Nel 1984 Bob Geldof mise in piedi una super band per incidere il singolo Do They Know It’s Christmas? (Loro sanno che è Natale?), raccogliere fondi e destinarli alla popolazione etiope. Vendette tre milioni di copie in 20 giorni. Ha avuto alcune riedizioni successive, ma contro l’ultima, del 2024, si sono scagliati Ed Sheeran e il rapper Fuse ODG: «Ha contribuito a perpetuare stereotipi dannosi di un continente per sempre senza speranza»
Nel 1984, quando il mondo era ancora diviso in due blocchi e Steve Jobs aveva da poco lanciato il suo Mackintosh in uno spot “orwelliano” entrato nella storia, un reportage della Bbc andato in onda il 23 ottobre, alle nove della sera, aveva sconvolto la Gran Bretagna già livida di Thatcherismo. Per quasi sette, lunghissimi minuti, gli occhi di sette milioni e mezzo di britannici avevano visto ciò che mai era stato mostrato prima da un media: la morte, praticamente in diretta, di milioni di etiopi. Per fame.
Realizzato dal fotogiornalista kenyota Mohamed Amin e da Michael Buerk, a quel tempo corrispondente della Bbc Television dal Sudafrica, il servizio aveva documentato l’inferno dimenticato, o peggio, ignorato dal ricco e potente Occidente.
Un inferno sulla terra “generato” da una combinazione di diversi, tragici eventi: una prolungata siccità, la guerra civile e la politica di collettivizzazione agricola imposta dal regime di Mengistu.
La genesi
«Trenta milioni di persone stanno soffrendo la fame» in questa «carestia di portata biblica, ora nel XX secolo», aveva spiegato Buerk, mentre le immagini registrate da Amin scorrevano implacabili. Ogni fotogramma affermava l’orrore di una catastrofe in cui l’inedia aveva trasformato donne, giovani, bambini, animali in figurine inerti, macilente, o in spettri che vagavano, avvolti in bianchi sudari, tra la moltitudine di cadaveri sparsi per terra.
Come gli altri sudditi di sua Maestà, anche parecchie rockstar erano rimaste scioccate alla vista del reportage. Freddie Mercury, per esempio, a un certo punto aveva dovuto spegnere la tivù perché – così racconterà – si era sentito piccolo e impotente.
Bob Geldof, il cantante della punk band irlandese Boomtown Rats, da poco diventato papà di una bambina avuta dalla giornalista Paula Yates, la sua compagna, lo aveva invece guardato fino alla fine: insieme a lei, con le lacrime agli occhi.
Era stato Bob a contattare quasi subito l’amico Midge Ure, chitarrista e frontman degli Ultravox, per proporgli l’idea di un disco «con cui tirare su centomila sterline da dare a Oxfam», come spiegherà molti anni dopo. La risposta affermativa di Ure aveva fatto sì che nel giro di poche settimane, i due, e con loro Paula, in quegli anni la travolgente conduttrice dello show The Tube dagli studi di Newcastle-upon-Tyne, si trasformassero nell’anima di un supergruppo benefico che avevano chiamato Band Aid e di un brano pop entrato nella leggenda: Do They Know It’s Christmas? (Loro sanno che è Natale?), composto per raccogliere fondi da destinare alla popolazione etiope.
La risposta
Una trentina di artisti tra i più amati di quegli anni aveva risposto subito, e con entusiasmo, all’invito dei tre, convinta che la musica potesse cambiare il mondo: Duran Duran e Spandau Ballet, Boy George, Bananarama, Sting, U2, Phil Collins, George Michael e altri si erano alternati per due giorni nello studio londinese del produttore Trevor Horn, il Sarm West a Notting Hill. Chi non aveva potuto esserci, come Paul McCartney, David Bowie, Big Country e Holly Johnson dei Frankie Goes to Hollywood – in tour negli Stati Uniti –, aveva inviato un contributo audio che in fase di post-produzione era stato inserito nel B side del singolo, Feed The World (Sfama il mondo).
Scritto e prodotto a tempo di record, il brano era uscito il 7 dicembre 1984 con una cover art creata da Sir Peter Blake, l’artista delle copertine di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles e di Face Dances degli Who, balzando subito in cima alle classifiche britanniche con i suoi tre milioni di copie vendute in poco più di 20 giorni (un milione solo nei primi sette). Al disco era seguito, nel 1985, il mega concerto Live Aid che, tra Londra e Philadelphia, aveva ricavato 150 milioni di sterline.
