Il caso di Hvaldimir, il cetaceo accusato di essere una spia russa ritrovato morto a inizio mese, non è solo una spy story un po’ bizzarra: mette anche al centro del dibattito pubblico i limiti etici dell’uso di animali per scopi militari
Una spy story può avere come protagonista un beluga? Un cetaceo può essere uno 007? Sono pochi i punti fermi della storia di Hvaldimir, il cetaceo che si è ipotizzato lavorare come “spia” russa, ritrovato morto a inizio settembre in acque norvegesi.
Sappiamo che era arrivato lì, in Norvegia, nel 2019, quando è stato avvistato per la prima volta con una GoPro su un’imbracatura che portava la scritta “attrezzatura di San Pietroburgo”. Sappiamo che esiste una controversia sulle cause della sua morte. Sappiamo che esiste un ampio dibattito su chi fosse da vivo. E sappiamo che, per quanto possa sembrare bizzarra, l’idea di un beluga addestrato a fare la spia non è così fuori dal mondo. Al contrario, l’uso di cetacei per scopi di intelligence e militari è molto ben documentato e ha una lunga storia.
Beluga story
Era aprile del 2019, quando un beluga con una GoPro e un’imbracatura che portava la scritta “materiale di San Pietroburgo” è stato trovato da barche di pescatori norvegesi vicino all’isola di Ingoya, vicino al porto di Hammerfest. All’epoca, il comportamento dell’animale nei confronti delle imbarcazioni e il suo temperamento docile con gli umani hanno fatto ipotizzare che si trattasse di un animale addestrato dalla marina russa. Una teoria suggestiva abbastanza da aver determinato il nome del beluga, che è una crasi tra la parola norvegese hval, balena, e il nome di battesimo del presidente russo Vladimir Putin.
Non tutti hanno però sostenuto le accuse di spionaggio mosse al beluga: è stato ipotizzato che si trattasse di un cetaceo addestrato da organizzazioni di civili, per intrattenere bambini.
Anche la fine della sua storia rischiava di diventare un giallo. Hvaldimir è stato trovato morto il 1° settembre, il cadavere galleggiava al largo della città sudoccidentale Risavika. L’organizzazione animalista One Whale ha detto che il beluga sarebbe stato ucciso con un colpo d’arma da fuoco. Un’altra organizzazione, Marine Mind, ha invece sottolineato che prima dell’autopsia è impossibile sapere quale sia stata la causa della morte.
Martedì 10 settembre, la polizia norvegese ha poi messo fine a ogni speculazione, dicendo che non è stata un’«attività umana» a causare direttamente la morte dell’animale: Hvaldimir è morto dopo che gli si è conficcato un bastone in bocca.
Come spiega la Bbc, sia One Whale che Marine Mind sono entrambe organizzazioni nate per seguire i movimenti del beluga. Ma si sono trovate su fronti opposti sul tema di come proteggere Hvaldimir. One Whale voleva trasferirlo nelle acque del nord, habitat più naturale per i beluga e soprattutto lontano da un luogo in cui era diventato quasi un’attrazione turistica. Mentre per Marine Mind spostare l’animale avrebbe comportato rischi per la sua incolumità.
Il programma sovietico
Non è detto che si arrivi a una verità su Hvaldimir. Ma le “accuse” di spionaggio che gli sono state mosse hanno una loro plausibilità. È noto infatti che a partire dagli anni Sessanta, in Unione sovietica, si è cercato di addestrare beluga, delfini, leoni marini e foche per insegnare loro a recuperare oggetti in profondità e a trovare mine.
Il programma è ufficialmente stato dismesso con il crollo dell’Urss. Ma ancora oggi probabilmente la Russia fa uso di delfini per scopi militari. Secondo un report dell’intelligence britannica citato da Politico, dopo l’invasione dell’Ucraina l’esercito russo avrebbe usato delfini per difendersi dalla resistenza della marina ucraina nel mar Nero, nel porto occupato di Sebastopoli in Crimea.
