L’8 settembre 1943 è una data cui una vulgata corrente attribuisce ancora un giudizio sostanzialmente negativo, cui persino la cinematografia ha contribuito con la rappresentazione di una nazione allo sbando: «Signor Colonnello, accade una cosa incredibile: i tedeschi si sono alleati con gli americani!», è la frase paradossale del Tenente Innocenzi – interpretato da Alberto Sordi – con la quale nel film Tutti a casa di Comencini si raffigurava il caos dell’inizio di una stagione destinata a mutare le sorti dell’Italia, ancora al costo di tante vite umane. In verità, nonostante il percorso della Resistenza e dell’avvio alla democrazia con l’approvazione della Costituzione, già negli anni dell’immediato dopoguerra era fiorita una pubblicistica revisionista che riconduceva la disfatta dell’Italia più che alle responsabilità del fascismo alle incapacità e persino alla intelligenza con il nemico di una parte del mondo militare italiano.

Revisionismi

È il caso della vicenda di un best seller di Antonino Trizzino Navi e Poltrone (Longanesi, 1952) che alimentò la tesi – priva di riscontri documentali – del tradimento della Marina a favore del nemico britannico, su cui si gettarono a capofitto i giornali italiani oltre che il sostegno ovviamente degli ambienti neofascisti. Ne seguirono anche processi che portarono alla condanna di Trizzino in primo grado a due anni e quattro mesi di reclusione per vilipendio della forza armata (da cui fu poi assolto in appello) e diffamazione continuata nei confronti degli ammiragli Bruno Brivonesi, Gino Pavesi e Priamo Leonardi.

Solo dagli anni Settanta l’apertura degli archivi italiani e stranieri ha favorito una documentata ricerca storica (Alberto Santoni, Il vero traditore, 1981) che ha smentito la tesi del presunto tradimento. Polemiche ideologiche sono poi venute anche su tutta la Resistenza, e non potevano dunque mancare i giudizi critici rivolti all’armistizio, sotto vari profili. Una prima prospettiva è quella abusata sul voltafaccia con l’alleato tedesco, nei cui confronti invece la Repubblica Sociale Italiana rappresentava per taluni un momento di coerenza, per cui si è sostenuta la riabilitazione di quanti combatterono nei suoi ranghi.

Vale in proposito ricordare le parole – riportate da Vincenzo Grienti su Avvenire del 7 settembre 2023 – dello storico Nunzio Lauretta, già docente all’università di Palermo che si è occupato dell’armistizio di Cassibile: «Quello che è accaduto qui ha il sapore vero della necessaria rivisitazione di ciò che come italiani avevamo combinato prima, di ciò che dovevamo toglierci di dosso: l’appartenenza innaturale con la Germania (...). Il problema era che l’unione con Hitler era stato un veleno per la nostra nazione. Riuscire a cambiare passo e a scegliere un futuro di democrazia è stata la salvezza per la nostra terra». La prospettiva del “tradimento” ha riguardato dunque anche la natura dell’armistizio e del rapporto costruito con gli alleati. È il caso di affidarci qui ai documenti e alla ricostruzione di alcuni momenti salienti dell’8 settembre e della sua vigilia.

Nell’armistizio di Cassibile, sottoscritto il 3 settembre tra militari i generali Giuseppe Castellano e Walter Bedell Smith, era comunque centrale la condizione che l’Italia sarebbe diventata cobelligerante al fianco dei nuovi alleati delle “Nazioni Unite”. Le condizioni più specifiche sarebbero state poi stabilite nell’armistizio lungo – con 44 articoli – firmato il 29 settembre dal generale Eisenhower e da Badoglio, a bordo della corazzata britannica Nelson nelle acque antistanti Malta.

La vigilia

In realtà qualcosa di piuttosto controverso era accaduto proprio alla vigilia dell’8 settembre, la data concordata per l’annuncio dell’armistizio. A margine dell’armistizio di Cassibile le intese tra gli alleati e il governo Badoglio era stato previsto che le forze italiane avrebbero dovuto dare il loro apporto alla Operazione Giant 2: in concomitanza con l’annuncio dell’armistizio sarebbe stato effettuato il lancio della 82^ divisione paracadutisti statunitense su alcuni aeroporti di Roma, che avrebbero dovuto essere occupati dalle truppe italiane della capitale, tra cui c’erano un Corpo d’armata motocorazzato e le divisioni Granatieri di Sardegna e Sassari.

Il giorno prima, alle otto di sera del 7 settembre, il generale Maxwell Taylor e il colonnello Wiliam Gardiner giunsero clandestinamente a Roma per assicurarsi che tutto fosse pronto per l’aviosbarco. L’episodio è ricostruito anche in un articolo di Enzo Biagi apparso sul Corriere con il titolo “La cerimonia dei rinvii e le crêpes suzette per il generale Taylor”. Sbarcati da una nave italiana a Gaeta, i due ufficiali erano stati portati a Roma in ambulanza percorrendo la via Appia. Giunti a Palazzo Caprara, furono invitati a recarsi nelle stanze per riposare poiché l’incontro era fissato per il mattino seguente. L’aviosbarco doveva avvenire soltanto due giorni dopo, il 9, per cui Taylor insistette per vedere il generale Badoglio ma non ci fu niente da fare. Richiesero allora di incontrare subito un comandante di alto livello, ma intanto furono accompagnati davanti a una tavola imbandita con tanto di consommé, costolette di vitello e crêpes suzettes, ordinati al Grand Hotel.

