Dopo il documentario per Netflix arriva il libro per Mondadori. Su una storia tutt’altro che unica. Ha trasformato unanoiosa vicenda di corna in un bellissimo circo. Con la saggezza di Yoda
Poche cose mi interessano meno del calcio. Per estensione poche persone mi interessano meno dei calciatori. Non faceva eccezione Francesco Totti che, nel grande insieme degli argomenti di cui mi frega zero, fino a poco tempo fa campeggiava vicino ai bitcoin e alla cucina medievale. Non mi fregava niente nemmeno di sua moglie e dei suoi figli, per quanto assurdi i loro nomi, del loro ruolo nella cultura pop italiana, della loro relazione perfetta, dei loro look maranzi.
Nessuno dei due aveva mai fatto niente per meritarsi la mia attenzione, a differenza invece dei Beckham – l’eccezione che conferma la regola – per i quali invece i dischi delle Spice Girls hanno sempre acceso in me una naturale simpatia.
Eppure eccomi qui, dopo aver dedicato 80 minuti della mia vita a Unica, il documentario su Netflix, e alcune ore a Che stupida, appena pubblicato da Mondadori, i due prodotti che compongono il pacchetto Vendetta di Ilary Blasi.
Tanto ero disinteressata alla vita felice della famiglia Totti, quanto mi ha intrattenuto il loro divorzio, dai Rolex rubati in poi. Per questo non posso che essere grata a Blasi, che ha saputo trasformare la più noiosa e comune storia di corna in questo fantastico circo.
Mollarsi da sole
La vicenda ormai la conoscono anche i sassi ed è uguale a quella di tante maestre d’asilo, cameriere, commercialiste, dottoresse, cassiere che avete incontrato nella vostra vita da persone non famose: Blasi è stata mollata dal marito per una sua sosia più giovane e, presumo, più adorante di lei.
Solo che, almeno secondo la “sua verità” (che è il sottotitolo del libro), non è proprio stata mollata. Si è dovuta mollare da sola, con immensa fatica, dopo mesi di trattamento del silenzio da parte di suo marito.
Un comportamento che in Che stupida (che per molti aspetti è un doppione del documentario, ripulito dalla romanità che invece in Unica faceva colore) diventa il tratto distintivo di questo personaggio esasperante e piuttosto patetico che prende il nome di Francesco Totti.
«Una leggenda vivente», come lo definisce lei, che però ritroviamo ad aggirarsi per casa nel suo mutismo, chiudersi in camera come un bimbo piccolo, fare i dispetti e nascondere borsette, bullarsi della sua nuova fidanzata sul red carpet dei Globe Soccer Awards (che deve essere l’evento mondano più irrilevante sulla faccia della terra), sboroneggiare in discoteca come un adolescente qualsiasi, riguardare a ciclo continuo il suo video di addio al calcio, un’immagine che già nel documentario mi aveva spezzato il cuore, oltre a farmi molto preoccupare per la vita interiore di quest’uomo, evidentemente non pervenuta. Persino il nome di casa sua è ridicolo: Casal Palocco.
Femminismo basico
Il personaggio Ilary Blasi, invece, dal pacchetto Vendetta emerge tutto d’un pezzo e dotato della saggezza del Maestro Yoda. Ma soprattutto riesce a trovare il perfetto equilibrio tra la donna eccezionale e la povera cogliona qualunque, sintonizzandosi in maniera impeccabile con la sensibilità della femmina media.
È unica ma anche uguale a tutte, e riesce a intercettare pure quel tanto di spirito femminista dei nostri tempi da risultare moderna, a differenza di quel vecchio arnese fedifrago del marito.
Già dall’esergo capiamo dove vuole andare a parare: c’è una frase di Cher che recita: «Un uomo non è una necessità, è un lusso. Come il dessert», una citazione che ho visto frullare tra mille profili Instagram, tra i meme sulla sindrome premestruale e i tutorial per farsi le trecce olandesi.
Nella sua versione dei fatti ci sono la sorellanza e l’indipendenza economica, il controllo delle emozioni che però lei «vive fino in fondo», e tutti i valori giusti e condivisi di un femminismo basico che non ti costringe a leggere Judith Butler. E infatti, su quest’onda, nel libro ci hanno infilato anche una scena di Barbie: il marito rosicone passivo-aggressivo le ha nascosto borse e scarpe, e Ilary si ritrova costretta a fare una gita al centro commerciale per avere qualcosa da indossare oltre alle infradito che ha ai piedi.
Compra due paia di scarpe, delle Birkenstock (le ciocie della donna pragmatica, pronta a tutto) e delle décolleté con il tacco alto (della Barbie che non vuole rinunciare alla sua femminilità).
Le scarpe e le borse trafugate, come avevamo già scoperto da Unica, verranno poi ritrovate nell’area benessere e nel controsoffitto di casa (nel documentario lei faceva “capoccetta”, nel libro epurato dal romanesco si dà più spazio a quello che a lei deve essere sembrato un dettaglio di gran classe, la pelle avorio impunturata che riveste i pannelli del soffitto).
Cogliere le occasioni
Non poteva mancare la citazione dell’incipit più usurato della storia della letteratura, quello di Anna Karenina – anche questo frequente intermezzo di meme sulla sindrome premestruale – rimaneggiato per l’occasione: «Ciascuna separazione è triste a modo suo».
In Che stupida ci sono anche ben due “vasi di Pandora”, che vengono scoperchiati in momenti diversi, e quello che mi verrebbe da chiamare «l’11 settembre della famiglia Totti», se non altro perché quella è la data in cui esce l’intervista di Aldo Cazzullo a Totti, oltre che per i toni catastrofisti con cui viene introdotta nel libro.
Che la verità di Ilary Blasi sia relativa o meno non mi interessa, le sfighe vanno fatturate ad ogni possibile occasione, quindi prima che stupida, ma poi che brava.
«Sarà sempre l’uomo con cui ho condiviso metà della mia vita», scrive, ma su questo vorrei rassicurarla con il supporto della matematica: quando avrà sessant'anni sarà l’uomo con cui ha passato solo un terzo della sua vita, e così via.
© Riproduzione riservata