Il cassiere di un ferramenta ha appena fatto un volgare commento sessista. Immaginate quanto segue snocciolato dall’insultata con voce tonante, a beneficio della clientela maschile.

«Cosa ti piace? Ragazzi, ragazze? Ok, diciamo ragazze. Sai come farle venire? Sai cosa farci con una ragazza? (Cassiere aggressivo: «Certo che lo so, ma tu puttanella..») Magari inizia accertando il sesso. Ricordi? I genitali maschili sono all’esterno. E invece quelli femminili dove sono? All’interno, giusto? Come un tempio sacro, una caverna, o, come piace immaginare a me, una casa. Una donna non vuole un uomo che le scorrazza per casa, che irrompe all’improvviso.

Non vuole che entri con le scarpe sporche di fango. Non si fa. O che entri con violenza. Il sesso di una donna è un benvenuto, suoni il campanello prima di entrare. Tu chiedi, ma aspetti che ti faccia entrare. Una volta capito questo, forse puoi iniziare con i polpastrelli a stimolare il clitoride. Ma fai attenzione. È sensibile. Sai quante terminazioni nervose ha? Diecimila. È sensibile, perciò fai piano. Fai il check-in, capito?». 

È un estratto succoso da Le donne al balcone – The Balconettes, di Noémie Merlant – attrice premio César alla sua seconda prova da regista – scritto a quattro mani con Céline Sciamma. Era a Cannes 2024 tra le Séances de Minuit e arriva in sala da noi il 20 marzo con Officine UBU.

Dipende dai gusti. Ma in tanti abbiamo assaporato questa sfrenata commedia nera in salsa horror come un afrodisiaco, un revenge movie surreale, una ghiottoneria post-MeToo da sottogenere colto. Conta anche l’esercizio stilistico di Evgenia Alexandrova, direttrice della fotografia, tutto camera a spalla e vertiginosi piani sequenza. E contano i colori urticanti, la tavolozza ipersatura cara a certo Almodóvar, ai tempi in cui filmava le sorellanze chiassose.

(c) 2024 NORD-OUEST FILMS - FRANCE 2 CINÉMA

Hitchcock sì, ma col turbo

Merlant mette il turbo a La finestra sul cortile. C’è una Marsiglia bollente e sudata dove tutti boccheggiano sul balcone di casa. Come per Hitchcock, ogni balcone del caseggiato popolare è un palcoscenico potenziale. In premessa l’immigrata Denise, per l’ennesima volta massacrata di botte dal marito, stende il suo aguzzino a colpi di vanga. E sorride. Il terrazzino adiacente è quello diviso tra l’aspirante scrittrice Nicole (Sandra Codreanu) e le sue amiche Ruby (Souheila Yacoub), esuberante camgirl tutta piercing tribali, ed Elise (Noémie Merlant medesima), attricetta sull’orlo di una crisi di nervi in fuga dal consorte asfissiante.

Il trip di Nicole, frustrata da un corso di sceneggiatura online, sono le fantasie erotiche sull’aitante dirimpettaio, decisamente più dotato del Raymond Burr spiato da James Stewart. Si parte dai classici per esagerare. Perché nel film c’è troppo di tutto: troppi gradi Celsius, troppo sangue e troppe tette fieramente sbandierate come vessillo antipatriarcale. Ma il ‘troppo’ è il suo bello, come l’incasinato patchwork di generi comicamente assemblato da Merlant.

La convivenza del terzetto è una consorteria di complicità goliardica, di cucina e bevute, di nudità anti-stress per agio anziché per esibizione, con qualche lusso di sana volgarità che le donne sodali conoscono bene. «Siamo noi stesse solo quando siamo da sole» non è un modo di dire. Arrivando però truccata da sosia di Marilyn – icona abusata dagli sguardi maschili, non è un riferimento casuale – Elise ha ammaccato l’auto del “bel manzo” dirimpettaio. Ed è il pretesto per accettare un invito collettivo nel dopocena.

