Nel numero de L’Espresso del 10 ottobre 1982 Umberto Eco scrive un Elogio del riassunto. Spiega quanto sia utile fare dei riassunti, che lui ne ha fatti molti, non solo a scuola – dove in genere si odiano – ma anche dopo. Non ci dice cosa sia un riassunto, ma ne accumula alcuni e fa seguire 12 esempi chiesti a vari scrittori, poeti e saggisti: ecco in esclusiva per Finzioni quelli di Italo Calvino, Alberto Arbasino, Cesare Garboli, Giovanni Raboni. L’editore Henry Beyle li ripropone ora in un magnifico libretto illustrato da Tullio Pericoli.


Tutti abbiamo sofferto per dei cattivi riassunti, o per aver conosciuto certi testi solo attraverso un riassunto. E abbiamo odiato la scuola quando ci faceva fare dei riassunti. Ma i riassunti sono come lo studio a memoria.

L’arte del riassunto è importante e utilissima, e la si impara facendo molti riassunti. Fare riassunti insegna a condensare le idee. In altre parole insegna a scrivere.

Un tipo particolare di riassunto è il riassunto di un romanzo. È chiaro che non si può riassumere tutta la trama. Scegliere non significa solo selezionare dei fatti, ma pronunciare implicitamente un giudizio critico. Quindi il riassunto di un romanzo non è mai un caso di semplice informazione: è un atto critico. Una volta Francis Fergusson ha detto che il riassunto dell’Edipo Re era «cercate il colpevole». Non c’è male, sottintende persino l’interpretazione freudiana. Ne deriva, per il lettore di riassunti, che il riassunto di un romanzo non serve mai per sapere qualcosa sul romanzo, ma per sapere qualcosa sul critico che lo riassume. Eppure, talora un buon riassunto potrebbe dire di più su un romanzo che un libro di duecento pagine. Dipende. Cercherò di dare l’esempio di alcuni possibili riassunti dell’Ulisse di Joyce. Il primo è quello che appare, in sedici righe dattiloscritte, come richiesto, tra gli esempi che seguono. Mi sono posto il problema di dire a qualcuno che non lo sa in che senso l’Ulisse è un romanzo, senza attardarmi solo sulla trama, perché l’Ulisse è un romanzo in cui la trama è abbastanza pretestuosa. Ma avrei potuto fare un riassunto del tutto diverso, per scopi non didattici. Per esempio: «Uscito alla metafisica ricerca di un figlio, ebreo dublinese sensuale e pasticcione, mette un amante nel letto della moglie insoddisfatta». Oppure: «La vita quotidiana a Dublino, città-universo, vista in parte dal di fuori e in parte dal di dentro, attraverso la testa di tre persone». O ancora: «Il mito omerico rivisitato in chiave piccolo borghese, ovvero la nostra epica non può essere che in giacca e bombetta, e non sappiamo chi ci aspetta a Itaca». Ultimo: «Un giovane che filosofeggia, un uomo che vorrebbe far l’amore, una donna che lo farà, ma mentre loro pensano, chi fa davvero l’amore è il linguaggio». Tutte battute da locandina dei film con tre palle e tre stelle. E però contengono un’interpretazione, un’indicazione di lettura, per nulla scherzosa.

© 2025 Eredi Umberto Eco

Italo Calvino

Robinson Crusoe

di Daniel Defoe

Un naufrago raggiunge un’isola deserta, unico scampato. Ha con sé solo pipa e tabacco. Dal relitto faticosamente recupera provviste, rum, armi, munizioni (andrà a caccia d’uccelli e capre), ascia e sega (costruirà un fortino), chicchi di grano (seminerà e raccoglierà). Trova anche denaro («A che servi?», ma lo prende), penne inchiostro e carta; tre Bibbie; cani e gatti. Si fa un tavolo, una sedia, si mette a scrivere: un bilancio della sua sorte in due colonne, il male e il bene che lo compensa, per cui ringrazia Iddio. Fa tutto da sé: reinventa l’agricoltura; fa il vasaio; si veste di pellicce. Ha un pappagallo, sola voce amica. Dopo quindici anni di solitudine (anelando ritrovare i suoi simili) una scoperta lo terrorizza: l’orma d’un piede sulla sabbia! Tribù sogliono sbarcare a celebrare riti cannibalici. Sparando, salva una futura vittima. Il selvaggio Venerdì riconoscente diventa suo suddito: lavora obbediente la terra; studia il Vangelo. Altre vittime liberate poi: il padre di Venerdì e un bianco (ma spagnolo, dunque nemico: altro pericolo!). Sbarcano finalmente degli inglesi; portano prigionieri legati (Venerdì crede anche i bianchi cannibali); sono marinai ammutinati. Gli ufficiali, salvati, recuperano la nave: dopo ventotto anni Robinson lascia l’isola.

