«Il multiverso è un concetto di cui sappiamo spaventosamente poco». La frase di Doctor Strange, lo stregone Marvel interpretato da Benedict Cumberbatch, è presto diventata una litania contagiosa, ascesa al grado di meme per strampalate coincidenze. Ma il senso è chiaro: se si prende in considerazione l’idea dell’esistenza di altri universi paralleli oltre al nostro, tutto è possibile.

Ed è il fascino di questa scienza di confine applicata al fumetto e alla cultura pop, che ormai dagli anni Settanta è croce e delizia dei supereroi occidentali e non solo: l’idea che esistano altre versioni, altri mondi, in cui gli eventi hanno preso pieghe diverse, cambiando il risultato, incuriosisce.

Il suo potenziale era stato ampiamente collaudato dalle serie televisive con Fringe, quando alla fine della prima stagione l’agente dell’Fbi Olivia Dunham viene trasportata in una New York parallela dove le due torri gemelle dominano lo skyline.

Il “ragnoverso”

Ebbene, il multiverso fa parte da decenni della narrazione della Marvel. Una mossa che permette di lavorare su più fronti con lo stesso personaggio. Spider-Man è un grande esempio di questa strategia, dal Ragnoverso in poi tutte le possibili versioni dell’arrampicamuri hanno trovato spazio anche sul grande schermo, con capolavori d’animazione come Spider-Man: Un nuovo universo e Across the Spider-Verse. Gwen Stacy, Miles Morales, Miguel O’Hara, sono solo alcune delle persone che hanno i poteri del ragno oltre a Peter Parker. Ma ad aver catturato l’attenzione del pubblico, per stile, è stato Spider-Punk, personaggio ideato nel 2015 da Dan Slott e Olivier Coipel.

Cresta, giacca di jeans, scarpe converse e una chitarra elettrica sulla schiena: Hobie Brown, giovane senzatetto afroamericano, ha trovato nei poteri radioattivi del ragno la chiave di volta per una rivoluzione di sistema. Le sue storie (Anarchy in the U.S.A. e Corsa al Riarmo di Justin Mason e Cody Ziglar) sono una commistione interessante tra letteratura leggera e saggio sull’anarchia: la versione “in fondo a sinistra” di un personaggio (quello di Spider-Man) già di per sé legato a una narrazione dal basso: si dice – anche giustamente – che Spider-Man, del Queens, sia l’unico supereroe ad avere anche problemi non super, come l’affitto da pagare a fine mese.

Tutto nasce con la salita al potere di Norman Osborn, il ricco imprenditore che diventa presidente degli Stati Uniti, costruendo una dittatura di stampo fascista che la Spider-Band (il gruppo musicale di Spider-Punk che vede militare anche l’altra “Iron-Man” Riot Heart, cioè Riri Williams, Capitan Anarchy, Karl Morningdew, Mz. Marvel, Kamala Khan, e Daredevil, Mattea Murdock) ha prontamente cominciato a combattere. L’obiettivo di Osborn? «Rendere l’America di nuovo grande», riprendendo il tormentone trumpista del Maga (Make America Great Again). E alla Spider-Band, il populismo fascistoide, non piace.

Spider-Punk: Corsa al riarmo

Norman Osborn viene quindi ucciso dal gruppo di Hobart Brown (a suon di “chitarrate”), e ora il Paese è senza un governo. Ed è piena anarchia, mentre il gruppo cerca di sviluppare la propria idea di comunità grazie all’aiuto delle Black Panther del Wakanda, quello stato Marvel fittizio al confine tra Kenya, Etiopia e Somalia.

In Corsa al Riarmo, una nuova minaccia cerca di prendere il potere vacante della Casa Bianca. E questa avventura, uscita fino a maggio 2024 e ora tradotta da Panini Comics, è certamente una lettura caciarona e senza impegno, ma che nei suoi dialoghi trova una profonda vitalità. È un dibattito politico continuo, senza esclusione di colpi e con scene d’azione al cardiopalma, culminando in scontri high tech pirotecnici e chiassosi; tutto ciò senza però tradire sé stessa di fronte al tema principale: una volta fatta la rivoluzione, come si costruisce una nuova società?

Mica facile rispondere, e certo Spider-Punk non è un manuale di politologia né un manifesto di Kropotkin, ma non per questo la sua idea di comunità autosufficienti non stuzzica l’immaginazione su altre forme di governo più localizzate come potrebbero essere il municipalismo libertario, o la confederazione democratica curda del Rojava, ad esempio.

Forse questo racconto, a un lettore poco incline al fantasy politico, suona come una musica un po’ troppo farcita di retorica. Ma sarebbe irrispettoso, così, derubricarne la portata: quando un fumetto affronta di petto il tema dell’anarchismo in contrapposizione all’autoritarismo, riporta al centro del discorso il concetto di stato democratico e di antifascismo.

Due valori dati per scontati, ma che bisogna affermare ogni giorno, ora che le democrazie hanno iniziato a lasciar spazio a politiche illiberali. Chissà in un universo parallelo. Ecco, questo potrebbe essere un esercizio interessante, una bella palestra di democrazia.

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