La cover dell’inserto Finzioni di febbraio è illustrata dall’artista Laurina Paperina, pseudonimo di Laura Scottini, nata nel 1980 a Rovereto. La sua arte è un atto di giocosa ribellione: ironica, irriverente, mai seria, ma profondamente consapevole. Tra pittura, disegno, scultura, installazioni e videoanimazioni, Laurina costruisce un mondo che ride di sé stesso.

Celebre è la serie How to Kill the Artists, iniziata nel 2007, in cui gli artisti muoiono sotto il peso delle loro stesse opere: Banksy schiacciato da un ratto, Marina Abramovic uccisa dalla sua performance. È un omaggio, non una critica, trasforma il genio in gioco e il gioco in riflessione.

Cresciuta con i cartoni animati, il trash televisivo e il punk degli anni Novanta, Laurina mescola la cultura nella sua totalità, Botticelli e Basquiat, Keith Haring e la vita quotidiana. Crea personaggi stravaganti, antieroi che abitano un universo ironico, lontano dall’autoreferenzialità dell’arte seria, della politica, della religione.

Laurina Paperina nasce prima come personaggio e poi come pseudonimo. Com’è andata?

A vent'anni, disegnavo tutti i giorni in modo compulsivo, creando personaggi strani, mutanti, mostriciattoli storti. Tra questi facevo anche autoritratti surreali, spesso con un corpo da papera e la testa umana, o viceversa. È così che, quasi per gioco, è nata Laurina Paperina. In quel periodo, cominciavo anche a fare le mie prime mostre in spazi pubblici e gallerie d’arte, ma utilizzavo il mio nome reale. È stato più avanti, quando ho lavorato con Fabio Cavallucci, all’epoca direttore della Galleria Civica di Arte Contemporanea di Trento, che abbiamo deciso di usare lo pseudonimo per una mostra collettiva chiamata Departures e dedicata ai giovani artisti trentini. In quel contesto, Laura, si sarebbe trasformata in un suo personaggio diventando una sorta di opera di sé stessa.

Fumetti e cartoni animati sono al centro della sua produzione artistica: si tratta di un omaggio alla cultura pop o di una critica al mondo dell’arte che si prende troppo sul serio?
La mia ricerca si muove un po' su entrambe le direzioni. Da un lato, i fumetti e i cartoni animati sono una parte fondamentale della cultura popolare che mi ha formato e che, in un certo senso, rappresentano il mio linguaggio visivo naturale. Crescendo con questi riferimenti, sono diventati un modo per comunicare in modo immediato, con quella carica di ironia, leggerezza e anche un po' di assurdità che li caratterizza. Dall'altro lato, c'è anche una componente di riflessione sul mondo dell'arte. Spesso mi piace giocare con l’idea che l’arte contemporanea si prenda troppo sul serio, come se fosse un territorio esclusivo e un po' distante dalla quotidianità. Usare il linguaggio dei fumetti o dei cartoni animati, considerati "bassi" o “popolari”, è un modo per abbattere queste barriere, per creare un dialogo più diretto e spontaneo con il pubblico, senza rinunciare a una critica sottile e cinica al sistema artistico stesso. In questo senso, il mio lavoro non è solo un omaggio alla cultura pop, ma anche una riflessione su come l'arte possa essere vissuta e percepita, non solo come qualcosa di "elevato" ma anche come parte della nostra cultura quotidiana, che ci forma e ci condiziona.

Lei ha affermato che l’arte dovrebbe essere accessibile a tutti. Come concilia questa visione con un sistema che si basa su gallerie e fiere esclusive?

Credo fermamente che l’arte debba essere accessibile a tutti, perché non è solo per chi può permettersela, ma è qualcosa che deve parlare a chiunque. L'arte dovrebbe essere un'opportunità di condivisione e di espressione universale. Per questo ho sempre amato creare edizioni limitate d'artista. Le edizioni limitate sono un modo per offrire una versione dell'opera originale, che potrebbe essere troppo costosa per molti, ma comunque accessibile a un pubblico più vasto. Creare serigrafie, adesivi o piccole produzioni stampate mi permette di rendere il mio lavoro disponibile a più persone, senza compromettere la qualità e l'autenticità dell'opera d'arte. Queste edizioni mi permettono di mantenere l'integrità del mio lavoro, ma allo stesso tempo di raggiungere coloro che non potrebbero mai permettersi un'opera unica e costosa. Oggi, in un mondo dell'arte che spesso privilegia gallerie e fiere esclusive, dove le opere vengono vendute a prezzi altissimi, credo che le edizioni limitate siano uno strumento potente per abbattere le barriere economiche e rendere l'arte più inclusiva, aperta a tutti.