© 2025 Eredi Italo Calvino

Alberto Arbasino

Madame Bovary

di Gustave Flaubert

La Biblioteca ha colpito ancora. Dopo Don Chisciotte sul campo dell’avventura cavalleresca, la nuova vittima della iper-lettura sconsiderata si chiama Emma Bovary, nella sfera dell’evasione romantica e velleitaria dalle miserie senza splendori del quotidiano trantran. (Nei Promessi sposi, invece, la Biblioteca incoraggia l’inazione: dunque non vi sarà un «donferrantismo» proverbiale accanto al donchisciottismo e al bovarismo). «La Bovary sono io», dichiara giustamente Flaubert, collezionista maniacale di banalità e stoltezze preferenzialmente immagazzinate in Bouvard e Pécuchet, ma attribuite alla Signora ove si privilegi il Kitsch sentimentale della passione e dello Chic, retribuito con punizioni crudeli: non emottisi eleganti, ma l’usuraio e il veleno per topi. I veri protagonisti: non povere donne sognanti e rustici modesti, azzimati vagheggini e positivisti filistei, bensì artifici strutturali bellissimi, e la messa a morte anticipata delle idee «middlebrow».

© 2025 Adelphi edizioni

Cesare Garboli

I miserabili

di Victor Hugo

Un ragazzo ruba due candelabri a un prete. «Perché l’hai fatto?». « Mah...». Jean Valjean (è il nome del ragazzo) è un operaio sadomasochista che finisce forzato. Evade e incontra Cosetta, una bambina che lui proteggerà come una figlia. È uno che spaccherebbe con un pugno il collo di una mucca. È però perseguitato da un certo Javert che assomiglia a Basil Rathbone. Javert è la guardia e Jean il ladro. A un tratto Javert smette di giocare e si ferma a guardare l’acqua che scorre sotto il ponte di Notre-Dame. Ci sono state le barricate e Jean gli ha salvato la vita. A Javert non resta che posare il cappello sul parapetto e buttarsi giù. Ma intanto Jean ha cambiato casa e si è sottratto alla gratitudine di Cosetta. «Ci sono in Parigi delle vie dove nessuno passa e delle case dove nessuno entra». Là, in una di queste vie, Jean comincia a vestire decentemente di nero e a vergognarsi di sé. Non è più miserabile, non è più ragazzo e non è più perseguitato. Ma siccome non se la sente di peccare d’incesto, non è più nessuno.

© 2025 Eredi Cesare Garboli Published by arrangement with The Italian Literary Agency

Giovanni Raboni

Alla ricerca del tempo perduto

di Marcel Proust

Swann, ricco amatore d’arte che frequenta gli aristocratici, fra cui i Guermantes, s’innamora di una cocotte, Odette de Crécy, e la sposa. Marcel, giovane malaticcio e sensibile, s’innamora di Gilberte, loro figlia, e poi di Albertine, che sospetta di tendenze saffiche. Uno dei Guermantes, il barone di Charlus, s’innamora del musicista Morel. Passioni tormentose, segnate dalla gelosia e dall’impossibilità di conoscere chi si ama. Anche gusti, reputazioni e ambienti sono mutevoli, inafferrabili: Biche si trasforma nel grande Elstir, Cottard in un medico famoso; l’idolo delle donne Saint-Loup è omosessuale; Odette e la ridicola Madame Verdurin s’imparentano con i Guermantes. Solo nel tempo, e nella memoria che ne ricompone il fluire, ciò che nel presente è perduto acquista realtà e senso; al loro ritrovamento Marcel, divenuto scrittore, dedicherà la vita.

© 2025 Eredi Giovanni Raboni Published by arrangement with The Italian Literary Agency

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