Le riedizioni
Da allora sono trascorsi quarant’anni, la Guerra Fredda è ben che finita, la globalizzazione e la tecnologia hanno cambiato le nostre vite, indebolito le nostre democrazie e degradato il nostro pianeta, divenuto sempre più caldo non solo a causa delle guerre che lo incendiano. Ciò malgrado, Do They Know It’s Christmas? è ancora qui. Anzi, non è mai andato via. Ha solo visto cambiare volti, voci, suoni.
Forte di un successo planetario che nel 1984 aveva consentito ai promotori di raccogliere 8 milioni di sterline in un anno e di devolverli interamente in beneficenza, il brano è stato riproposto altre cinque volte nel corso del tempo con nuovi artisti – ad eccezione di Bono, saldamente presente in tutte le versioni - e produttori: la prima volta nel 1989 con Band Aid II; l’ultima, in questo 2024, con Band Aid 40. In mezzo ci sono state le cover del 2004, 2014 e 2020.
Uscita un paio di settimane fa in occasione del Natale con un’altra bella copertina di Peter Blake e con due videoclip, quella di Band Aid 40 è la versione del quarantennale, la più virtuale di tutte e forse, chissà, anche la definitiva, come lascerebbe presagire il sottotitolo: The Ultimate Mix. A differenza delle precedenti, infatti, non è cantata da nuovi artisti ma mixa tre diverse versioni (1984, 2004 e 2014) integrandole con fresche parti di archi e qualche coro.
Bob Geldof, nel frattempo nominato Sir, sopravvissuto ad alcuni drammi familiari e in attesa di festeggiare, nel 2025, il quarantennale anche del Live Aid, si è dichiarato soddisfattissimo del lavoro fatto, ancora una volta, da Trevor Horn. «È un’opera geniale. Sono tre generazioni che descrivono l'arco del rock'n'roll britannico in quarant’anni, con la benedizione di un Beatle (Paul McCartney) fino ai Radiohead e Harry Styles passando per il giovane Bono, il Bono di mezza età, il vecchio Bono, la morta Sinead, il morto George (Michael), il morto Liam Payne, il morto (David) Bowie».
Gli oppositori
Tra le voci di Band Aid 40 c’è anche quella di Ed Sheeran, la giovane stella del pop folk inglese che nel 2014 aveva partecipato al progetto e che adesso ripudia. Un suo post su Instagram – «Se ne avessi avuto l’opportunità, non avrei permesso l’uso della mia voce nella nuova canzone», poiché «queste iniziative danneggiano l’Africa» – ha di recente ravvivato la fiamma delle polemiche che accompagnano Band Aid fin dalla nascita.
Fuse ODG, un rapper inglese di origine ghanesi, dieci anni fa si era addirittura rifiutato di parteciparvi. «Ha contribuito a perpetuare stereotipi dannosi, a soffocare la crescita economica, il turismo e gli investimenti verso l’Africa e a distruggere la sua dignità», era stata la motivazione. E in risposta alla celebre canzone, lo scorso novembre ha rilasciato il suo contro-singolo di Natale: We Know It's Christmas (Noi sappiamo che è Natale), un brano afrobeat «che intende promuovere l’orgoglio della nostra identità e modificare la narrazione di Band Aid».
In questa narrazione, secondo i detrattori, l’Africa è un continente ancora e per sempre senza speranza, dove non cresce mai niente, dove non scorrono né pioggia né fiumi e dove la salvezza sta nelle mani dei bianchi occidentali. In tale modo la vede anche il giornalista e attivista etiope Elas Wondimu, che qualche giorno fa sul TribLive di Pittsburgh ha scritto: «Il testo è un inno pop al colonialismo. Ricorda il pensiero di Hegel del XIX secolo, quando liquidava l’Africa come “antistorica, sottosviluppata” e “priva di moralità, religioni e costituzione politica”».
Le repliche di Geldof
Tutte critiche a cui Midge Ure e Bob Geldof sono ormai abituati. Nonostante ciò, i due artisti, che in Africa ci sono andati sul serio a scaricare i sacchi di cibo e di medicinali per la popolazione affamata e ammalata (trovandosi persino a dover rispondere alle ingiuste accuse della Bbc, poi ritirate, di aver sottratto denaro raccolto e gestito dal loro Band Aid Trust per acquistare le armi dei ribelli), non hanno nascosto la loro amarezza per le dichiarazioni del folksinger. Ed è a lui che Bob the God ha rivolto queste (forse) definitive parole: «Questa piccola canzone pop ha mantenuto in vita milioni di persone. Perché Band Aid dovrebbe smettere di sfamare migliaia di bambini che dipendono da noi per un pasto? Rinunciare a farlo per una questione astratta legata al mondo ricco e privilegiato, indipendentemente dalla sua legittimità, non ha senso».
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