Lontani, per favore. Non toccate, non spingete, smettete di respirare. Dove l’abbiamo già sentita?

Fu il ciclismo – più di quattro anni fa, era il febbraio 2020 – il primo sport a fare i conti con il virus. E oggi è il più grande evento del ciclismo mondiale – il Tour de France – ad accendere le spie e a dirci che esiste un allarme.

Nel circo viaggiante che è la corsa francese, terzo evento sportivo al mondo dopo i mondiali di calcio e i Giochi Olimpici, partito dall’Italia a fine giugno, a ogni tappa si segnalano corridori positivi al Covid: la novità è che adesso non ti cacciano più come se avessi la peste, te ne vai solo se senti di non farcela.

Il gallese Geraint Thomas, che il Tour lo ha vinto sei anni fa, e in più ha portato a casa anche due ori olimpici su pista, a 38 anni ha corso le tappe dei Pirenei nonostante un tampone positivo. Invece il suo compagno di squadra Tom Pidcock, 24 anni, inglese dello Yorkshire, è tornato a casa a combattere i sintomi con il pensiero che tra meno di due settimane a Parigi dovrà difendere il suo oro olimpico nella mountain bike.

Sono proprio i Giochi la grande preoccupazione dei francesi: i giapponesi furono costretti a rinviare le Olimpiadi di un anno. E quando finalmente le poterono fare il clima non era comunque quello giusto, il pubblico era contingentato: non più di 10mila spettatori a evento, e con la raccomandazione di non esultare. Tra nove giorni ci sarà la cerimonia inaugurale sulla Senna, e Parigi è costretta a nascondere la paura di una nuova pandemia.

Detonatori e varianti

C’è sempre un paziente zero, ma ci sono anche eventi globali che fanno da detonatori al virus. Nel 2020 si disse che a moltiplicare i contagi fu la partita di Champions League del 19 febbraio tra Atalanta e Valencia, con 50mila bergamaschi allo stadio di San Siro, di cui uno su cinque manifestò sintomi nei giorni successivi: in quel momento non si sapeva ancora che il virus fosse arrivato in Italia, ma quella gioia collettiva era destinata a trasformarsi nella tragedia della città epicentro della pandemia, Bergamo.

Oggi in Francia sotto accusa ci sono i concerti di Taylor Swift: molti di quelli che erano allo stadio hanno pubblicato foto o video per mostrare i risultati positivi dei tamponi. I quattro concerti della star americana hanno riunito in due giorni 180mila spettatori alla Défense di Parigi e 100mila allo stadio Groupama di Lione, tra i primi di maggio e i primi di giugno.

Poi è toccato all’Italia: nelle due date dei giorni scorsi, in 130mila sono andati a San Siro a vedere Taylor Swift. Secondo i virologi francesi, però, non sarebbero i concerti e neanche la folla ammassata sulle salite del Tour a spiegare la ripresa del Covid, ma piuttosto la diminuzione della nostra protezione immunitaria e la comparsa di una nuova variante, meno sensibile ai vaccini: si chiama KP.2 ma anche più comunemente Flirt, e presenta una maggiore resistenza agli anticorpi.

Flashback 

Il 23 febbraio 2020 ci guardammo stupefatti quando il direttore del Giro d’Italia Mauro Vegni, da Dubai – dove si stava correndo l’UAE Tour, corsa a tappe organizzata dall’italiana RCS Sport – parlò di possibile rinvio per la Milano-Sanremo e addirittura per il Giro d’Italia. Due corse che si erano fermate soltanto per la violenza della storia, durante le due guerre mondiali.

Quattro giorni dopo il virus stoppò l’UAE Tour in maniera plateale: controlli a sorpresa nella notte agli hotel di Abu Dhabi che ospitavano le squadre e i giornalisti al seguito. Seicentodiciassette persone, 200 italiani, 20 squadre. I corridori sono abituati agli ispettori antidoping, ma in quel caso si trattò di tamponi obbligatori alla ricerca di eventuali positività al Covid.

