L’Alto Adige compie cent’anni. Ma è un anniversario che sta passando sottotraccia. Una pagina nera, nerissima, della nostra storia, troppo scomoda da ricordare. Un secolo è passato, infatti, da uno dei peggiori crimini culturali del regime fascista: l’italianizzazione forzata del Sudtirolo (Südtirol).

L’ideatore fu Ettore Tolomei. «Egli creò l’Alto Adige. Lo creò come concetto geografico attuale, lo impose alla coscienza della Nazione attraverso trent’anni di lavoro»: così scrisse, parlando di sé in terza persona, nella sua monumentale autobiografia.

Una falsificazione

Nato nel 1865 a Rovereto, all’epoca sotto l’Impero austroungarico, Ettore Tolomei era un insegnante e geografo, ma soprattutto un accanito irredentista. Aveva un’ossessione: voleva che i confini italiani si estendessero fino al Brennero, lungo lo spartiacque alpino. Un territorio che a suo giudizio spettava di diritto all’Italia in quanto insediamento dei Romani e dei loro discendenti, gli italiani, in modo continuativo.

Una tesi storicamente infondata, valida al limite solo per le valli ladine, non per l’intera regione, che apparteneva all’Austria sin dal 1363 ed era abitata per il 90 per cento da persone di lingua e cultura tedesca. I primi insediamenti italiani lungo l’Adige, a sud di Bolzano, risalgono infatti solo al XIX secolo, mentre è accertato che popolazioni germaniche erano stanziate nell’area già dall’Alto medioevo, dal crollo dell’Impero romano.

Ma per Tolomei si trattava di dettagli di nessun conto, da cancellare attraverso un’instancabile opera di mistificazione. Nel 1906 fondò una rivista e un centro studi, l’«Archivio per l’Alto Adige». Nei suoi saggi proponeva di sostituire i nomi tedeschi di luoghi e persone con nomi italiani.

Naturalmente cominciò proprio da “Südtirol”, che decise di rimpiazzare con “Alto Adige”, invece dei corrispondenti “Sudtirolo” o “Tirolo meridionale”, già in uso da secoli. Tolomei riesumò un toponimo di epoca napoleonica, “Alto Adige” per l’appunto, che era stato in vigore per quattro anni, fra il 1810 e 1814 durante il Regno italico, ma che si riferiva a un territorio diverso dall’attuale: comprendeva infatti l’allora Tirolo italiano/Welschtirol, ossia l’odierno Trentino (ad eccezione di Primiero) più la conca bolzanina fino all’altezza di Gargazon e Kollmann. A nord di questo confine, il Tirolo fu annesso alla Baviera e denominato Südbayern.

Il boia del Tirolo

Nel 1919, al termine della Prima guerra mondiale, si presentò per Tolomei un’occasione imperdibile. Gli stati vincitori si riunirono a Parigi per negoziare i trattati di pace e ridefinire la mappa dell’Europa. Tolomei riuscì̀ a introdursi nella delegazione italiana in qualità di esperto.

Dopo lunghe trattative, e anche grazie al suo intervento, con il trattato di Saint-Germain il Sudtirolo fu strappato all’Austria e passò all’Italia. Per Tolomei era soltanto l’inizio. Ora bisognava cancellare l’identità tirolese e mettere in pratica un piano di italianizzazione forzata.

Per attuarlo, Tolomei dovette attendere l’avvento del fascismo. Nel 1921 aderì̀ al Pnf, guadagnandosi subito la stima di Mussolini e altri gerarchi. Nel marzo del 1923 fu nominato senatore del Regno e il governo fascista emanò il primo decreto per l’italianizzazione del Sudtirolo.

Seguendo il programma di Tolomei, fino all’anno 1942 più di diecimila nomi pseudo-italiani furono introdotti poco alla volta per sostituire i nomi tedeschi e ladini di paesi, villaggi, frazioni, montagne, valli e fiumi. «Una grottesca inondazione di falsificazioni escogitate al lume della lucerna da uno sciagurato nel cui spirito dormivano non uno ma mille milioni di sostrati hitleriani», scrisse Gaetano Salvemini, storico e antifascista, che definì Tolomei «il boia del Tirolo».

L’italianizzazione

Ed ecco allora alcune delle fantasiose invenzioni di Tolomei: Schlanders fu ribattezzato Silandro per semplice assonanza; Kohlern, che significa “carbonaia”, divenne Colle; Kalch (“calce”) fu trasformato in Calice; Lengstein (letteralmente “pietra lunga”) in Longostagno.

