L’incontro tra vecchio e nuovo, vita e morte, uccisione e rinascita, è il motore che muove non solo la filmografia. Così, i due concerti di Capodanno trasmessi in tv sono la rappresentazione mediatica e musicata dei nostri bagagli esistenziali, una parata di volti che rimbalzano le due grandi domande su cui si basa il mezzo di comunicazione che è invecchiato peggio di tutto il Novecento. Un pendolo che oscilla tra il «ma questo chi è?» e il «ma questo è ancora vivo?»
«Hai visto? Non mi sono fatta mettere i piedi in testa, l’ho ammazzato», dice Monica Bellucci col trucco che le cola sul viso e i capelli scompigliati; sullo sfondo, Marco Giallini morente, infilzato dall’arpione di un fucile subacqueo. Pochi istanti prima erano vestiti di tutto punto, lei con un abito color salmone e l’acconciatura perfetta che gira tra gli ospiti offrendo finocchiona e tartine, lui incamiciato e incravattato che flirta con l’amante portata in casa proprio durante la notte in cui si fa la resa dei conti col passato. Il film è L’ultimo capodanno, di Marco Risi, dal racconto scritto da Niccolò Ammaniti: quando uscì, questo trionfo di pulp all’italiana con il cast più promettente di fine secolo – ci sono Claudio Santamaria, Beppe Fiorello, Ricky Memphis, Giorgio Tirabassi, Adriano Pappalardo vestito da wrestler, Alessandro Haber con giarrettiere e bustino, tra le altre cose – non ebbe molta fortuna in sala. A rivederlo oggi, con tutti i suoi difetti e le sue trovate naif, è un distillato di isteria sansilvestrina, un rito catartico e corale in cui alla fine, per ripulirsi davvero dal peso del passato, esplode tutto. Niente si salva nei deliri dell’ultimo capodanno di Risi, e che cos’è la notte tra il 31 dicembre e il primo gennaio se non un tentativo corale di gettare dalle finestre le cose che non ci servono più?
Ne La meglio gioventù a lanciarsi sotto per porre fine allo strazio di un ennesimo conto alla rovescia tra botti e trenini era il personaggio interpretato da Alessio Boni, in Non buttiamoci giù un gruppo di potenziali suicidi si ritrova casualmente sullo stesso tetto per farla finita allo scoccare della mezzanotte e si salva reciprocamente dall’insano gesto. Bridget Jones inaugura il suo proverbiale diario con le soluzioni radicali che la porteranno a scegliere tra Hugh Grant e Colin Firth, l’amico del marito di Keira Knightley in Love Actually si presenta davanti casa sua con una raffica di cartelli in cui dichiara il suo amore per lei sapendo di non essere corrisposto; e non è un po’ un suicidio anche questo?
I due concerti di Capodanno trasmessi in tv
L’incontro tra vecchio e nuovo, vita e morte, uccisione e rinascita, è il motore che muove non solo la filmografia che alimenta aspettative e delusioni su questo ipotetico passaggio esistenziale che si attiva con lo scorrere dei numeri sul calendario ma anche i due eventi che animano la nostra televisione con una guerra fatta a colpi di Cristiano Malgioglio e pellicce sintetiche da oligarchi russi. I due concerti di Capodanno, L’anno che verrà su Rai 1 e Capodanno in Musica su Canale 5, sono la rappresentazione mediatica e musicata dei nostri bagagli esistenziali, una parata di volti che rimbalzano come su un tavolo da ping pong le due grandi domande su cui si basa il mezzo di comunicazione che è invecchiato peggio di tutto il Novecento, ma forse anche un po’ la vita stessa. Un pendolo che oscilla tra il «ma questo chi è?» e il «ma questo è ancora vivo?».
Per una serie di sfortunati eventi, come avrebbe detto lo scrittore americano Lemony Snicket, ho avuto la possibilità di guardare con i miei occhi dal vivo uno dei due riti pagani che ci traghettano nel prossimo giro della terra attorno al sole. Quest’anno, infatti, i due concerti hanno avuto luogo tra dirimpettai: da un lato, il lungomare di Reggio Calabria, dall’altro la piazza Duomo di Catania; i due palchi si guardavano da lontano, con l’Etna in mezzo che separa. Da un lato, un Marco Liorni amadeusizzato alla sua prima prova con un evento di questa portata, dall’altro la Stakanov di Canale 5, Federica Panicucci e i suoi cinque cambi d’abito, ciascuno più sgargiante di quello precedente. È stato emozionante scoprire che la Regione Siciliana, nei panni di Renato Schifani, membro storico dei berluscones, e di Enrico Trantino, sindaco di Catania e figlio del più noto deputato missino Vincenzo, sia riuscita nella mirabolante impresa di portare a casa l’ambita kermesse: la mia città d’origine prende molto sul serio le feste, come dimostra la devozione totalizzante che si impossessa del comune etneo ogni anno a Sant’Agata, ed era dai Festivalbar degli anni Zero con Elisabetta Canalis e Enrico Silvestrin che piazza Duomo e il suo elefantino non vedevano un palco così variegato.
