Qual è la domanda che più di tutte fareste, se oggi vi dessero la possibilità di conoscere cosa vi accadrà? Forse alcuni di voi hanno in mente molte domande. Altri invece preferirebbero non farne nessuna
Facciamo un gioco, e per farlo partiamo da un libro.
Nell’introduzione a Il lavoro di una vita (Einaudi) Rachel Cusk dice che se da giovane avesse avuto la possibilità di scoprire cosa le riservava il futuro, la domanda che avrebbe fatto sarebbe stata: avrò figli? «Più dell’amore, più del lavoro, più di quanto sarei vissuta o quanto sarei stata felice, era quello il mistero che mi premeva chiarire. Tutto il resto riuscivo a immaginarlo; mettere al mondo un figlio no».
Vi propongo dunque il gioco: qual è la domanda che più di tutte fareste, se oggi vi dessero la possibilità di conoscere cosa vi accadrà? Forse alcuni di voi hanno in mente molte domande. Altri invece preferirebbero non farne nessuna. Penso sia utile però chiederci se c’è una domanda (una e una sola, la più importante) che faremmo. Magari è quella che avremmo più paura di fare, ma esiste. È utile conoscerla perché rivela cose di noi. E come spesso accade in questa rubrica, le “cose” sono emozioni con una loro economia umanistica.
Costo e valore
In economia l’informazione ha un costo e un valore (va be’, in economia più o meno tutto ha un costo e un valore). Il costo ha a che fare con quello che impieghiamo per acquisire l’informazione: il tempo, lo sforzo, talvolta i soldi, ma anche il caos. Sì, parlo del caos che deriva dallo scombussolamento provocato da un’informazione nuova quando entra in un sistema, per esempio il sistema della nostra fragile mente. Il caos costa.
Il valore di un’informazione risiede invece nella possibilità di ridurre l’incertezza e di migliorare il processo decisionale. Lo scenario ipotetico di Rachel Cusk contiene anzitutto un classico dilemma economico: il valore della conoscenza futura, da un lato, e il costo di quella conoscenza in termini di alterazione del comportamento e degli esiti, dall’altro.
Se Cusk avesse potuto conoscere il proprio futuro di madre, avrebbe eliminato una variabile significativa dall’equazione della sua vita, arrivando teoricamente a scelte migliori. Sapere se si avranno figli oppure no potrebbe influenzare la progettazione di una carriera, la pianificazione finanziaria e le relazioni amorose.
La sfida “economica”
Però questa visione deterministica ignora la natura dinamica della vita: se qualcuno conosce il proprio futuro, il suo comportamento può cambiare in modi che possono alterare proprio quel futuro. Se per esempio una donna non volesse avere figli, ma magicamente scoprisse che un giorno li avrà, potrebbe prendere decisioni drastiche intorno alle proprie capacità riproduttive, per cercare di ostacolare il destino.
Di solito riteniamo che un’informazione è tanto più preziosa quanto più l’utilità che deriva dal possederla supera i costi materiali, morali e psicologici associati al fatto di averla ottenuta e elaborata.
Nel gioco di cui sopra, la sfida “economica” consiste dunque nell’identificare quale domanda produce il maggior rendimento, diciamo così, in termini di conoscenza esistenziale.
La domanda più preziosa, quell’unica domanda che possiamo fare nel gioco, dovrebbe essere quella che porta alle intuizioni più attuabili nel concreto e che massimizza l’impatto positivo sui processi decisionali della vita.
La domanda più importante
Oddio, ora che ci penso è difficilissimo individuarla, questa domanda. E forse la prospettiva di trovarmi di fronte all’ipotesi di conoscere una verità significativa sul mio futuro (una e una sola) mi provoca angoscia proprio a causa di questa difficoltà. Al punto che il mio cervello, pensandoci, si svuota completamente.
Potrei passare anni a cercar di capire qual è la domanda più importante per la mia vita e eventualmente per quella di altre persone. E forse, in realtà, un po’ lo faccio: forse scrivere romanzi è anche questo. Passare gli anni a chiedersi quali siano le domande migliori. Senza per forza arrivare a capirlo. E senza preoccuparsi troppo delle risposte.
L’ansia legata all’atto di porre le domande importanti è un po’ come la barriera all’ingresso di un mercato che ha dinamiche assai misteriose. Proprio come le nuove aziende talvolta esitano a entrare in un mercato a causa del rischio percepito, noi potremmo esitare a porre domande profonde per paura dell’abisso. Sì, il mercato in questo caso è l’abisso. È impossibile sondare la profondità delle conseguenze.
A scuola ci insegnano che avere delle domande da fare è importante: si sembra più intelligenti, se si fanno delle domande. Il bambino diligente alzerà la mano e chiederà sempre la cosa giusta. Le persone che chiedono sempre la cosa giusta mi affascinano molto, forse perché le immagino ignare dell’abisso.
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