Chi sarà il successore di papa Francesco? Ovviamente nessuno lo sa, ma lo stesso pontefice sembra essere sicuro del nome che sceglierà chi sarà eletto dopo di lui. Come ha detto in due occasioni. La prima volta il 27 settembre 2021 parlando con il vescovo di Ragusa che l’aveva invitato a visitare la città nel settantacinquesimo anniversario della diocesi. «Con una battuta mi ha risposto che nel 2025 sarà Giovanni XXIV a fare quella visita» rivelò il prelato siciliano.

Più vago è stato Bergoglio la seconda volta. Durante la conferenza stampa sul volo di ritorno dalla Mongolia lo scorso 4 settembre ha risposto a una domanda sul Vietnam e su una sua eventuale visita nel paese: «Se non andrò io, di sicuro andrà Giovanni XXIV».

Ma persino il papa non può prevedere il futuro. A differenza invece di non pochi giornalisti, i quali già da anni – con esercizi prematuri e inutili – si cimentano su quale cardinale sceglierà il prossimo conclave, e spesso hanno indicato e indicano il filippino Luis Antonio Tagle o l’italiano Matteo Zuppi.

La scelta del nome

Fino ai primi decenni del VI secolo i papi conservavano il nome di nascita. Ma l’ultimo giorno dell’anno 532 venne eletto il prete romano Mercurio, che decise di chiamarsi Giovanni II, forse ritenendo non adatto a un papa il nome del dio pagano. Mutarono poi nome alcuni pontefici: nel 561 e altri nel X secolo, quando l’uso si infittì e divenne stabile dopo l’elezione nel 1009 di un altro romano, Pietro. Questi – non osando mantenere il proprio nome, che era quello del primo degli apostoli – si chiamò Sergio IV.

Da allora hanno fatto eccezione e conservato il nome di battesimo soltanto due pontefici, entrambi riformatori, all’inizio dell’età moderna. Nel 1522 il fiammingo Adriaan Florenszoon – fino all’elezione di Wojtyła l’ultimo non italiano – fu così Adriano VI, e nel 1555 il marchigiano Marcello Cervini si chiamò Marcello II, ma regnò per sole tre settimane e alla sua memoria Palestrina dedicò la celeberrima Missa papae Marcelli.

La scelta del «nome» racchiude anche un «destino»: nomen omen dicevano i romani, e carico di significato nella Bibbia ebraica e cristiana è il mutamento dei nomi di figure chiave, da Abramo a Pietro. Poi, nella serie dei papi (e antipapi), Giovanni è il nome che ricorre con più frequenza, ma alla fine del X secolo l’incertezza delle notizie relative alle successioni sulla cattedra romana ha creato pontefici mai esistiti e alterato la numerazione dei Giovanni, come nella serie dei ritratti papali della basilica romana di San Paolo fuori le Mura, per secoli ritenuta ufficiale.

Tutti i Giovanni

A scegliere il nome più ricorrente, divenendo Giovanni XXIII, fu nel 1410 il napoletano Baldassarre Cossa, contrapposto, nel contesto caotico dello scisma d’occidente, ad altri due papi. Da allora, per oltre sei secoli, il nome non venne ripreso fino al 1958, quando lo scelse Angelo Roncalli, il settantasettenne patriarca di Venezia. Assumendo anche il numerale ordinale del controverso prelato, il nuovo papa mostrò di considerarlo un antipapa. Ma soprattutto confidò che il nome di Giovanni «ci è dolce perché nome di nostro padre, ci è soave perché titolare dell’umile parrocchia in cui ricevemmo il battesimo».

L’enorme popolarità del «papa buono» che convocò il concilio e il suo mito spiegano forse il nome scelto da papa Francesco per il suo successore. Ma la mitizzazione di Giovanni XXIII, considerato progressista e profetico, ha implicato la sua contrapposizione a Paolo VI, bollato come conservatore, tanto che per attenuarla dal 1978 al 2005 due papi hanno inusualmente scelto il doppio nome di Giovanni Paolo. E lo stesso Bergoglio – che ha elevato all’onore degli altari gli ultimi tre papi italiani e il pontefice polacco, fatto senza precedenti – non crede a questa contrapposizione, ideologica e senza fondamento.

Suggestioni romanzesche

Perché allora secondo Francesco il suo successore si chiamerà Giovanni XXIV? La risposta forse è nell’immaginazione letteraria, che Bergoglio dichiara di apprezzare. Francesco ha più volte raccomandato Il padrone del mondo, celebre romanzo di un altrettanto celebre convertito. Nel libro – pubblicato nel 1907, ben tradotto da Valentina Bortolamedi per Fazi e che non conviene spoilerare troppo – il prete cattolico Robert Hugh Benson, figlio del primate anglicano, racconta l’ascesa di un Anticristo universalmente osannato, la persecuzione della chiesa e la fine del mondo. Sullo sfondo, in controtendenza, un Giovanni XXIV è descritto come molto simile a Pio X.

Ma vi è un altro romanzo, Juan XXIII (XXIV) o la resurrección de don Quijote, scritto nel 1964 da Leonardo Castellani, un autore mai tradotto in Italia e riscoperto in Spagna dallo scrittore Juan Manuel de Prada che ha anche raccontato, in un libro di vari autori pubblicato da Carocci (Il papa senza corona), la storia di questo papa argentino, secondo Prada sicuramente letta dal giovane Bergoglio. E in effetti Giovanni XXIV – Pío Ducadelia, figlio d’immigrati italiani – anticipa sorprendentemente, mezzo secolo prima, molti tratti dell’attuale pontificato.

Lo scenario è anche in questo caso apocalittico, per lo scontro finale tra il comunismo, esito di una democrazia corrotta, e la finanza internazionale, che il pontefice descrive come «una società nuova (o vecchia non so) che dirige e concerta il movimento anticristiano in tutto il mondo». E nel frattempo il Giovanni XXIV argentino è assediato dall’«ecclesiasticismo», che denuncia come «la peggiore eresia che esiste oggi nella chiesa».

Due anni dopo l’uscita in Argentina del romanzo di Castellani (firmato con lo pseudonimo Jerónimo del Rey), uno scrittore italiano – respinto dagli editori e riscoperto solo dopo la morte – concludeva Roma senza papa (Adelphi).

Era il 1966, pochi mesi dopo la conclusione del concilio, e Guido Morselli presentava con straniante ironia in queste stupefacenti «cronache romane di fine secolo ventesimo» un terzo Giovanni XXIV, che forse però papa Francesco non conosce.

Roma è senza papa perché il pontefice, un benedettino irlandese di cui si dice che alleva vipere e al quale si attribuisce un’amicizia sentimentale con una teosofa indiana, l’ha abbandonata trasferendosi a Zagarolo. L’emiliano Morselli conia un’irresistibile pasquinata («No me consolo – Non per chi m’ha piantato come un palo – Ma che a fregamme è stato Zagarolo»), ma non poteva immaginare che il suo intrigante Giovanni XXIV avrebbe ispirato il Pio XIII di Sorrentino. E se invece il prossimo papa conservasse il suo nome di battesimo?

© Riproduzione riservata