Gigi D’Alessio e il momento di estasi collettiva
Ciò che posso dire di aver visto in queste quattro ore di diretta targata Mediaset è una distesa di folla contingentata che si fa i fatti suoi e si rianima a cadenza regolare per impugnare gli smartphone e fare videochiamate – il momento di vera estasi collettiva è stato quando D’Alessio ha abbozzato una Ciuri Ciuri al pianoforte – mentre decine di droni sorvolano le teste per catturare ogni briciola di giubilo nei confronti degli artisti che, tra playback e medley, si alternano con una velocità spaesante che a tratti si dilata all’infinito (il fattore Marco Masini). Il tempo, infatti, è il grande nemico della scaletta, e Federica Panicucci non perde occasione per ricordarlo: «sono ancora le dieci e un quarto e abbiamo ancora tanti artisti da ascoltare», nei suoi occhi c’è la scintilla del futuro, ma anche l’angoscia virgiliana dei minuti che scorrono. Sia a Catania sia a Reggio Calabria, il riscaldamento globale ha giocato a favore di camera, e se qualcuno – tipo me – rimpiange i cappotti damascati di Amadeus a Matera, quando il freddo temprava l’anima della festa, bisogna riconoscere che il clima mite del Meridione estremo aiuta soprattutto ballerine e ballerini che si trovano seminudi a danzare tra coriandoli e cantanti a disagio per la loro presenza sul palco. Il grosso dell’offerta di Canale 5, infatti, è la presenza assente di Maria De Filippi: mettendo da parte i classici della festa, gli apri-trenino come Tozzi a più riprese, Orietta Berti avvolta da un piumino di Mickey Mouse, Paola e Chiara cariche a pallettoni, Gigi D’Alessio headliner atteso della serata, e le esibizioni che disorientano il pubblico con incursioni estive – Baby K lo dice senza problemi, ero qua anche a Ferragosto, che piacere rivedervi tutti con i piumini –, Capodanno in musica è la prova generale per il serale di Amici.
La prova generale di Sanremo
Dall’altro lato dello stretto di Messina, invece, il continente fa la prova generale di Sanremo, con tanto di imprevisto virale che scalda il pubblico per le gaffe e i meme che tra poco più di un mese inonderanno le nostre timeline. «Aprimi il microfono, testa di cazzo», ha detto con eleganza Angelo dei Ricchi e Poveri rivolgendosi a un non precisato sabotatore della sua performance a pochi secondi dall’arrivo del 2025. Archiviate le scuse democristiane di Liorni, elegante, premuroso e posato – very demure, avremmo detto questa estate –, l’exploit del cantante è forse l’urlo liberatorio e catartico che meglio incarna lo spirito di questo momento dell’anno. Specialmente se inserito in una scaletta che, come anticipato, fa da heating up dell’Ariston, un Ariston che di recente si fa desiderare mettendo in discussione le fondamenta del festival: sarà ancora su Rai 1? Sarà per sempre su Rai 1? Cosa sarà Rai1 senza Sanremo, e cosa sarà Canale 5 senza Maria De Filippi? Nel dubbio, per fare slalom tra l’horror vacui, ci facciamo coccolare da una carrellata di vecchie glorie impacchettate a festa, Patty Pravo, Donatella Rettore, Cristiano Malgioglio, nuove leve, Big Mama, Leo Gassman, festaioli di professione come i Los Locos e artisti di mezzo, J-Ax in veste di space cowboy, Arisa e Diodato che azzarda un richiamo alla Palestina e all’Ucraina mentre i sottotitoli del karaoke viaggiano in sovraimpressione.
Se Gramsci avesse visto la tv il 31 dicembre
A un certo punto de L’ultimo Capodanno, verso il finale catastrofico, quando tutto comincia a cadere a pezzi, Adriano Pappalardo in canottiera e lunghi capelli biondi da vichingo prende un televisore su cui stava andando in onda il programma di fine anno con Riccardo Rossi e lo lancia dal balcone, ammazzando un ragazzino che stava sotto. È il gesto che anticipa la distruzione totale, la fine del mondo, quella che un po’, sotto sotto, ci aspettiamo con la fine del conto alla rovescia. Che avvenga qualcosa di epocale e devastante, che la terra esploda come nella profezia dei Maia nel 2012 o che il pianeta si sbricioli come alla fine di Don’t look up, mentre tutti siamo a cena a brindare per l’ultima volta, con lo schermo piantato su Rai 1 o su Canale 5 e la tentazione liberatoria di lanciarlo dalla finestra. In questi giorni, tra i vari propositi e le pulsioni distruttive, torna spesso Gramsci sul Capodanno: «Perciò odio questi capodanni a scadenza fissa che fanno della vita e dello spirito umano un’azienda commerciale col suo bravo consuntivo, e il suo bilancio e il preventivo per la nuova gestione», e chissà cosa avrebbe scritto se avesse avuto una televisione davanti nella notte del 31 dicembre.
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