In Italia ogni bambino ha a disposizione 10 metri quadrati per giocare all’aperto. Roma ne garantisce soltanto 2. La soluzione di un’urbanistica tattica per fare in modo che il verde pubblico urbano possa essere utilizzato in chiave sportiva. Ma non solo
Una delle statistiche che dovrebbe destare più preoccupazione del nostro paese è quella che riguarda i metri quadrati di spazio pubblico a disposizione dei minori per l’attività fisica. Secondo una ricerca della fondazione “Con i bambini” a fronte di una superficie approssimativa di 26 milioni di metri quadrati i ragazzi nel nostro paese possono contare su uno spazio pro-capite di 10 metri a testa.
Roma, come la maggior parte delle grandi città medio grandi da Bologna a Genova, da Milano a Reggio Calabria, garantisce soltanto 2 metri quadrati, un numero incomparabilmente più piccolo a quello dei 66 di Ferrara, una delle più virtuose.
È vero che tanto Roma, come Milano e altre città italiane possono contare di una percentuale importante di verde, tra parchi pubblici urbani, giardini storici e verde attrezzato. Ma le aree destinate specificatamente a realizzare delle attività fisiche rimangono una percentuale molto limitata rispetto al dato complessivo.
In questo quadro una risorsa utile potrebbero essere i giardini scolastici ma la loro estensione sul territorio nazionale continua a mostrare gli stessi dislivelli interni di altri indicatori. Oltre a garantire la possibilità di realizzare una educazione ambientale fatta da esperienze concrete e non solo da un’acquisizione indiretta mediata dai libri di testo, i giardini scolastici sono una fonte importante di occasioni legate al gioco e allo sport. Sempre secondo “Con i bambini” la media dei metri quadrati a disposizione ci dice che i minori possono contare su una superficie inferiore addirittura a quella delle aree sportive pubbliche (7,5 metri a minore).
Il risultato è che, nella capitale d’Italia, città per antonomasia dei circoli sportivi privati, proliferati a macchia d’olio negli ultimi decenni per soddisfare il desiderio di lobby piccole e medie, o singole categorie sociali, dai dipendenti ministeriali, ai giornalisti, ai parlamentari, dove solo giocare a tennis o nuotare in piscina implicava associarsi e sostenere un esborso economico, da ormai trent’anni è praticamente impossibile fare una “partitella” senza dover ricorrere all’utilizzo di un campo in affitto. Nonostante le mode “urban” pochi continuano a essere anche i playground tanto familiari nelle metropoli americane dove lanciare un pallone verso un canestro e pochissime le piste di pattinaggio dove far girare qualche rotella.
Il danno da vari punti di vista è enorme e timido il tentativo di cambiare rotta, nonostante aumentino le associazioni impegnate a dimostrare come l’uso delle aree verdi possa costituire una risorsa. E il luogo dove immaginare un modello alternativo nel quale attività strutturate e proposte consolidate gestite dal privato sociale si possano combinare con un uso più libero, onde evitare di privatizzare ciò che dovrebbe rimanere pubblico.
Esempi virtuosi non mancano se guardiamo all’estero: nonostante paragonare contesti molto diversi possa essere pericoloso, alcune esperienze possono fungere da stimolo e modello.
Pensiamo sicuramente al progetto degli spazi sportivi di Hyde Park a Londra. Oppure a quello dei boltzplatzen in Germania.
Si tratta di immaginare attraverso l’approccio di un’urbanistica tattica il recupero di vari spazi urbani perché alla vocazione sportiva di un’area se ne possano affiancare altre. E rilanciare l’idea che il verde pubblico può essere utilizzato in chiave sportiva senza interventi che ne stravolgano la natura e impediscano poi alla cittadinanza un uso anche culturale o semplicemente aggregativo di modo che l’utilizzo sportivo non vada a discapito di altre sensibilità.
Senza immaginare interventi particolarmente invasivi sarebbe possibile realizzare campi da calcetto, piste da pattinaggio, spazi destinati al rugby o alla pallamano, necessari in territori spesso privi di strutture pubbliche di questo tipo. All’utilizzo delle associazioni del territorio si potrebbe alternare quello libero della cittadinanza individuando nella gestione co-partecipata un meccanismo virtuoso che metta al riparo quello spazio da eventuali privatizzazioni e ne garantisca una fruizione plurale.
Se lo strumento dei patti di collaborazione tra amministrazione e associazioni ha visto siglare per il momento pochissimi accordi, non significa che la strada da percorrere, come segnala la rivista Labsus, non sia questa. Non un modo fraudolento per aggirare le norme, ma l’avvio di un processo virtuoso dell’associazionismo sportivo di base per aumentare le opportunità di sport per tutti i cittadini.
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