Attesi e inattesi ritorni, conferme e nuove scoperte. Ecco la nostra colonna sonora dell’anno appena trascorso. Da Billie Eilish ai Cccp, da Charli Cxc ai Cure.

Hit me hard and soft – Billie Eilish

Il nuovo album di Billie Eilish è un viaggio che ti porta verso sonorità finora da lei inesplorate, senza però perdere nulla della sua personalità: prendete ad esempio L’amour de ma vie, uno dei brani più potenti. Ma il vero pregio di Hit me hard and soft, il terzo album dell’artista californiana, è la capacità di essere perfettamente contemporaneo, senza essere stereotipato.

Daniele Erler

Altro che nuovo nuovo – Cccp

Nessuno si attendeva un ritorno dei Cccp. E forse per questo loro sono tornati. Sul palco e con questo disco, che è la registrazione del loro primissimo concerto, tenutosi il 3 giugno del 1983 a Reggio Emilia, nella palestra del circolo Arci Galileo. In Oi, oi, oi, uno degli inediti del disco, cantano: «Siamo arrivati tardi/o forse è troppo presto». Poco altro da aggiungere.

Nicola Imberti

From zero – Linkin Park

L’unico difetto di questo album è che dura troppo poco. Per il resto, i Linkin Park sono riusciti nell’impresa di rinascere, dopo la morte di Chester Bennington, sette anni fa. Non ci avrebbe puntato nessuno, prima di ascoltare Emily Armstrong. Questo album-fenice è come attraversare un lutto. Si esce cambiati, diversi, ma in qualche modo se ne può uscire.

Daniele Erler

Short n’ Sweet - Sabrina Carpenter

Oh I leave quite an impression, attacca a cantare Sabrina Carpenter in Taste, prima traccia in questo album divertentissimo che sì, lascia una bella impressione. Il suo pop leggero, scanzonato e ferocemente ironico è una boccata d’aria fresca. Espresso è stata una delle canzoni dell’anno, ma brilla anche la vulnerabilità che esprime in Lie To Girls.

Maria Tornielli

Luck and strange - David Gilmour

Se e quando gli storici della musica rifletteranno su come il Covid è stato tradotto in note, dovranno considerare questo album, con i testi esistenzialisti scritti dalla moglie di Gilmour, Polly Samson. Luck and Strange raggiunge vette d’ispirazione che quasi ricordano i Pink Floyd (post Roger Waters). C’è tanta nostalgia, ovviamente, ma non solo. Ascoltate Between two points, cantata dalla figlia.

Daniele Erler

Brat – Charli XCX

Il più bello per Billboard, NME, NYT, Rolling Stones. Un disco con molti perché. Uno: l’anti marketing della copertina sgranata, un meme. Due: la parola, brat (ragazzacce libere), accostata pure a Kamala Harris. Tre: la musica (finalmente), un ibrido di tecno-dance-pop. Duetti pazzeschi nella versione remix. Resta una domanda: Charli XCX da grande che vuol fare?

Angelo Carotenuto

Cacophony – Paris Paloma

Paris Paloma è una giovane cantautrice inglese. In questo disco vi sarete probabilmente imbattuti a vostra insaputa su TikTok, dove la sua canzone Labour fa da colonna sonora alla rabbia di moltissime donne. Tra atmosfere fantasy, capacità di descrivere la violenza e sguardo introspettivo, emerge un esordio molto originale.

Maria Tornielli

All Born Screaming - St. Vincent

In All Born Screaming St. Vincent raggiunge la consapevolezza che non ha più niente di cui rendere conto. Il suo “plague-rock” per la prima volta interamente autoprodotto ha la solita urgenza dei dischi di Annie Clark di dire la propria lungo i binari dettati da un ossessivo synth ancestrale. Ha anche la capacità di sbloccare quello che doveva fluire ma si è cristallizzato, quasi un nipote di Jóga di Björk.

Lisa Di Giuseppe

Songs of a lost world - The Cure

Sarà un po’ la nostalgia? Senza dubbio. Il giudizio non è immune dai ricordi degli amori, delle lacrime, dei balli in cameretta con Boys don't cry, Friday I'm in love, Close to me nelle cuffie. Ma, dopo 16 anni di attesa, c’è anche la sensazione che con Songs of a lost world dei Cure sia nato un classico: appena uscito, ha già conquistato un posto nello scaffale dei grandi dischi della storia del rock.

Danilo Fastelli

Radical optimism - Dua Lipa

Insieme a pochi altri nomi, Dua Lipa è la rappresentante del pop più mainstream, ma lo fa bene. Il suo nuovo album è l’equivalente musicale di un kolossal hollywoodiano, ed è la perfetta colonna sonora da usare in palestra. Poi però l’ascolta anche chi non fa sport dal 1995. E c’è un motivo: fa stare bene.

Daniele Erler

The Tortured Poets Department - Taylor Swift

Il doppio album da record di Taylor Swift corona una fase straordinaria di una carriera straordinaria. Ma non è questo che lo rende esempio dello spirito dei tempi. Come la maggior parte dei dischi di Swift, è un esercizio di autofiction: un gioco di specchi che qui diventa ancora più evidente, soprattutto nelle canzoni che chiudono prima e seconda parte, Clara Bow e The Manuscript.

Maria Tornielli

Invincible shield - Judas Priest

Qui bisogna mettersi d’accordo. Per qualcuno la coerenza è un pregio e per qualcun altro è indice di una mancata evoluzione. I Judas Priest fanno quello che si aspettano generazioni di metallari, e lo fanno con una certa maestria. C’è chi ritiene che sia un po’ fuori tempo massimo e forse è vero. Ma fa pensare che l’heavy metal, come tutto il rock n roll, sia immortale.

Daniele Erler

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