Un anno fa, quando Lucetta Scaraffia dedicò un intelligente e appassionato ritratto a Luis Badilla, fondatore e direttore del sito d’informazione religiosa Il Sismografo, nessuno poteva immaginare che di lì a tre mesi l’avventura di questa testata multilingue – molto rilevante per capire i meccanismi della Santa sede – si sarebbe conclusa. E un’avventura è la vicenda stessa di quest’«uomo che racconta senza filtri la chiesa», come Il Foglio titolava l’articolo di Scaraffia.

Con uno stile britannico venato di autoironia il cileno Badilla definisce i suoi quasi 79 anni «una storia ingarbugliata e poco credibile» conversando a lungo all’ombra di San Pietro: dal piccolo appartamento dove abita si vede infatti, a poca distanza ed enorme nel cielo, il «cupolone». Subito ci rendiamo conto che è l’11 settembre, ma l’inventore del Sismografo pensa all’anniversario dell’attacco alle Torri Gemelle, e non a quello del colpo di stato che pose fine alla presidenza di Salvador Allende, eletto in parlamento grazie anche all’azione di un piccolo gruppo di cristiani. Tra loro, in parte vittime del feroce golpe, c’era pure Badilla.

«Sono nato in un paese che come tale non esiste più» racconta: a El Teniente (oggi Sewell), città mineraria sulla cordigliera delle Ande a oltre duemila metri di altitudine e a un centinaio di chilometri da Santiago. Cresciuta accanto a una grande miniera di rame che era di una multinazionale statunitense, la città – dichiarata patrimonio dell’Unesco – è oggi una meta turistica. «Mio padre era il più alto funzionario cileno» del posto, popolato soprattutto da minatori, spesso alcolizzati.

L’impegno politico

Luis ha sei anni quando i suoi si trasferiscono a Santiago. Unico figlio maschio, si laurea in medicina all’università cattolica. Di famiglia molto credente, è però tra i protagonisti di un duro conflitto con l’autorità ecclesiastica perché a 22 anni, nel 1967, è tra i capi del movimento studentesco che occupa l’università. La stagione è quella della «rivoluzione in libertà» di Eduardo Frei, primo presidente democristiano dell’America latina, ma l’esperimento fallisce dopo la nazionalizzazione del rame.

I democristiani cileni hanno infatti di fronte il più forte partito comunista di tutto il continente, il terzo nel mondo occidentale dopo l’italiano e il francese, finanziato da Stalin e dai sovietici. Il comunismo latinoamericano invece è «una balla» – dice Badilla in un italiano quasi perfetto dopo mezzo secolo – perché in Messico e in Argentina dominano partiti populisti, e pochissimi ricordano che «Fidel Castro fa la sua rivoluzione contro il partito comunista di Cuba».

Il mito del comunismo in America latina è frutto della lettura europea, ma «con gli occhiali sbagliati», di Régis Debray. Nel contesto cattolico cileno, segnato dall’umanesimo di Maritain, sono gli intellettuali belgi di Lovanio a sostenere il «progetto socialcristiano», terza via tra gli stalinisti di Luis Corvalán e il golpismo militare sostenuto dai conservatori, poi anche dai democristiani. Nel paese più politicizzato dell’America latina Badilla diventa nel 1970 – ma «a mia insaputa, grazie a un ripescaggio» dice con ironia – presidente dei giovani democristiani cileni e di conseguenza, per l’importanza del Cile, dei giovani democristiani latinoamericani. Inizia così a girare l’America, arrivando a incontrare Fidel Castro all’Avana.

Il golpe

Il ricordo dei giorni del golpe e degli amici scomparsi è doloroso: medico neurochirurgo e funzionario dell’Organizzazione mondiale della sanità, Badilla doveva essere portato in salvo nella nunziatura, l’ambasciata papale, ma finisce invece in quella del Venezuela insieme a centinaia di oppositori dei golpisti. «Non ho mai visto tanta malvagità nella lotta per la sopravvivenza» commenta. Grazie agli arcivescovi di Santiago e di Panamá – il cardinale salesiano Raúl Silva Henríquez e Marcos McGrath, prelati illuminati e coraggiosi – attraverso il Venezuela e Panamá arriva a Parigi. Di qui passa a Ginevra e nell’autunno del 1973 si ritrova esule a Roma, dove fortunosamente riesce a farsi raggiungere dai genitori e dalle sorelle.

