C’è attesa per le prossime mosse dell’ad che finora ha preferito un linea attendista. Coletta verso il coordinamento dei generi, l’ex ministro guarda alla sede francese
All’inizio si diceva che bisognava aspettare che i direttori prendessero le misure ai loro incarichi, poi che bastava attendere il subentro di Giampaolo Rossi a Roberto Sergio, poi che Simona Agnes venisse eletta presidente. Un rinvio dopo l’altro, uno scaricabarile durato un anno e mezzo, e la Rai è ancora ferma.
Una zavorra che non fa altro che creare problemi a Giorgia Meloni, più che aiutarla a veicolare la sua narrazione. O meglio, l’identità di nazione che ha in mente l’amministratore delegato che, dopo tante fatiche, Fratelli d’Italia è riuscita a portare al vertice della Rai. E all’orizzonte non c’è traccia di un cambio di passo.
La risposta di Rossi, a chi gli chiede lumi, è sempre la stessa: «È la politica che rallenta tutto». Vero, almeno in in parte, visto che la conferma della presidente designata in commissione di Vigilanza è appesa da mesi a uno stallo politico che non accenna a risolversi. E sull’indisponibilità di una parte delle opposizioni a votare Agnes si è impantanato anche il destino del Tg3, per cui è stato rinnovata la direzione ad interim di Pierluca Terzulli, sostenuto da M5s e Avs.
L’addio di Mario Orfeo è stato uno dei passaggi chiave dell’anno, che ha aggiunto anche la casella del notiziario alle nomine già in scadenza, presidiate, per il momento, con direttori ad interim. Un’altra gatta da pelare nel 2025, sulla carta prima di Sanremo. Anche se, come si sa in azienda, prima del festival non si muove foglia.
Le difficoltà
Ma c’è anche un problema di linea. La Rai viene da un anno difficile, costellato di scandali e polemiche. Dal caso Scurati della scorsa primavera, quando lo scrittore è stato invitato e disinvitato nel giro di poche ore dal pro
gramma di Serena Bortone per paura di una combinazione infelice – dal punto di vista del governo – tra un monologo su Giacomo Matteotti e il 25 aprile. Alla vicenda delle elezioni legislative francesi, oscurate su Rainews24 per dare spazio al festival delle Città identitarie di Pomezia.
O, ancora, l’«infame» pronunciato da Paolo Corsini, raccolto dalla trasmissione Piazzapulita, e rivolto, secondo il direttore Approfondimento a un gradino della Gnam e non alla giornalista di La7. Per finire con la vicenda del Tar della Liguria, secondo cui il marchio del festival di Sanremo, dal 2026, andrà messo a gara (l’azienda sta ancora formulando il ricorso da presentare al Consiglio di stato).
Perdere l’asset più importante per viale Mazzini sarebbe una catastrofe. Già quello che andrà in onda a febbraio sarà il primo senza la conduzione della “gallina dalle uova d’oro” Amadeus, lasciare il marchio minacciato è un rischio che non si può correre.
Gli ascolti
In tutto ciò, gli ascolti che restano al palo. È in sofferenza soprattutto Rai2 (compresa il tg diretto da Antonio Preziosi), ma anche Rai3 fatica sempre di più. Giusto qualche giorno fa Pier Silvio Berlusconi ha potuto gioire del fatto che «anche quest’anno, nonostante il servizio pubblico avesse gli Europei e le Olimpiadi e noi mezza Champions in meno, siamo un soffio sopra la Rai». In azienda aspettano che qualcuno al settimo piano batta un colpo. Per ora, invano.
TeleMeloni non funziona. La ragione sta nei palinsesti in salita, addii e nuovi innesti che devono ancora decollare (o non sembrano in grado di farlo). Vittima eccellente, come sempre, l’approfondimento, che continua a soffrire. Se Bruno Vespa – che nel 2025 deve rinnovare il proprio contratto, altro grattacapo per gli inquilini di viale Mazzini, visto che il conduttore ha già evocato la «generosità» manifestata da parte dell’azienda nei confronti dei suoi colleghi – si lamenta del traino, nel caso del fallimento di L’altra Italia la colpa era della collocazione sfavorevole del giovedì sera su Rai2.
