Il tempo è passato anche per Bridget Jones, che adesso è vedova e madre di due figli. Il nuovo film, uscito al cinema il 13 febbraio, si intitola Un amore di ragazzo e la vede iniziare una relazione con un uomo molto più giovane, sovvertendo così gli stereotipi di genere e anche la concezione che abbiamo della cosiddetta età matura. La goffa e un po’ ossessiva ricerca dell’amore e del desiderio da parte di Bridget Jones prosegue e attraversa i decenni, a partire dalle considerazioni che scriveva sul diario quando era appena una trentenne.

Caratteri e tipi

Bridget Jones nutriva svariate ambizioni, ma le più ricorrenti, le più stringenti, le più pressanti erano ascrivibili a due: perdere peso e trovare marito. La prospettiva di morire grassa e sola viene ripetuta, condivisa alla stregua di un tormentoso spauracchio anche dalle persone che la circondano. Una tensione riproposta dalla maggior parte delle commedie prodotte negli stessi anni, da When Harry met Sally a Sex and the city.

Nonostante fossero tutte genericamente in carriera, le protagoniste delle narrazioni appartenenti a quella fase non si ritenevano soddisfatte senza sposarsi, e cioè se non realizzavano un preciso ideale di coppia, una precisa dialettica amorosa, che doveva confluire nel matrimonio e si presentava sempre identica a se stessa: intanto era eterosessuale, nel senso che il copione prevedeva una donna in cerca di un uomo, una donna attratta dagli uomini, protesa verso un corrispettivo maschile a lei speculare.

E poi aveva tratti fortemente caratterizzati, nel senso che gli uomini erano tutti vagamente anaffettivi, finanziariamente stabili e reticenti all’ipotesi di sposarsi; le donne erano invece emotive e suscettibili, nutrite da ingenue fantasie romantiche e persuase dell’arrivo di un atto conclusivo, risolutivo delle loro pratiche sentimentali.

Non si trattava tanto di un comprensibile timore della solitudine, della genuina predisposizione a innamorarsi, a scoprire l’altro attraverso di sé – o viceversa – quanto più una forma di dipendenza dal maschile che oggi viene affrontata perlopiù criticamente. Le donne di una certa generazione non si sentivano legittimate senza un uomo al proprio fianco. Pagavano l’emancipazione economica e intellettuale al prezzo di una nuova subalternità. Scrive Elizabeth Egan sul New York Times: «Bridget meritava di meglio. Tutte noi lo meritavamo». Si riferisce, naturalmente, anche alle frequenti battute di Hugh Grant, calato nella celebre interpretazione del capo di Bridget, ai commenti dichiaratamente sessisti spacciati come comici, spassosi metodi d’approccio.

Un’eroina al rovescio

Bridget Jones è stata considerata capace di rivendicare istanze femminili altrettanto sottaciute – era maldestra, fumava come una ciminiera, non seguiva la dieta, si poneva cioè all’antitesi del modello estetico perfetto e moralmente irreprensibile che era stato diffuso dalle rappresentazioni culturali fino a quel momento. Oggi incarna il prototipo dell’antieroina, un’eroina al rovescio che attira empatia perché inciampa all’interno dei dettami imposti dalla società a causa di una propria intrinseca esuberanza: proprio per questo, forse, tenta di continuo di contenersi, di ridursi, di perdere peso, di maritarsi, di rientrare nei ranghi.

Tutti sono anche a conoscenza del debito ereditario che Bridget Jones ha contratto nei confronti di Jane Austen e delle protagoniste dei suoi romanzi, soprattutto nel caso di Orgoglio e pregiudizio del quale il primo film è in qualche modo un calco, una controfigura contemporanea: Mark Darcy, l’uomo di cui si innamora, condivide addirittura il nome con l’antesignano personaggio delle origini. La stessa storia d’amore segue l’impianto della trama austeniana in quanto si fonda su un fraintendimento, su un malinteso che si dipana con lentezza e culmina in un lieto fine. Bridget Jones sarebbe dunque una moderna Elizabeth Bennet. Dice Arturo Cattaneo, docente di Letteratura inglese all’Università Cattolica di Milano: «Le donne descritte da Jane Austen non sono affatto stereotipate. Anzi, avevano un forte senso della propria dignità». E aggiunge: «Si è ironizzato a lungo sull’assillo riguardante il matrimonio presente in tutti i suoi libri. Ma per le donne dell’epoca non esisteva altra via d’uscita. Soprattutto se erano ragazze di buona famiglia, perché quelle povere lavoravano. Nei campi, nei negozi, da un certo momento in poi all’interno delle fabbriche».

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È curioso che ciò che in passato rappresentava la sola aspettativa d’emancipazione sia stata oggi restituita alla sua cornice ridondante nonostante le donne abbiano accesso a tutto il resto, dispongano cioè di un’istruzione, di un mestiere soddisfacente, della possibilità di esperire la sessualità e i linguaggi della relazione in modo libero. «Il motivo del fascino dei libri di Jane Austen è che creano un mondo in cui contano solo i sentimenti e la lotta per i sentimenti. Non c’è spazio per il lavoro, per la società intesa come ingranaggio. E forse è tutto quel che noi cerchiamo», conclude Arturo Cattaneo.

Resta il fatto che Elizabeth Bennet era ardente, appassionata e soprattutto severa: non solo rifiuta l’iniziale proposta di matrimonio di Mr. Darcy perché ha mortificato la sua famiglia, ma guarda con malcelato disprezzo alle frivole effusioni delle sue sorelle più piccole, ansiose di conoscere gli ufficiali della reggenza inglese. È disposta a sposarsi, a rinunciare alla libertà solo a patto di un amore travolgente, che infatti le capita e che mai si sarebbe messa a cercare. Se Bridget Jones fosse Elizabeth Bennet non avrebbe passato le sue notti accanto al telefono, disperata perché non maritata, priva di un compagno, quel «misterioso uomo giusto» di cui è «in attesa da una vita».

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