Venezia, sabato santo dell’anno 1511. Un patrizio ventisettenne, trovandosi «assai mal contento et poccho men che quasi disperato», si confessa con un frate che sa parlargli. L’eremita «me cominciò a ragionare – racconta poi il penitente – che la via de la salute era più ampia di quel che molti se persuadeno». Così, «di gran timor et assai tristizia converso in allegrezza, commenciai con tuto el spirito voltarmi a quella summa bontà la qual vedeva per amor mio essere in croce».

È questa la svolta più importante nella vita di Gasparo Contarini, che un trentennio più tardi – creato cardinale senza essere prete – avrebbe cercato di trovare un accordo con i protestanti. Venendo loro incontro al punto da venire definito il Lutero cattolico. Il tentativo di evitare la divisione della cristianità occidentale, ormai profonda, non riuscì. Ma quella temperie unica, grazie anche a diversi altri prelati amici, avviò l’indispensabile movimento riformatore nella chiesa romana.

La scoperta 

La confessione di quel sabato santo, narrata da Contarini in un carteggio, è una scoperta di Hubert Jedin, che ne rievoca nell’autobiografia le circostanze. Quattro mesi dopo la liberazione di Roma dall’occupazione nazista, con l’amico don Giuseppe De Luca – che gli aveva dato copia delle lettere – il grande storico del concilio di Trento venne accompagnato in macchina da un ufficiale italoamericano nell’archivio dei camaldolesi a Frascati, e qui tra il 28 settembre e il 4 ottobre 1944 poté studiare gli originali delle lettere.

Jedin accostò il tormento che Contarini aveva confidato al frate confessore nel 1511 a quella celebre «esperienza della torre» che Lutero, coetaneo del nobile veneziano, avrebbe vissuto nel 1512 (o poco più tardi) nel convento di Wittenberg. «Ritenni, e ritengo ancor oggi una prova del cattolicesimo del giovane Lutero il fatto che egli sia partito dalla medesima esperienza di base del Dio misericordioso dalla quale era partito prima di lui Contarini» spiega lo storico tedesco; «che poi le vie dei due si siano separate fu una conseguenza della diversa ecclesiologia».

Gli studi 

Nato nel 1483, Gasparo aveva completato gli studi nell’università di Padova, per il greco con Marco Musuro e per la filosofia, d’impostazione aristotelica, con l’umanista mantovano Pietro Pomponazzi. Senza però ambizioni accademiche: «Esser dotto, et il titolo di dottore lasciarlo ad altri» diceva.

Nel 1509 Contarini e altri giovani aristocratici iniziano a riunirsi – per leggere antichi testi cristiani e meditarli – nell’isola di Murano, proprio di fronte al palazzo di famiglia nel sestiere di Cannaregio, accanto alla chiesa della Madonna dell’Orto, celebre per i dipinti di Tintoretto e dove il cardinale sarebbe stato sepolto.

La carriera di Gasparo è quella del brillante esponente di una delle più potenti famiglie veneziane, con crescenti responsabilità negli affari, poi politiche e diplomatiche. Rappresenta con successo la Serenissima presso l’imperatore Carlo V, che lo apprezza.

Ma in Spagna deve difendere il fratello Andrea e altri mercanti di Venezia arrestati per aver venduto bibbie in ebraico e aramaico. Un’esperienza che ricorderà con inquietudine, perché l’istituzione inquisitoriale «in questi regni è una cosa terribilissima».

In una delle ricorrenti crisi tra la Repubblica veneziana e il papato, Gasparo è inviato a rappresentarla davanti a Clemente VII, cugino di Leone X. La scelta del diplomatico è apprezzata, non così la sua missione: «Sicome la persona vostra mi è molto gratta, così l’ambasciata mi è molto ingrata» lo avverte il pontefice.

Poi, al secondo papa Medici – che nel 1527 aveva assistito all’umiliazione e allo scempio del terribile sacco di Roma occupata dalle truppe imperiali – succede il riformatore Alessandro Farnese, che prende il nome di Paolo III e nel 1535 crea cardinale il laico Contarini, che è ordinato sacerdote solo due anni dopo.

Protagonista 

È questa l’altra svolta nella vita di Gasparo, che con altri ecclesiastici, diventa protagonista di una stagione irripetibile, approfondita da storici di vaglia. Ai numerosi studi si è aggiunto ora un importante libro dove Luca Burzelli ha introdotto con larghezza ed equilibrio sette limpidi Scritti teologici di Contarini (Nino Aragno Editore) finalmente editi e tradotti.