Antonino Monteleone ripartirà con una seconda serata, mentre Salvo Sottile con il suo Far West continua a combattere il venerdì sera dopo che gli è stata sfilata la sua collocazione del lunedì, dove adesso comanda Massimo Giletti: uno viaggia intorno al 3 e l’altro al 5 per cento, ma non sono certo situazioni facili.
Se l’approfondimento zoppica, il day time cammina ma di certo non corre. A mantenere in vita la programmazione diurna sono le vecchie glorie, da È sempre mezzogiorno a La vita in diretta. L’esperimento di Angelo Mellone di Binario 2, che avrebbe dovuto raccogliere l’eredità di Fiorello e il suo VivaRai2 che aveva portato la seconda rete a vette di share che non raggiungeva (e non ha più raggiunto in questa stagione), non ha dato il risultato sperato ed è stato sospeso prima di Natale.
Le aspettative
Eppure per il nuovo anno sono attese grandi manovre dall’ad. Anche se c’è chi dubita che chi fino a oggi ha mostrato una strategia attendista possa fare rivoluzioni. Tanti i temi da affrontare: c’è chi vuole tornare all’ordinamento a reti, buttando a mare l’organizzazione per generi (prime time, day time e approfondimenti) che non è riuscita a risolvere sovrapposizioni come quella che danneggia gli spazi informativi che vanno in onda, in contemporanea, sui tre canali generalisti nel primo pomeriggio (La volta buona, Ore 14 e la Tgr) ma rispondono a tre diverse direzioni.
Per il momento si tratta però di un’ipotesi. Più concreta la nomina di Stefano Coletta come coordinatore dei generi, un incarico per cui al settimo piano le aspettative sono alte. «Qualcuno crede sia la panacea di tutti i mali» osservano, ma il rischio è che – nonostante la stima trasversale di cui gode l’ex direttore di Rai3 – si creino comunque conflitti con i direttori di genere.
Nella lista delle priorità dell’ad per il 2025 c’è anche un giro di corrispondenti che potrebbero cambiare collocazione nell’anno a venire. Marco Varvello, da tempo in servizio da Londra, quest’anno ha compiuto 65 anni e ormai guarda alla pensione: al suo posto punterebbe Nicoletta Manzione, attualmente di stanza a Parigi. E sotto la torre Eiffel potremmo ritrovare una vecchia conoscenza: per la direzione della sede avrebbe infatti espresso interesse nientemeno che Gennaro Sangiuliano, ancora in ferie dopo il suo rientro in Rai ma generosamente accolto a più riprese negli studi di viale Mazzini in qualità di esperto di Donald Trump.
Altra questione, il piano per la riforma delle news. In passato erano fiorite diverse proposte di riorganizzazione delle testate, tra le altre il piano Newsroom che proponeva un’unica grande redazione condivisa da tutte le testate. Il piano, elaborato da Monica Maggioni, direttrice dell’offerta informativa, sarebbe sul punto di essere ultimato, ma non è ancora arrivato sul tavolo dell’ad. L’aspettativa in azienda è che si incentivino per esempio la produzione web-social, mai totalmente decollate nonostante una redazione ad hoc all’interno del gruppo di lavoro dell’all news.
«Sempre che vengano tutelati i livelli occupazionali» osservano dai sindacati. In effetti, nell’ultima riunione dell’anno, il consiglio d’amministrazione ha appena approvato un ulteriore incentivo all’esodo – che a differenza di quello del 2023 include anche i giornalisti – da 15 milioni di euro. In attesa ci sono sempre i precari di fase 2, che rivendicano i diritti maturati mandando avanti le redazioni senza contratti da dipendenti, ma anche il resto del panorama sindacale non lascia tranquillo l’ad.
Oltre alla storica opposizione di Usigrai, per Rossi e i suoi, negli ultimi giorni prima delle feste, si è aperta anche la ferita con Unirai, sindacato considerato vicino alla governance aziendale che però ha polemizzato con la decisione dell’ad di tenere il sindacato lontano dal tavolo delle trattative per il rinnovo del contratto. La lista delle grane da risolvere per Giampaolo Rossi si allunga.
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