Dopo il caffè, il generale Taylor chiese allora del generale Ambrosio, ma il capo di Stato maggiore era in permesso familiare a Torino, per cui i due emissari cominciarono a capire l’antifona. Lamentatosi che l’aviosbarco era previsto per l’indomani, Taylor ribadì di voler conferire con il responsabile delle forze della capitale. Giunse il generale Carboni, comandante del corpo d’armata, il quale sconvolse gli interlocutori: riferì che gli aeroporti erano controllati dai tedeschi, che la grande unità motocorazzata italiana non aveva il carburante necessario, e che la divisione tedesca dislocata nei pressi di Roma aveva ricevuto massicci rinforzi, circostanze poi smentite dalla storiografia ufficiale.

Taylor pretese allora un colloquio con Badoglio in persona, il quale a mezzanotte comparve in vestaglia. Alla vigilia dell’operazione che avrebbe potuto mutare il corso della storia il Maresciallo d’Italia, che era andato a dormire, non seppe fare altro che scongiurare di rinviare l’aviosbarco e l’annuncio dell’armistizio.

Taylor aprì la valigetta con la radio e trasmise il messaggio in codice «Situation innocuous», che prevedeva l’annullamento dell’operazione. Il generale Eisenhower, Comandante in capo delle forze alleate, non fu d’accordo e da Radio Algeri annunciò l’armistizio mercoledì 8 settembre, alle 18:30 italiane. Badoglio fece il suo annuncio da Roma alle 19:42 ai microfoni dell’Eiar. All’alba del 9 settembre il re, il governo con Badoglio e lo stato maggiore abbandonavano la capitale, dove intanto le forze italiane combattevano i tedeschi per la “difesa di Roma”.

L’Italia del riscatto

Il resto è noto per i drammi che si consumarono tra i Reparti di un esercito sconquassato, in cui molti si affidarono al richiamo del “tutti a casa”, altri scelsero di schierarsi ancora dalla parte sbagliata, e altri ancora divennero invece protagonisti del verso giusto della Storia, perché insieme ai civili seppero scegliere la parte giusta: quella della Resistenza, in nome delle idee di libertà e democrazia.

Nonostante ciò, il giudizio storico è stato molto severo sull’armistizio, per il quale si è parlato di «morte della Patria» (Satta, Galli Dalla Loggia) e di «Italia allo sbando» (Aga Rossi), e probabilmente le pagine che raccontano quella parte di storia vanno lette anche in questa prospettiva, ma per un fine che risulti netto non per una vuota critica storica. In quello stesso periodo ci fu chi compì scelte coraggiose e di vero eroismo, che dunque consentono di valutare l’8 settembre – con i suoi limiti – comunque come l’inizio di cambiamenti radicali che portarono alla rinascita della Nazione. 

Il valore morale

La memoria dell’8 settembre dunque assume un valore simbolico per tutto questo: l’armistizio significò certi errori e titubanze di molti, ma anche scelte eroiche di tanti altri. È il caso del generale Ferrante Gonzaga che la sera stessa dell’8 settembre a Eboli fu freddato dai tedeschi per essersi opposto alla consegna delle armi della sua 222^ Divisione costiera, e più avanti del martirio di Cefalonia della intera Divisione Aqui che pure si ribellò ai tedeschi.

Ma sono innumerevoli gli esempi di chi lottò per liberare l’Italia da un invasore che non si risparmiò nei più odiosi crimini di guerra, come le stragi delle Fosse Ardeatine – dove furono trucidati 335 militari italiani, ebrei, civili e prigionieri politici – e quelle di Marzabotto e di Sant’Anna di Stazzema.

Ricordare Kiev

DeI messaggio dell’8 settembre dunque oggi non può che essere un monito per ricordare quell’inizio necessario per ritrovare la libertà. La memoria dell’ 8 settembre può dunque assumere un valore morale solo per chi nel presente intende riconoscere come autentici e insopprimibili i valori della libertà e della democrazia: in fondo non si tratta che rifarsi allo storicismo di Benedetto Croce che intendeva leggere le vicende europee con le lenti della storia della libertà.

È il caso di ricordarlo in questi giorni, in cui in Europa si profilano preoccupanti arretramenti verso democrazie illiberali, e di fronte alla liberazione dell’Ucraina – è questa che è in gioco a Kiev – si parla di ritardi e di veti all’impiego delle armi perché quel popolo possa difendersi con efficacia da uno stato aggressore che predica la guerra contro «l’Occidente collettivo». Non diamo spazio a chi ancora vuole evocare un’altra Italia, di cui vorremmo esserci liberati da quell’8 settembre: deresponsabilizzata, ambigua, inaffidabile negli impegni assunti con gli alleati, dunque poco convinta se si tratta di impegnarsi ancora per la libertà.

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