Nella marina americana
Le forze armate americane non fanno invece mistero del fatto che utilizzano cetacei come supporto a operazioni di sicurezza. È infatti dagli anni Sessanta che la marina ha iniziato a sperimentare l’uso di mammiferi acquatici per scopi bellici. Il U.S. Navy Marine Mammal Program, che fa base a San Diego, è ancora attivo e riguarda nello specifico due specie: il tursiope (Tursiops truncatus) e l’otaria della California (Zalophus californianus).
Le otarie vengono addestrate per recuperare oggetti nei porti o in profondità in mare aperto. I delfini, invece, grazie al fatto di possedere «il sonar più sofisticato che la scienza conosca», vengono usati per individuare mine nel fondale oceanico, che difficilmente potrebbero essere rilevate con un sonar meccanico.
Durante la Guerra Fredda la marina aveva anche addestrato due orche e un globicefalo a recuperare siluri dal fondo dell’oceano.
I programmi della Cia
Ma negli Stati Uniti non c’è solo il Marine Mammal Program. La Cia ha spiegato di aver utilizzato (o provato a utilizzare) animali a scopo di spionaggio per decenni. Il progetto OXYGAS, per esempio, partito nel 1964, aveva l’ambizione di insegnare ai delfini a infiltrare i porti e ad attaccare esplosivi su navi straniere.
Ma gli esperimenti della Cia non si sono limitati ai cetacei. Ci sono stati ad esempio i piccioni attrezzati con minuscole macchine fotografiche, mandati in missioni di ricognizione in paesi stranieri durante la Guerra Fredda. La specie, spiega l’agenzia, era stata scelta perché molto comune e poco sospetta: la spia perfetta.
Meno efficaci come agenti segreti si sono dimostrati invece i gatti. Tra il 1964 e il 1967, la Cia ha provato a utilizzarne uno per origliare conversazioni. Gli è stato installato un microfono nell’orecchio, impiantato un trasmettitore sottopelle e intrecciata un’antenna nel pelo.
Tutto perfettamente funzionante, tranne per un dettaglio: è decisamente difficile convincere un gatto ad andare dove non vuole andare. «Durante le prove sul campo, il gatto è andato dove gli pareva e non nei posti in cui volevamo che andasse», ha ammesso la stessa Cia in un articolo web.
Le implicazioni etiche
Quando nel 2019 Hvaldimir è arrivato in Norvegia ha portato con sé anche una serie di interrogativi sulle implicazioni etiche dell’uso di animali per attività militari. «Oltre ad avvelenare gli oceani noi umani siamo anche in grado di avvelenare le menti degli animali che li abitano», ha commentato lo zoologo Jules Howard in un op-ed pubblicato sul Guardian con il titolo “L’umanità ha davvero perso la strada se stiamo utilizzando i beluga come armi”.
Anche prima di Hvaldimir la moralità di questo tipo di operazioni è stata messa più volte in discussione. Il celebre filosofo antispecista Peter Singer, sempre sul Guardian, nel 2012 durante un momento di tensione tra gli Stati Uniti e l’Iran ha commentato il possibile uso di delfini sminatori. «Gli Stati Uniti non arruolano più i loro cittadini per combattere le loro guerre. Tutte le sue truppe umane sono volontarie. Ma anche i soldati di leva hanno alcuni diritti fondamentali. I delfini non ne hanno», è la contraddizione sottolineata da Singer.
E mentre sappiamo poco del programma di addestramento sovietico, quello operato dalla marina americana è stato anche oggetto di critiche.
Un intervento pubblicato l’anno scorso sul sito dell’International Marine Mammal Project sottolinea inoltre che usare animali selvatici per queste attività è potenzialmente più problematico rispetto all’arruolare, per esempio, cani.
«I cani sono stati addomesticati per oltre 30mila anni, mentre i delfini sono ancora animali selvatici. L’uomo è in grado di offrire un mondo socialmente ricco ai cani, che possono vivere a stretto contatto con l’uomo, ma sarebbe estremamente difficile creare lo stesso rapporto armonioso tra uomo e mammiferi marini. È stato dimostrato, ad esempio, che la cattività espone i delfini allo stress, alla noia, alla soppressione del sistema immunitario e spesso alla morte precoce», ha scritto nel 2023 la ricercatrice Riley Freitas.
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