Scuola primaria in lingua tedesca di Bolzano: delle tre nuove prime, due sono riservate ai parlanti tedesco e una ai “non parlanti” tedesco.

La scuola primaria in questione è in lingua tedesca, e accoglie, ovviamente, anche “non parlanti” tedesco. Ma li aveva raggruppati tutti in una classe, prima di essere costretta a fare retromarcia.

Al di là delle prevedibili reazioni politiche favorevoli della destra e contrarie dell’ala più progressista della Südtiroler Volkspartei (al governo), vale la pena ragionare sulle motivazioni addotte da chi ha pensato e voleva realizzare questa classe “speciale” di alunni/e che … non parlano il tedesco ma vogliono frequentare una scuola in lingua tedesca. Ma chi sono questi bambini/e tanto avventurosi? Alcuni saranno parlanti italiano, altri altre lingue…

Ragioni di “protezionismo”

I motivi si dividono in due grandi categorie. Partiamo dalle due classi dei parlanti tedesco (i bambini/e “giusti”, quelli al loro posto…), qui la motivazione espressa dalla dirigente è stata «Devo proteggere chi parla il tedesco». Proteggere i bambini/e è sempre azione lodevole, ma in questo caso da chi/cosa li si doveva proteggere? Forse da un bambino/a non parlante tedesco, che con la sua incapacità linguistica rallenterà inesorabilmente la corsa dell’apprendimento tutta in tedesco dei compagni autoctoni?

Rassicuriamo la dirigente, la pedagogia e la didattica hanno ormai accertato che una classe eterogenea, in termini di abilità, culture, lingue, ecc. produce migliori risultati non solo negli apprendimenti tradizionali (lettura, scrittura, calcolo, ecc.), ma in tanti altri apprendimenti e competenze sempre più importanti, quali competenze metacognitive, relazionali e cooperative, nonché socioemotive.

Naturalmente questi vantaggi sarebbero prodotti da una didattica inclusiva, cooperativa, laboratoriale, aperta (che va costruita con cura, utilizzando anche le risorse aggiuntive previste dal governo provinciale della scuola).

Un criterio pericoloso

La seconda categoria di motivi riguarda il raggruppamento dei bambini/e non parlanti italiano in una classe separata. La dirigente afferma che «forse i bambini saranno più motivati perché tutti partono da zero».

Anche in questo caso si crede al mito dell’omogeneità come valore, quando invece lo è quello dell’eterogeneità, dove risulta evidente anche al buon senso, senza scomodare la pedagogia, la glottodidattica o la sociolinguistica, che la naturalezza delle situazioni sociali, con modelli linguisticamente più evoluti, stimola maggiore motivazione e migliore apprendimento.

Anche in questo caso, naturalmente, la didattica dovrebbe essere inclusiva, cooperativa, laboratoriale, aperta… Non dimentichiamo poi che stiamo parlando di un prima primaria!

Oltre a ciò, se tale separazione si fosse realizzata, si sarebbe introdotto un criterio di divisione basato su “abilità”, che poi si potrebbe estendere ad altre abilità, come quelle intellettive, ad esempio, facendo arretrare il nostro sistema scolastico a prima degli anni Settanta.

Tali discriminazioni/separazioni sulla base di “abilità” caratterizzano l’atteggiamento definito abilismo e stigmatizzato sia dalle leggi nazionali che dalle convenzioni internazionali (Onu, 2006) e dall’Agenda Onu 2030.

Nella terra altoatesina di Alexander Langer, politico europeo, verde e pacifista, sembrano dunque soffiare più forti i venti della separazione identitaria tra le comunità linguistiche, e quanto suonano attuali le sue parole che suggerivano in una comunità inclusiva la convivenza rispettosa di tutte le differenze (anche e soprattutto a scuola).

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