Privo di ogni risorsa e pur aiutato a tratti dai democristiani e dai comunisti, Badilla deve ingegnarsi: è funzionario sanitario ai Mercati generali, ma anche infermiere che assiste i moribondi. Tramite don Virgilio Levi, vicedirettore dell’Osservatore Romano, incontra Paolo VI – «ricordo ancora i suoi occhi meravigliosi e il sorriso» – e il papa lo fa chiamare più volte per informarsi direttamente della situazione cilena.

«Ma quello che si dice è vero o è propaganda comunista?» gli domanda Montini, al quale il cardinale Silva Henríquez aveva chiesto di non intervenire per non peggiorare la situazione nel paese schiacciato dai militari. All’osservazione di Badilla che Pinochet non sarebbe durato Montini replica invece con amaro realismo che non sarà così, perché «chi non ha etica arriva lontano». Per poi informarsi con concretezza: «Tu, come campi?».

L’avventura del Sismografo

Cinque anni più tardi, nel 1980, inizia per Badilla il tempo del giornalismo: collabora con la Radio vaticana, inizialmente come traduttore e locutore per il programma ispanoamericano. Ma più tardi arrivano serie difficoltà dal segretario di stato Angelo Sodano, già nunzio in Cile, troppo sensibile – per usare un eufemismo – alle pressioni di chi in Cile mal sopporta che in Vaticano ci sia la voce di un oppositore. A proteggere l’esule è alla fine lo stesso Giovanni Paolo II, grazie all’intervento dei gesuiti dell’emittente: Sesto Quercetti, Pasquale Borgomeo, Federico Lombardi, e soprattutto Roberto Tucci, l’organizzatore dei viaggi papali poi cardinale.

La svolta arriva con il pontificato di Ratzinger e le sue ripetute difficoltà mediatiche. Il primo incidente è nel 2006. Durante il caotico passaggio di consegne in Segreteria di stato tra Sodano e Bertone, la lezione che Benedetto XVI tiene a Ratisbona viene distorta e presentata come un’offesa all’islam: «La prima reazione musulmana in Germania è molto positiva, ma il vento cambia subito dopo l’intervento di un funzionario turco» ricorda come se fosse ieri.

Si pensa allora a una «strategia mediatica preventiva» di monitoraggio delle notizie internazionali. L’esperimento viene affidato a Badilla, che lavora però fuori della radio, in tre locali messi a disposizione da un amico nello stesso palazzo dove ora abita: è la nascita del Sismografo.

Poi arriva Robert Calvaresi, un canadese funzionario dell’Unesco, e ogni tanto si aggiunge uno stagista della Radio vaticana. Con un’organizzazione di vita quasi monacale e quattro computer (di cui uno automatico) il sito prende a funzionare dalle sette di mattina alle due di notte: «Ho sempre avuto la pressione bassa e Robert il contrario» spiega divertito. Il Sismografo diventa così uno strumento di lavoro sempre più indispensabile per centinaia di giornalisti e un appuntamento quotidiano per migliaia di lettori in rete. Il nome del Sismografo, inventato da Calvaresi, «viene proposto a Benedetto XVI, e al papa piace».

Aggregatore di notizie (da testate internazionali, stampa locale, fonti ufficiali) nelle principali lingue europee, con il tempo il sito si arricchisce dei commenti di Badilla, spesso scomodi e dal 2018 – dopo il viaggio papale in Cile – sempre più critici nei confronti del pontificato di Bergoglio: sulla questione degli abusi e sul caso Rupnik, seguiti grazie anche ad algoritmi. «Ma ora registro un calo drastico dell’informazione sugli abusi» osserva con amarezza.

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Un cristiano

Nel 2020 il medico cileno viene ricoverato più volte. Poi si riprende, ma alla fine del 2023 i tre locali devono essere restituiti e Calvaresi, ormai in pensione, torna in Canada. Il Sismografo pubblica l’ultima aspra e dolorosa «postilla della giornata» – questo è il titolo degli editoriali di Badilla – dopo la sentenza di primo grado contro Becciu a metà di dicembre.

Ma non è finita: all’inizio dell’anno il prezioso archivio del Sismografo diventa inaccessibile. «Non mi spiego come non si riesca a ripristinarlo» chiosa in modo neutro Badilla.

Anche se viene in mente il detto attribuito a Francesco Marchetti Selvaggiani, un cardinale di Pio XI: «A pensar male si fa peccato, ma spesso s’indovina». Da metà gennaio però il fondatore del sito lancia le sue «Osservazioni casuali», pubblicate il sabato e inviate per posta elettronica a chi ne faccia richiesta (luisbadillamorales@gmail.com) all’autore. Che di sé stesso dice, in terza persona: «Luis Badilla non è un talento, ma è un cristiano».

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