L’uomo dei sogni (Lucas Bravo, decorativa star della serie Emily in Paris) non vive in una striminzita topaia, è un fotografo modaiolo da copertine e gallerie d’arte. Uno di quelli che cerco-di-catturare-l’animo-femminile anche se sono nudi anoressici con la testa infilata in un sacco.

Sterzata thriller del film, con macelleria gore a sorpresa: la mattina dopo l’immemore Ruby è coperta di sangue e il cadavere del vicino è infilzato come un’oliva. Lei si era offerta come modella. Per lui era invito allo stupro. Panico, liquidi corporali raccolti a secchiate, il trasferimento nel frigo di casa in un bidone capiente, con il galante aiuto di un flic: è un Grand Guignol da fumetto. Sempre con l’afa che incombe e le profezie di Apocalisse climatica che rimbalzano da tutti i media.

Per buon peso, la regista gioca di sponda col paranormale. Nicole comincia a vedere i morti, come il povero Bruce Willis di Sesto senso. E sono morti di pessimo umore, fantasmi di violentatori incazzati che si sentono vittime e reclamano giustizia: «Mi voleva, mi stuzzicava! Era lei il mostro!». 

Segue l’acquisto di seghe e trinciapollo adeguati alla liberazione del frigo, con il colloquio alla cassa di cui riferivo. È un siparietto di ideologia satirica da tener buono in caso – non così raro – di necessità. L’effetto paralizzante, anche extra-fiction, è garantito.

Quando finalmente le valigie col loro macabro contenuto stanno colando a picco da una barchetta, il team di complici e amiche si accorge che ignote consorelle stanno affidando al mare fagotti altrettanto ingombranti e sospetti.

SPOILER ALARM!

Anche lo spettro del vicino infilzato, un’ossessione da vivo quanto da morto, si decide a far fagotto e a svanire, quando Nicole riesce a strappargli la verità: «È vero, ho violentato la tua amica». Ruby sta leggendo questo finale al computer, commossa. Perché tutta la storia forse è soltanto il romanzo di una donna che sta inventando, con la scrittura, un mondo più bello e più giusto. Nella notte marsigliese l’intera popolazione femminile è scesa in strada senza passaparola, libera di camminare a seno nudo e di respirare speranza. Perché uno strano vento si è alzato.

(c) 2024 NORD-OUEST FILMS - FRANCE 2 CINÉMA

Il MeToo tricolore: c’è stato?

Due parole su Noémie Merlant e Céline Sciamma. Merlant attrice e Sciamma regista fanno squadra dal fortunato Ritratto della giovane in fiamme, premiato a Cannes per la sceneggiatura. Insieme hanno lavorato per Jacques Audiard (Parigi,13Arr.) e sono tra le co-fondatrici di Collectif 50/50, che si batte per la parità sessuale e l’inclusione della diversità di genere nello showbusiness. Il movimento femminista in Francia ha voce e – a tratti – potere.

L’onda del #MeToo gallico, dopo il 2018, ha destabilizzato non pochi set. Denunciano i molestatori, fanno parecchio chiasso e non mollano l’osso. Dalla nostra parte del confine abbiamo spettegolato in sordina su pochi casi lampanti e abbiamo chiuso la pratica. Che tristezza. Non che venga voglia di imbrancarsi con il femminismo oltranzista, quando è persecutorio e di bassa lega: Sciamma e Merlant erano tra le indignate che hanno abbandonato platealmente la sala quando ai César hanno premiato Roman Polanski.

Ma è utile, e interessante, che Le donne al balcone passi in farsesca rassegna gradi diversi, non tutti censiti, di oppressione malata. «Dietro il discorso sul fotografo e sul suo rapporto con l’arte c’è l’dea di possesso, di dominio, di una certa idea di creazione e tirannia che ho vissuto direttamente», dice la regista.

Vale lo stesso per il rapporto tossico di Elise, dove è violenza il ricatto emotivo di un marito assillante. «Nel mio film aggressori e oppressori occupano tutto lo spazio, e non vediamo, non sentiamo gli altri, i "buoni”, quelli che capiscono e non abusano. Dove sono loro?». È lei a dirlo, ma condivido: forse è questa la vera domanda del film.

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