Gipi firma una fantasia nerissima di rivalsa contro il politicamente corretto: in Stacy descrive il cosiddetto backlash – ovvero il contraccolpo – di tutte le strategie di moralizzazione pubblica, quella reazione che porta sempre più persone a radicalizzarsi a destra
Gipi torna sullo shitstorm di cui è stato vittima nel 2021, raccontando in Stacy (Coconino Press-Fandango) le conseguenze sproporzionate subite da un uomo che racconta pubblicamente un banale sogno. Ma i sogni sono davvero banali? Stacy descrive il cosiddetto backlash – ovvero il contraccolpo – di tutte le strategie di moralizzazione pubblica, quella reazione che porta sempre più persone a radicalizzarsi a destra.
Gipi ha trasformato il suo risentimento in opera d’arte, mostrando che esistono ancora spazi di libertà di espressione.
In una scena dei Fiori blu di Raymond Queneau, uno dei più esilaranti romanzi filosofici del Novecento, il protagonista Cidrolin vuole raccontare un sogno ricorrente alla sua donna delle pulizie: lei rifiuta, perché «non si fa». Dando voce a un’atavica saggezza popolare precisa che «raccontare i sogni è maleducato e indecente». Cidrolin ci pensa su e ammette: in effetti potrebbe essere… pericoloso.
Raccontare un sogno è stato effettivamente pericoloso per Marsia, il capo delle guardie di Dionisio I di Siracusa, che ebbe l’ardire – diciamo pure l’idea del cazzo – di raccontargli di aver sognato di ucciderlo. Il tiranno lo fece giustiziare. E raccontare un sogno – quello in cui immagina di rapire e torturare una ragazza di nome Stacy – è stato effettivamente pericoloso anche per Gianni, il protagonista del nuovo fumetto di Gipi, intitolato appunto Stacy. In questo caso a ordinare l’esecuzione di Gianni, nella più blanda forma dello shitstorm, è il tribunale dei social.
Cosa fare con i sogni
Stacy è il libro con cui Gipi, all’anagrafe Gianni (Pacinotti), tenta di fare i conti con lo shitstorm di cui è stato vittima nel 2021, quando una breve strip pubblicata su Instagram (non un sogno, dunque) aveva scatenato un acceso dibattito. Il fumettista ironizzava su un tema molto sentito, ovvero l’idea che si debba credere per principio a una donna che denuncia una violenza. Si sa come vanno le cose ormai: quando un contenuto diventa virale, alle critiche si aggiungono gli insulti e agli insulti le minacce, creando una vera e propria gogna collettiva.
Ma la storia del sogno di Stacy assomiglia più da vicino a due altre vicende del mondo fumettistico: quella di Mattia Labadessa, che nel 2018 aveva raccontato una sua presunta fantasia sessuale dai risvolti illeciti, e quella di Bastien Vivès, che ha disegnato due volumi pornografici con protagonisti dei minorenni. Entrambi gli autori hanno subito danni pesanti alla loro carriera.
In altre epoche sarebbero finiti peggio. L’opportunità di rendere pubblici i propri sogni e le proprie fantasie è stato un tema di dibattito per secoli. Per gli antichi, i sogni erano profetici e in quanto tali avevano effetto sulla realtà: da Abramo a Costantino, essi potevano servire a mobilitare dei popoli attorno a una visione comune.
Raccontare un sogno era un atto linguistico e pragmatico che non veniva certo eseguito alla leggera. Secondo un hadith del Profeta, se un musulmano sogna qualcosa di spaventoso non lo deve raccontare a nessuno, bensì pregare Allah per scongiurare ogni danno che ne potrebbe derivare.
Difficile allora biasimare il tiranno Dionisio per aver fatto giustiziare Marsia. Raccontandogli il suo sogno – davvero, davvero un’idea del cazzo – aveva formulato nella peggiore delle ipotesi una minaccia, nella migliore un’offesa. Terza ipotesi, Marsia era semplicemente scemo, ma chi vorrebbe uno scemo come capo delle guardie?
Il disagio nella civiltà
Psicologi e filosofi di fine Ottocento (nomi oggi dimenticati come Friedrich Scholz o Francisque Bouillier) si sono spesso interrogati sullo statuto morale delle azioni sognate. Nell’Interpretazione dei sogni, Sigmund Freud lo farà evocando proprio la vicenda del tiranno Dionisio.
Ma è solo nel Disagio della civiltà che lo psicanalista austriaco fornirà una chiave di lettura che potrebbe tornarci utile nella vicenda di Stacy, descrivendo la società umana come un fragile compromesso tra le pulsioni dell’Es e le esigenze regolatrici del Super-Io. I sogni devono essere tenuti a bada se vogliamo vivere tutti assieme in pace; ma in quel tenerli a bada nasce anche un disagio - quel disagio che nel libro di Gipi cresce di pagina in pagina, corrode il protagonista ed esplode nel finale.