Il tema dei fumetti e della cover di Finzioni è Falliti. Fallire è un concetto complesso e affascinante: richiede coraggio, talento e una certa predisposizione all’abisso. Come viene  interpretato questo tema nell’illustrazione della copertina?

È un tema che mi ha sempre affascinato, spesso lo vediamo come un disastro, in realtà è una grande opportunità di crescita. Nella mia vita ho avuto più flop che successi, eppure sono ancora qui. Lo vedo come il punto di partenza per imparare e migliorarsi, sia a livello professionale che personale. Non è mai un punto finale, ma una parte del percorso. Quando mi è stato chiesto di disegnare la cover per Finzioni, ho pensato subito a uno slogan che rappresentasse questa visione: Be proud to be a loser. E in questo contesto, la figura del loser non la concepisco in maniera negativa, bensì come un «perdente temporaneo», ovvero un personaggio che nonostante tutte le sfighe e gli insuccessi della vita continua a provarci e non si arrende mai: secondo me essere un loser non è necessariamente una condanna, ma un'opportunità di riscatto, una celebrazione delle proprie imperfezioni senza prendersi troppo sul serio.

Con How to Kill the Artists ironizza sulla morte degli artisti. Come è nata questa serie e che tipo di reazioni ha ricevuto dal pubblico?

Nasce da una riflessione ironica sul ruolo dell'artista e sulla sua inevitabile connessione con la propria produzione. In queste opere ho immaginato gli artisti "uccisi" dalle loro stesse creazioni, come se una volta nate prendessero vita propria e finissero per vendicarsi del loro creatore. È un gioco freudiano: l'idea che l'artista sia consumato dal suo stesso lavoro, come un mostro che divora il suo creatore. C'è un aspetto di critica al sistema dell'arte: l'artista che diventa un "prodotto” e che deve rispondere a certi canoni per avere successo. Ma c'è anche un lato tragicomico: in un mondo dove tutti gli artisti famosi venissero improvvisamente annientati, io resterei l'unica, e quindi la più famosa. Mi piace giocare con questa idea un po’ assurda, quasi come una satira del sistema di fama e riconoscimento che regola l'arte. Il pubblico ha reagito in modo vario: alcuni hanno colto subito l’ironia e la critica, altri sono rimasti più colpiti dalla componente "oscura" della serie, forse perché c'è anche una riflessione sul nostro bisogno di visibilità e successo. In ogni caso, mi piace l’idea che le mie opere stimolino una riflessione più profonda sull'artista, sul suo ruolo e su quanto il sistema dell'arte possa essere tanto assurdo quanto affascinante.

Ha già creato mondi, personaggi e perfino profezie. Qual è il prossimo passo nel suo universo artistico?

Al momento sono in fase di “pulizie di primavera”. Sto riorganizzando il mio studio, negli ultimi mesi era diventato un luogo post-apocalittico, tipo una tana per accumulatori seriali. Una volta sistemato, mi concentrerò su nuove opere per le prossime mostre, fiere d’arte e vari progetti in programma. Se tutto va secondo i piani, ci saranno due mostre personali, allo Studio d’Arte Raffaelli e alla Martina Corbetta Gallery, con una nuova produzione di opere e di edizioni limitate. Sicuramente continuerò a dipingere nuovi mondi, popolati da personaggi rubati alla cultura popolare (e non solo), ma ricontestualizzati in situazioni surreali, con una vena immancabilmente un po’ splatter e un sottile dark humor. Sto anche valutando l'idea di riprendere le profezie, visto che sembra io abbia una certa capacità da veggente da non sottovalutare. Inoltre, penso sia arrivato il momento di dare vita alle idee che per anni ho appuntato nel mio black book, un taccuino che ho sempre usato per annotare i progetti. Ci sono pagine e pagine di spunti che non hanno ancora visto la luce, progetti per libri, giochi in scatola, installazioni, magari sarà l’anno giusto per sperimentare qualcosa di nuovo.

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