«Il libro», dice il professor Giovanni Solimine, il maggior bibliografo italiano, «è un’invenzione perfetta, come il cucchiaio, come la ruota». E a renderlo tale è «la sua maneggevolezza». Ogni necrologio non solo è prematuro, è un esercizio sterile destinato a essere smentito. Ora e per sempre, come per il cucchiaio o la ruota, per usare la similitudine con oggetti perenni e di più antica scoperta. La dichiarazione d’amore, perché tale è, si basa su un sentimento personale confermato da dati di fatto. «Alla nascita degli e-book ne era stata pronosticata frettolosamente la fine, si sostenne che avrebbero soppiantato la carta e non è andata così».

Né potranno farne a meno i nativi digitali, nonostante la preferenza per la rete: «I giovani sono anfibi, riescono ad abitare ambienti diversi. La vita oggi va veloce, il libro chiede tempo ma regala la scoperta della gradevolezza del contenuto, della pazienza cognitiva».

A cui va aggiunta l’esperienza tattile. E, se proprio deve trovare un surrogato, il professore traccia un paragone con le serie tv, dove c’è la stessa struttura narrativa declinata in quattro, otto, dodici episodi, dunque dipanata nel tempo lungo, e dove pure c’è la stessa idea dell’appuntamento affrancato dall’obbligo. Sono, le fiction, «flessibili come un libro», e con il libro possono coesistere.

Si ragiona attorno al destino dei volumi stampati grazie all’intuizione di Gutenberg in occasione della presentazione del progetto definitivo della nuova biblioteca umanistica dell’università Sapienza di Roma, attesa da decenni, e della quale si comincia a intravvedere la luce, anche se dalla posa della prima pietra, prevedibilmente l’anno prossimo, bisognerà contare almeno seicento giorni lavorativi, per una spesa che sfiora i 30 milioni di euro, il 75 per cento dei quali finanziati dalla Banca europea degli investimento e il restante 25 per cento dall’ateneo. Ma già il progetto per Solimine è la realizzazione di un sogno.

Il nome

Quando l’architetto Eduard Mijic, vincitore del concorso, uomo d’identità plurale, serbo d’origine, cresciuto in Germania, arrivato in Italia nella bottega di Renzo Piano e ora titolare con la moglie ingegnera Orietta Villa di uno studio a Rimini che porta il suo nome, ha illustrato l’opera, è sorto un problema sottolineato dal professore: «E come la chiamiamo? Perché biblioteca è riduttivo, bisognerà che ci inventiamo un neologismo». Se Solimine è il padre, la madre del nuovo edificio, la rettrice Antonella Polimeni, ha rincarato: «È molto di più, un contenitore di esperienze, una piazza del sapere, uno spazio aperto alla città per attrarre risorse innovative, a cominciare, perché no?, dal Premio Strega».

Bisogna in effetti dimenticarsi tutti gli stereotipi della biblioteca classica che sta nel nostro immaginario, un luogo buio, silenzioso e persino polveroso, riservato soprattutto agli studiosi o agli studenti. Qui si entra nel futuro, in un dominio luminoso di legno e vetro, piante e giardini, corsi d’acqua, ninfee, cascate (decisivo il contributo per il verde di P’Arcnouveau di Milano), un impianto fotovoltaico da 100 chilowatt che permetterà un risparmio energetico del 60 per cento in linea con la sostenibilità ambientale (il piano è di Polistudio di Riccione), una caffetteria all’aperto.

I numeri

Fondamenta profonde 40 metri; circa due milioni di libri – la dotazione completa dei vari istituti dell’ateneo – che saranno centralizzati nel magazzino interrato e dotato di un sistema totalmente robotizzato che li trasporterà a richiesta nei quattro piani sovrastanti; 81.920 volumi di pregio in un archivio protetto dove troveranno ricovero prime edizioni, testi letterari dell’età classica, opere di geografia, libri antichi da maneggiare con cura per prolungare il più possibile la loro vita e insostituibili per chi studia il passato; altri 350.000 libri negli scaffali aperti.

E ancora: 614 posti a sedere distribuiti nelle sale lettura, nelle aule lettura didattiche e multimediali, 43 postazioni di lavoro, 30 servizi igienici.

Roma è una capitale di verde e di parchi, di fontane, di travertino, dei colori biscotto delle mura Aureliane. E dunque tutti questi elementi sono stati richiamati per creare l’armonia non solo con il resto dell’università, ma anche con il quartiere adiacente di San Lorenzo. L’osmosi necessaria con la città è stata la filosofia di base su cui ha poggiato il progetto.

Spiega l’architetto Mijic: «Partendo dalla forma archetipica del cubo, attraverso un processo sartoriale, si ricava all’interno di esso una corte che progressivamente si amplia verso l’alto, creando un porticato verde dal piano terra alla copertura dove gli utenti potranno godere di piccole terrazze-giardino interne per favorire la socialità. Le ampie facciate a lamelle sono un chiaro richiamo agli edifici del quartiere universitario che insieme all’orientamento dell’edificio secondo cardo e decumano fanno sì che la nuova costruzione si inserisca in maniera armonica nel tessuto urbano esistente. La biblioteca (in attesa del neologismo tocca ancora chiamarla così) sarà a disposizione dei cittadini, perché i libri e la cultura devono dialogare con la città». Pur se, ha aggiunto la rettrice Polimeni, «dovremo tenere conto del tema sicurezza, da una certa ora in poi si chiude»

La mancanza di una biblioteca al passo con i tempi era un vulnus che la Sapienza di Roma, riconosciuta come l’università più prestigiosa al mondo per gli studi classici, non poteva permettersi. La si aspettava da una ventina d’anni, e il ritardo è andato crescendo anche per le controversie sorte nei concorsi che hanno preceduto quello finalmente arrivato a compimento. Dopo averla a lungo cercata, il libro ha trovato casa.

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