ha fatto litigar» è un buon argomento.

La legittimazione

Lo è un po’ meno «l’amore fa fare cose folli», ovvero lo scomodare l’amore per costruirsi alibi e attenuante per un gesto violento. Anche perché chi si occupa di violenza di genere lo sa (ma pure chi non se ne occupa e vive su questo mondo), il legittimare la violenza del maschio che deve riparare a qualche torto subito passa sempre attraverso la storiella della follia, della pazzia che obnubila, che “poverino, non ci ha visto più”.

Non poteva rispondere, replicare, zittire il comico, no, doveva picchiarlo.

Eppure parliamo di un attore di 53 anni a cui non sarebbero mancati gli strumenti per dare quel buon esempio da unto del Signore che dice di essere e spiegare in mondovisione che l’alopecia non è un tumore e sua moglie Jada sopravviverà, ma che sta affrontando un profondo disagio psicologico e che quel disagio avrebbe meritato maggiore delicatezza.

Poteva dire che la satira è sempre legittima ma che non si dovrebbe perdere l’empatia neppure quando si è pagati per infilzare il prossimo con battute feroci, che la battuta non era un granché, che Chris Rock era un cretino, perfino. Lo avrebbe umiliato con classe, lasciandolo tramortito. Insegnando qualcosa a milioni di spettatori.

Ha perso una buona occasione Will Smith e ne ha colta una orrenda per mostrare al mondo che a una battuta sgradevole o indelicata si risponde con un pugno, menando le mani, continuando pure da seduto a urlare come un Alex Belli qualunque che «SUA moglie» «la SUA famiglia» blabla, mentre Jada Pinkett taceva nel ruolo della donzella il cui onore veniva difeso dal maschio alfa.

O forse - lo spero - si vergognava e basta. Il tutto, e qui viene da ridere, accadeva dopo il minuto di silenzio per la pace in Ucraina. E dopo la sfilza di premi al politicamente corretto che a un certo punto non si capiva più se erano gli Oscar o Sanremo.

«Beh ma la battuta era pessima, la moglie è malata, ci sta che uno ti dia uno schiaffo» è l’argomento più in voga tra la corrente di quelli che «no alla violenza ma solo se non ti provocano». Una corrente molto frequentata anche dalle donne, leggo tra i commenti ai miei post, inconsapevolmente rapite dall’idea del maschio così erotico quando mena per sancire la sua superiorità su un altro maschio, così figo quando marca il territorio della fragilità femminile a suon di schiaffi, visto che la donna, povera cucciola, è indifesa e così irrimediabilmente incapace di difendersi da sola.

L’esperienza

Qualche mese fa ho scritto un podcast su quanto io abbia sofferto per una dipendenza affettiva, un libro in cui raccontavo che tra gli effetti psicosomatici della mia sofferenza ci fu la perdita dei capelli. Alopecia, defluvium capillorum, chiamatela come vi pare.

Un mio collega ci scrisse su una recensione sbeffeggiandomi, scrivendo che visto che non ero stata picchiata potevo pure lagnarmi un po’ meno.

Gli risposi che era un cretino perché ignorava cosa fosse la sofferenza psicologica e ne ho approfittato per ribadire il concetto.

Il mio fidanzato, ai tempi, ha scelto saggiamente di non aspettare il giornalista sotto casa con una mazza chiodata.

Will Smith, right, hits presenter Chris Rock on stage while presenting the award for best documentary feature at the Oscars on Sunday, March 27, 2022, at the Dolby Theatre in Los Angeles. (AP Photo/Chris Pizzello)

A dire il vero, si è limitato anche lui a «è un cretino» tra le mura di casa, perché è una persona civile e non violenta. E perché io, in ogni caso, non gli avrei permesso di arrogarsi il diritto di difendere la mia fragilità con un gesto autoritario e violento, né tantomeno di auto-assolversi con le frasette diseducative della serie «l’amore fa fare cose folli», «tutti reggerebbero così».

Questi sono i temi di chi ha interiorizzato quel registro, di chi legittima la violenza entro confini che hanno a che fare con la retorica della famiglia intoccabile perché SUA, di chi pensa che in nome dell’amore tutto vada perdonato. E infine, fatemelo dire, bisognerebbe smetterla di parlare in modo paternalistico e retorico anche della malattia.

Lasciate che sia il malato a decidere i limiti del disagio che prova rispetto a una battuta. Qui abbiamo deciso arbitrariamente che c’era una moglie di, malata, debole, che andava protetta a suon di pugni.

Io ho visto un’attrice con una bella testa rasata che rispondeva a una battuta indelicata col silenzio, seduta accanto a un maschio convinto di dover pisciare sul SUO territorio, di dover riparare all’offesa con la violenza, di poter poi ritirare un premio come se niente fosse. Cosa avvenuta, per giunta, perché le statuine erano quelle sedute in platea, mica quelle che davano agli attori.

E ritorno all’inizio: immaginate se l’attore avesse picchiato Luciana Littizzetto.

Ah no, giusto, se avesse picchiato lei gli avrebbero tolto la statuina. Perché una donna non si tocca. Al massimo si lascia lì, muta sulla sedia e si mena al posto suo.

Ah, quanti tasselli vi mancano per completare il mosaico del maschilismo paternalistico.

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