C’era la domanda, ora conosciamo la risposta. La domanda era: perché non sorride? Perché non sorridono nemmeno Cahill e Vagnozzi? Perché dopo il successo su Zverev in semifinale a Cincinnati i due coach, in un abbraccio che resterà negli annali, avevano volti che trasudavano preoccupazione?

La risposta è arrivata ieri: Jannik Sinner è risultato positivo al doping (un metabolita del cicatrizzante e tristemente celebre Clostebol) in un test effettuato mentre stava giocando a Indian Wells, a marzo. La positività gli era stata comunicata in aprile.

Dopo approfondita inchiesta (è stato lo stesso Sinner a comunicarlo ieri tramite l’agenzia di PR che ne cura gli interessi) Sinner è stato giudicato innocente visto che la quantità di Clostebol rinvenuta nel suo organismo era di meno di un miliardesimo di grammo e dunque l’assunzione è stata ritenuta frutto di un evento fortuito.

Che sarebbe il seguente: il suo fisioterapista (Giacomo Naldi si suppone) aveva applicato su una ferita al suo dito la pomata in questione fornitagli dal preparatore fisico Umberto Ferrara il quale l’aveva acquistata in farmacia, dove è farmaco da banco. Naldi avrebbe inavvertitamente trasmesso la sostanza a Sinner nel corso di un normale trattamento.

La sentenza

Da aprile dunque l’altoatesino ha giocato con una fastidiosa spada di Damocle sul capo. È difficile non ritenere che la consapevolezza di questo evento e delle conseguenze che avrebbe potuto avere sul piano della comunicazione e del business abbiano influenzato non poco le partite e le scelte che Sinner ha compiuto in questi mesi.

Non ultima la decisione (causa ufficiale tonsillite) di non prendere parte ai Giochi di Parigi dove era atteso come una star e che per sua stessa ammissione erano uno dei principali obiettivi dell’anno. Sinner è un ragazzo sensibile e la tonsillite potrebbe benissimo essere stata causata da un repentino calo delle difese immunitarie in conseguenza di settimane trascorse ad aspettare la sentenza della Itia, la International Tennis Integrity Agency. Oppure è stata una scelta dettata dall’esigenza di non esporsi su un palcoscenico così globale proprio in concomitanza della sentenza.

Resta il fatto che Sinner è stato dichiarato innocente, che in osservanza del principio della responsabilità oggettiva gli saranno tolti i 400 punti che aveva conquistato nella finale di Indian Wells e i 300mila dollari che aveva incassato. La sentenza del Tribunale indipendente è appellabile dalla Wada, l’agenzia internazionale antidoping e dalla Nado, l’analoga agenzia italiana che inasprì la condanna per Sara Errani in merito all’ormai celebre caso del doping del tortellino.

Ma nulla a tutt’oggi lascia intendere che ciò avverrà considerando anche che Sinner ha collaborato in ogni modo con l’Itia per chiarire cosa era successo. E lo stesso Sinner ci ha tenuto a rimarcare di essere uscito da un periodo “sfortunato” e che si impegnerà ancora di più per rispettare le norme antidoping.

La sfida del torneo 

E noi che ci preoccupavamo dell’anca. Come era inevitabile si sono scatenati, sui social, i riferimenti alla già citata Sara Errani (positiva al Letrozolo) e pure a Paul Pogba che un anno fa giustificò la sua positività con l’avventatezza di un collaboratore che aveva comprato un farmaco negli Stati Uniti (maledette farmacie...) non sapendo che fosse vietato.

Certo è che Sinner giocherà regolarmente lo Us Open i cui tabelloni principali prenderannno il via lunedì ed è molto probabile che scenderà in campo più leggero. Una leggerezza, tuttavia, che potrebbe non bastare a risolvere quel problema, strettamente fisico, che i più hanno notato a Montreal e Cincinnati: quel presunto riacutizzarsi del dolore all’anca che in primavera aveva fatto tenere uno stop assai più lungo di quanto poi è avvenuto nella realtà.

«La vita di un tennista», spiega a Domani Vincenzo Santopadre, che ha trascorso gran parte della sua carriera di coach al fianco di Matteo Berrettini, uno che di infortuni veri ne ha inanellati a valanga e ora lavora col francese Van Assche, «è un azzardo continuo. I coach devono decidere se fermare il loro atleta ma per farlo devono tenere conto della sua ambizione e della sua soglia del dolore. E se insistono magari rischiano di perdere il posto. Molti giocherebbero sempre e comunque anche con la carriera in pericolo ma è loro compito fermarli, se necessario. Tenendo però conto anche delle conseguenze, ad esempio quelle alimentari. Tu fermi un atleta e quello non si può allenare e magari sfoga col cibo la sua frustrazione. E questo comporta ulteriori problemi quando si può ricominciare».

Il pericolo delle percezioni 

Ma il focus non è sul fisico. Il forfait ai Giochi, sommato alle foto gioiose della minivacanza in Sardegna con la fidanzata, hanno provocato una brusca e molto italica inversione di tendenza nel modo in cui Sinner è percepito: del resto da eroe a candidato per un posto in un reality il passo è brevissimo, dalle nostre parti.

E il caso doping non farà altro che accelerare quella sterzata. Se poi Sinner non dovesse giocare in Davis a settembre (fatto più che probabile visto quanti punti dovrà difendere da qui a novembre) la situazione potrebbe farsi ancora più ombrosa.

Lui dei social non si cura ma qualcuno deve avergli riferito più di qualcosa se, per la prima volta, si è sentito di adoperare un’espressione per lui abbastanza anomala: «Non mi preoccupo di cosa dice la gente»: Laddove lo stesso concetto di “gente” appare agli antipodi rispetto ai termini usati, ad esempio, a Torino nel novembre scorso durante le Finals, quando ringraziò quella rappresentanza della “gente” per avergli dato la forza di arrivare fino a quel punto della carriera e del torneo.

Una nuova fase 

A partire dallo Us Open Jannik dovrà prendere atto che una fase è finita e ne è cominciata un’altra. In cui non è più il riccioluto ragazzo proveniente dalle montagne dotato di un talento eccezionale e di una determinazione inscalfibile che grazie a queste caratteristiche si è issato sul grandino più alto della classifica mondiale.

Ma un membro a tutti gli effetti dello star system e come tale percepito. Al di là dei tornei vinti, della leadership mondiale e della prospettiva che (al netto dell’anca) il suo regno duri a lungo. Specie considerando che il suo competitor per definizione, Alcaraz, sta a sua volta scoprendo che la pressione cui si è sottoposti è tale da portare uno mite come lui a demolire la racchetta con furia dopo un errore, come un Kyrgios d’antan qualunque.

Ma in realtà, a ben vedere, il problema è più nostro che suo. Abbacinati dall’epifania di un tennista che l’Italia non ha mai avuto, abbiamo paura di svegliarci. E di renderci conto che anche Sinner, come noi, ha dei limiti, dei confini, dei difetti. Che come noi sbaglia, si fa male, si innamora, si disinnamora, vince ma può perdere ed è oggetto anche lui delle spallate della vita.

È un uomo, non una favola. Forse siamo a noi a doverci fermare per pensare, non lui. Dal canto suo Jannik vinca a New York, i suoi si tengano lontani dalle farmacie e quando qualcuno tratta i suoi muscoli non dimentichi i guanti. Prevenire è meglio che curare.

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