Scene che ormai possiamo facilmente immaginare: sanitari come acchiappafantasmi, nessuno che poteva entrare né uscire dagli alberghi, porte d’ingresso sigillate. Bastarono due massaggiatori con la febbre per mettere in quarantena un intero piano dell’hotel e fermare uno sport in pieno svolgimento: corsa sospesa dopo l’ultima tappa vinta da Tadej Pogacar, attuale maglia gialla del Tour de France. Coincidenze, anzi no: quello è predominio.

Misure precauzionali 

Juan Ayuso, 21 anni, astro nascente del ciclismo spagnolo, gregario di lusso di Pogacar, ha abbandonato il Tour alla vigilia dei Pirenei, quando era nono in classifica generale: non stava bene da qualche giorno, e i test avevano mostrato una positività con debole carica virale. Sufficiente però per togliergli le forze.

O meglio: sufficiente per mandarlo a casa evitando ulteriori rischi di allargamento del contagio all’interno della squadra. I dirigenti parlano di precauzioni già ampiamente prese: alla UAE tutti i corridori dormono in camere singole dalla partenza di Firenze, e ognuno ha il suo massaggiatore.

Ma è innegabile che le occasioni di contatto siano tantissime: a tavola, in pullman, in gruppo. Infatti ieri mattina due dei compagni della maglia gialla, Adam Yates e Tim Wellens, sono stati portati alla partenza separatamente dal resto della squadra. Vero è che il meno preoccupato sembra essere proprio Pogacar, che ha raccontato di aver avuto il Covid nelle settimane tra il Giro d’Italia vinto e il Tour. «Mi sono ammalato, mi sentivo molto stanco. Sono rimasto senza bici solo per un giorno, poi ho pedalato al chiuso sui rulli. Non è stato troppo pesante, una specie di raffreddore».

Per qualcuno invece è stato peggio: l’americano Sepp Kuss, che sarebbe stato fondamentale per Vingegaard sulle salite, e il londinese Tao Geoghegan Hart, vincitore del Giro 2020, quello spostato ad autunno proprio per la pandemia, hanno avuto un decorso pesante e alla fine non si sono presentati al via del Tour. Fa bene Remco Evenepoel, che un anno fa fu costretto dal covid a lasciare il Giro quando era in maglia rosa: è da Firenze che il giovane belga indossa la mascherina.

Il primo ad abbandonare la corsa è stato il danese Morkov, ultimo uomo di Mark Cavendish all’Astana. Poi il suo compagno Pello Bilbao, quindi Pidcock e Ayuso. E lunedì, nel giorno di riposo, se n’è andato il belga Van Gils. Per chi segue la corsa l’incubo è già tornato: obbligo di mascherine, tamponi, protocolli di sicurezza, interviste a distanza, via Zoom.

Come spiega Merijn Zeeman, direttore sportivo della squadra di Vingegaard, «il più fortunato è stato Pogacar, che ha preso il Covid al momento giusto e adesso è immune», ma rivedere le precauzioni non deve far pensare a un’esagerazione, «il ciclismo è una questione di resistenza: se si contrae un’infezione, si performerà semplicemente meno».

Paure olimpiche 

Gli altri guardano al Tour come a uno specchio. Gli esperti parlano apertamente di tre malattie che potrebbero rovinare le Olimpiadi: se il Covid fa meno paura quattro anni dopo, in questo momento la Francia si trova ad affrontare anche un’epidemia di pertosse, e il morbillo circola sempre di più, visto che in Europa i casi sono 60 volte più numerosi rispetto a due anni fa, e i medici mettono in guardia da possibili complicazioni polmonari e neurologiche.

Le donne incinte sono state invitate a vaccinarsi per proteggere i nascituri, ma i più a rischio sono sempre gli ultraottantenni. Stai a vedere che dovremo stare lontani e smettere di abbracciarci. Ed esultare senza fare rumore.

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