Già come ambasciatore, forte della sua rigorosa formazione umanistica e cristiana, l’aristocratico veneziano era stato esplicito con Clemente VII nel denunciare, anche se ai fini della sua missione, il potere temporale pontificio, che gli appariva secondario. «Vostra Santità – afferma – die [deve] procurar principalmente il bene della vera Chiesia, che consiste ne la pace et tranquillità de christiani».

E, coerentemente, in un primo scritto sul potere del papa, sostiene nel 1534 che la sua autorità, «nella misura in cui è pontefice e non principe di Roma, non dipende da alcun uomo, ma solo da Dio», sottolinea con una distinzione chiarissima e lungimirante (ma ora sorprendentemente contraddetta nella premessa dell’ultima legge fondamentale dello stato vaticano).

Il pontefice romano è comunque necessario perché – scriveva Gasparo contro i luterani già nel 1530 – «non è sufficiente che Cristo sia l’unico capo della chiesa, dal momento che il genere umano è stato disposto da Dio in modo tale che, oltre all’afflato spirituale divino, necessita anche un qualche amministratore materiale, che sia uomo, da cui essere guidato sulla retta via». L’elevazione al cardinalato di Contarini, decisa da papa Farnese, accresce ovviamente la fama del veneziano, che tra i prelati «spirituali» diviene sempre più un punto di riferimento.

Addirittura come candidato ideale in un prossimo conclave secondo l’umanista Paolo Giovio, vescovo di Como, nella speranza «ch’el papa angelico futuro da qua a molti anni sia per essere el cardinale Contarino, tanto eccellente in virtù, letre et bontà». E ancora Jedin valorizza al massimo il ruolo che Paolo III affida al prelato veneziano nel quadro della complessiva azione del pontefice, con il quale «ha inizio il processo della Riforma cattolica».

Anni turbolenti 

La situazione politica e religiosa rimane comunque molto difficile: il gruppo dei prelati più disposti al cambiamento non è omogeneo, e le resistenze a Roma sono fortissime. Gian Pietro Carafa, uno dei cardinali riformatori, inizia a prendere le distanze dai colleghi – tanto da divenire nel 1555 il rovinoso Paolo IV, che sceglierà la via della repressione – mentre diversi sono gli ostacoli frapposti a Contarini.

Gasparo non riesce, anche per mancanza di esperienza delle strutture curiali, a realizzare il necessario rinnovamento, e nel 1541 al ritorno dall’incontro di Ratisbona, dove come legato papale aveva tentato un’intesa con i protestanti, viene bollato come «fratello carnale di Lucifero». L’anno successivo muore come governatore di Bologna. Il suo progetto di mediazione teologica e politica resta affidato ai suoi scritti, più volte censurati e pubblicati quasi un quarantennio dopo la morte.

I riformatori amici di Contarini, che riprendono fiato nel 1559 con l’avvento di Pio IV, hanno sorti tra loro diverse. Nel 1543 muore Gian Matteo Giberti, l’esemplare vescovo di Verona studiato da Adriano Prosperi in Tra evangelismo e Controriforma (ripubblicato da Aragno insieme a Vita e idee religiose in Italia nella prima età moderna). L’inglese Reginald Pole, imparentato con Edoardo IV ed Enrico VIII, è legato papale nella prima fase del concilio di Trento; papabile più volte, rientra in Inghilterra e fino al 1558 è l’ultimo arcivescovo cattolico di Canterbury.

Altri, come l’agostiniano Pietro Martire Vermigli e il marchese Galeazzo Caracciolo (studiato da Benedetto Croce), si rifugiano oltralpe e passano al protestantesimo. Emblematica è la vicenda di Giovanni Morone, a cui Massimo Firpo e Germano Maifreda hanno dedicato oltre mille pagine (L’eretico che salvò la Chiesa, Einaudi): due volte rappresentante del pontefice a Trento, due volte processato e imprigionato da Paolo IV e Pio V, venne poi riabilitato, in una vicenda che Alberto Melloni ha paragonato a quella del cardinale Becciu.

Legato papale al concilio tridentino fu infine anche Marcello Cervini, che come papa per tre settimane nel 1555 mantenne il suo nome. A rievocare Marcello II come «un uomo che, anche in quel tempo oscuro, aveva cercato di vivere il Vangelo in modo credibile» è stato nel 1978 il cardinale Ratzinger, definendo il brevissimo pontificato di Cervini espressione, sia pure effimera, di una riforma descritta come «un andare al centro della fede».

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