Duecento sono i toponimi italiani storicamente attestati (Appiano, Bolzano, Merano, Bressanone, Brunico, Adige, Isarco, Drava…), ma in qualche caso Tolomei manipolò persino questi (per Sterzing riesumò Vipiteno, sebbene in italiano fosse conosciuta da tempo come Stérzen e Sterzinga; per Ultental si inventò Val d’Ultimo, ignorando il toponimo già esistente di Val d’Oltemo).

Il 15 luglio 1923, al Teatro civico di Bolzano, Tolomei espose nel dettaglio il suo piano. Tra i punti principali c’erano: il divieto di usare i nomi Südtirol e Deutsch Südtirol, il divieto di usare la lingua tedesca nelle insegne pubbliche, la chiusura del giornale Der Tiroler (oggi Dolomiten), lo scioglimento dei partiti tedeschi e delle associazioni alpinistiche, il licenziamento di tutti i funzionari tedeschi, la chiusura delle scuole di lingua tedesca, l’obbligo di parlare solo in italiano negli uffici pubblici, e l’italianizzazione di nomi e cognomi, oltre che di tutti i toponimi.

Cambiare cognome

A partire dall’anno scolastico 1923/1924 il governo fascista pose gradualmente fine all’uso della lingua tedesca nelle scuole. E come se non bastasse nel 1925 impose il divieto di impartire lezioni private di tedesco.

Nacquero allora le Katakombenschulen, “scuole nelle catacombe”, dove insegnanti volontari e coraggiosi facevano lezioni clandestine ai bambini sudtirolesi. Molti di questi maestri furono scoperti e puniti duramente: Joseph Noldin fu arrestato e condannato a cinque anni di esilio, tornò malato e morì poco dopo, nel 1929. Angela Nikoletti fu imprigionata, e dopo aver contratto la tubercolosi in prigione, trascorse anni di infermità a letto e morì a soli venticinque anni.

Nel frattempo l’opera di cancellazione dell’identità tedesca del Sudtirolo procedeva spedita anche attraverso il «lavacro dei cognomi», ossia la “restituzione” del cognome “altoatesino”.

I cittadini che portavano un cognome tedesco dovevano presentarsi all’anagrafe e sceglierne uno nuovo fra una serie ristretta e improbabile di alternative. Per esempio, i Messner potevano optare fra: Sagrestani, Dallamessa, Monego, Delmonego; i Kostner fra Costa, Dallacosta, Costantini; i Gruber fra Dallafossa, Dalla Fossa, Fossari. Gli Zuegg, invece, dovevano accontentarsi di Fuscelli.

Gli effetti oggi

L’italianizzazione del Sudtirolo fu portata avanti pure con l’architettura e l’edilizia, con la costruzione di edifici pubblici e di monumenti, come quello alla Vittoria. Il governo favorì inoltre una massiccia immigrazione da altre regioni, creando la zona industriale di Bolzano, con grandi complessi di industria pesante, come le acciaierie.

Si trattò di una politica di colonizzazione in piena regola. Dopo la Convenzione di Berlino stipulata da Mussolini e Hitler il 23 giugno 1939, i sudtirolesi di lingua tedesca furono infine sottoposti a un ricatto: se volevano restare in Italia erano costretti a diventare in tutto e per tutto italiani, altrimenti dovevano trasferirsi nella Germania nazista (a cui servivano manodopera e soldati).

Nel 1943 circa 70mila sudtirolesi lasciarono la loro terra: di fatto, una “pulizia etnica”. Soltanto dopo la caduta del fascismo i sudtirolesi tedeschi riacquistarono i loro diritti e in 42mila fecero ritorno a casa.

Con la nascita della Repubblica, la Costituzione sancì̀ che le minoranze linguistiche dovessero essere protette. Tuttavia, l’opera di propaganda praticata da Tolomei ha lasciato un segno profondo nella cultura e nell’opinione pubblica. I toponimi italianizzati sono ancora in uso e hanno cambiato la percezione del territorio agli occhi degli italiani e anche di molti sudtirolesi.

Mentre la politica e le istituzioni non vogliono affrontare la questione per il timore di riaprire antiche ferite, e il centenario dell’italianizzazione forzata passa volutamente sotto silenzio, negli ultimi mesi, quasi per una sorta di giustizia poetica, è stata una squadra di calcio – che ha sfiorato la promozione in serie A – a riportare in auge sulle pagine dei giornali italiani il nome Südtirol.

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