Le battaglie culturali, come quelle spesso condotte dalle destre, vanno di moda perché in fondo sono una forma di impegno politico facile. Offrono alti rendimenti con investimenti relativamente modesti. Anche e soprattutto in termini di qualità del pensiero
Un tema ormai noto: alcuni miliardari della Silicon Valley si sono ufficialmente spostati a destra. Finanziano Trump, lo sostengono, talvolta diventano degli invasati. Un tempo la Silicon Valley, oltre a essere quasi interamente amica dei democratici, era il regno di una bontà ambiziosa (per quanto di superficie): il cuore che batte sotto un cervello matematico. “Non essere cattivo” era il motto di Google. Oggi si osserva quantomeno un ribilanciamento verso i sani valori della tradizione conservatrice. Più muscolare.
Le ragioni possiamo pensare siano economiche (un miliardario segue un candidato di destra), ma in realtà sono anche, e talvolta principalmente, ideologiche. Elon Musk conduce una battaglia personale contro «la dittatura del politicamente corretto» e «l’ideologia woke» Pensare che queste battaglie siano solo una maschera dietro la quale si nascondono interessi materiali è un po’ ingenuo.
Spostandoci in Italia, notiamo come la destra meloniana (che è amica del cuore di Musk) sia molto proiettata sul tema delle battaglie culturali, al punto che gli sforzi politici del nostro governo si concentrano spesso sulla creazione di polemiche di un certo genere. La televisione pubblica, l’egemonia, i diritti, la visione del mondo e della famiglia, il «pensiero solare» di Alessandro Giuli, Eugenia Roccella che... va be’.
Una definizione
Ma cos’è una battaglia culturale, e perché oggi sembra essere posta al centro? Spirito del tempo, reazione a un passato recente troppo tecnico e freddo? Ultimamente ho iniziato a chiedermi se molti dei misteri della contemporaneità non si risolvano considerando che oggi ci sentiamo consumati dalla fatica del ragionamento. Non so se sia perché la realtà è troppo complicata, oppure perché i nostri quozienti intellettivi si stanno abbassando.
Ma ho maturato il dubbio che le battaglie culturali vadano di moda perché in fondo, specialmente se portate avanti alla carlona, come del resto si fa, sono una forma di impegno politico abbastanza facile. Offrono alti rendimenti con investimenti relativamente modesti. Anche e soprattutto in termini di qualità del pensiero.
In questo senso non trovo stupefacente che i signori della Silicon Valley siano attratti dal potere della battaglia culturale. Del resto la loro fortuna è stata costruita sulla semplificazione delle nostre vite, una semplificazione di superficie che ci allontana via via dalla realtà, mentre sotto di noi scorre un fiume tecnico incomprensibile. Il vero potere.
Un’analisi economica
Tenterò ora un’analisi “economica” del concetto di battaglia culturale.
Investire sui temi culturali produce un elevato rendimento: piccoli sforzi (una dichiarazione di intenti anche generica) possono dare origine a grandi reazioni emotive. La battaglia culturale è dunque spesso efficace. Tocca le corde dell'identità personale e collettiva. La tradizione, la religione, la famiglia e la sovranità nazionale evocano forti emozioni. Il coinvolgimento sentimentale rende più facile mobilitare le persone che si sentono impegnate in prima linea nella difesa dei propri valori e stili di vita.
La battaglia culturale, poi, è efficiente. Produce narrazioni semplici e binarie: “noi contro loro”, “tradizione contro progresso”, “patria contro globalizzazione”. Questa semplificazione facilita la comprensione e l'adesione da parte di un pubblico più ampio. Si evitano le sfumature. Gli elettori possono in effetti avere una comprensione limitata delle politiche economiche o delle questioni giuridiche di base (si pensi a un’espressione imprecisa come “reato universale”, che però è andata giù come l’acqua).
Le questioni culturali sono più facilmente accessibili e possono addirittura rivestire le questioni economiche e giuridiche con una patina di chiarezza: continuo a non capire bene, ma quantomeno penso che la questione giuridica sia meno importante del grande tema culturale soprastante. Quello è il vero tema. Un tema che capisco.
I media tradizionali e i social amplificano poi la portata dei messaggi culturali. Simboli, slogan, immagini potenti, viralità. La natura viscerale di questi contenuti li rende adatti alla condivisione.
Richiamare infine elementi della tradizione e della storia nazionale conferisce una legittimazione automatica: un bollino di qualità. Permette di presentare le proprie idee come un ritorno a una “verità” precedente.
Di sicuro via via ci abituiamo. Al ribasso. E sarà sempre più difficile tornare a fare fatica – col pensiero, intendo – dopo che per lungo tempo si è smesso di farla. Come se dopo aver usato lo smartphone per anni ci chiedessero di tornare al Blackberry.
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