Quella di Stacy, infatti, è una magnifica storia di radicalizzazione. Gianni viene messo in scena come un artista ingenuo e incapace di stare al mondo. Uno stupidotto che, posto di fronte alle conseguenze – è vero, sproporzionate – di una sua azione particolarmente stupida, inizia a essere tormentato da un demone. È il demone del risentimento, della rivalsa, della vendetta. Perché i nemici mi hanno attaccato e soprattutto perché gli amici non mi hanno difeso?
Una storia di radicalizzazione
Dapprima il protagonista cerca di darsi delle giustificazioni, sempre meno convincenti: il problema sono poche parole decontestualizzate; la gente sui social non capisce niente; confondono il linguaggio con la realtà; sono ragazzini viziati; inseguono soltanto i like; non accettano l’esistenza del male nel mondo… Gianni non è in grado, cioè, di ammettere quella verità antichissima: «Raccontare i sogni è maleducato e indecente», ma soprattutto pericoloso.
Attingendo all’archivio ormai vetusto della saggezza illuminista il personaggio si aggrappa al feticcio della verità, senza distinguere – come invece opportunamente fa Tiziano Scarpa nel suo La verità e la biro (Einaudi) – «le cose che si possono dire e quelle che è meglio tenere segrete per non sgretolare la società».
Proprio perché il male esiste e non può essere eliminato, la civiltà si era dotata di rituali per esorcizzarlo, neutralizzarlo, canalizzarlo, nasconderlo. Se necessario, anche tacendo qualche verità. Come quelle che ribollono nel fondo oscuro del nostro inconscio: pulsioni di sesso e di morte.
Infine Gianni cede al suo lato oscuro, accetta di «diventare un vero mostro» come gli chiede il demone. La parabola narrata da Gipi è in ciò esemplare: descrive il cosiddetto “backlash” – ovvero il contraccolpo – di tutte le strategie di moralizzazione pubblica. Quella reazione che porta sempre più persone a scivolare verso la destra e l’estrema destra, se non addirittura verso la violenza politica. È il disagio della civiltà al tempo dei social network.
Liberi di sbagliare
Gianni, dicevamo, viene messo in scena come un artista ingenuo e incapace di stare al mondo. Ma non è appunto questo, sembra dirci Gipi, il privilegio degli artisti?
La storia umana gli dà ragione fino a un certo punto: se la libertà d’espressione assoluta non è mai esistita, è pur vero che la finzione artistica ha sempre costituito un metodo efficace per aggirare alcuni interdetti, ricorrendo agli opportuni mascheramenti e disponendo le necessarie soglie per separare la finzione dalla realtà. Ne è la prova Stacy, che pur raccontando le fantasie omicide di un autore contro il mondo progressista (nientemeno) ha comunque potuto essere recensito con entusiasmo sulle pagine di Repubblica.
Questo è possibile perché Gipi non ci ha semplicemente raccontato il suo sogno di rivalsa, ma ha trasformato quel sogno in opera d’arte. E non un’opera didascalica e fiacca com’era la strip “problematica” del 2021, bensì un’opera profonda, articolata e ambigua, che può essere letta sia come un estenuante flusso di coscienza vittimistico – nel quale l’autore si dipinge come uno stupidotto pur di non prendersi le sue responsabilità – che come un viaggio senza sconti nelle contraddizioni dell’uomo moderno.
Dal sogno all’incubo
Non è un caso, ad esempio, che Stacy sia, nel lessico della subcultura maschilista incel, la compagna del Chad, ovvero il maschio alfa. O forse è un caso, chi lo sa. Non è un caso che molti degli argomenti riportati da Gianni nelle sue tirate suonino diritti usciti da La pazzia delle folle di Douglas Murray (Neri Pozza), uno dei manifesti del pensiero neo-conservatore. O forse è un caso, chi lo sa.
Quel che è certo è che Gipi non è uscito indenne da quell’esperienza del 2021. Con questo fumetto ha voluto lanciare un avvertimento, forse una minaccia: se le cose continuano così, a radicalizzarsi a destra saranno tutti i Gianni di questo mondo. Non nostalgici del duce ma sinceri progressisti, non fanatici dell’Antico Regime ma illuministi delusi scaraventati in un mondo in cui sono cambiate le regole del gioco. Il disagio della civiltà si accumula e sta superando il livello di guardia.
Stacy (Coconino Press 2023, pp. 264, euro 23) è un graphic novel di Gipi
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