Kubra Khademi è nata nell’Afghanistan centrale, un luogo dove l’immaginazione è confiscata, dove il futuro di una donna è già scritto. Ma mentre da piccola doveva nascondere i suoi disegni, ora espone in tutto il mondo, sfidando il patriarcato a colpi di matita e provando a restituire la libertà alle sue sorelle
Da piccola nascondeva i suoi disegni sotto il letto per paura che qualcuno li trovasse. Erano disegni di donne nude, quelle che vedeva all’hammam o a casa; erano sei sorelle. Oggi i suoi disegni e i suoi dipinti li espone nei musei e gallerie di tutto il mondo. A colpi di matita sfida il patriarcato e reinventa il suo amato Afghanistan.
Ma proprio per la sua arte insolente e provocatoria nel 2015 è stata costretta a lasciare il suo paese e a rifugiarsi a Parigi. Kubra Khademi è un’artista visiva e performativa nata nel 1989 nella regione montuosa di Ghor, nell’Afghanistan centrale, in un luogo dove l’immaginazione è confiscata, dove il futuro di una donna è già scritto. Ma non per Kubra Khademi che attraverso l’arte restituisce la libertà alle donne afghane. Oggi le sue opere sono richiestissime.
Solo quest’anno sono state esposte alla Mill6 Foundation di Hong Kong, all’Institut du monde arabe di Parigi, alla fiera d’arte contemporanea Art Paris, alla Kunsthalle di Dessau, in Germania, e recentemente al Pablo’s birthday di New York e alla Biennale di Bangkok. Le sue performance più recenti sono state ospitate dal Museum Pfalzgalerie di Kaiserslautern, dal TNG di Lione, dalla Condition Publique di Roubaix, dal Centre Pompidou-Metz e dal Théâtre Nationale de la ville de Paris. E prossimamente è attesa a Miami, Colonia, Zurigo, Francoforte e Vienna.
Corpi liberi
Le donne sono i soggetti principali dell’arte di Kubra Khademi. «Io non disegno nudi, disegno corpi», ci tiene a precisare Kubra. «Rappresento solo delle donne nella loro veste più naturale. Non le vesto perché vorrebbe dire conformarle ai diktat della società». Perciò fin da piccola disegna corpi di donne nude, libere da tutte le imposizioni sociali, leggere e che spesso sembrano galleggiare. L’artista non sa spiegare l’origine di questa sua passione se non con il fatto che in Afghanistan il corpo delle donne è sempre stato molto politicizzato, ha sempre infiammato il dibattito pubblico, diventando così un tabù.
Kubra quindi libera il corpo femminile da qualsiasi velo e dalle imposizioni sociali. Attraverso la performance 18 kg, messa in scena lo scorso maggio al Bauhaus di Dessau, in Germania, l’artista denuncia la pressione sociale sul corpo della donna spesso concepito solo a fini riproduttivi. «Mia madre si è sposata a 12 anni e ha avuto dieci figli».
Il corpo femminile, inoltre, diventa per Kubra anche strumento di rivendicazioni sociali. Nella mostra Habibi, les révolutions de l’amour (settembre 2022 – marzo 2023) all’Institut du monde arabe di Parigi, Kubra ha celebrato il «potere sessuale femminile, l’amore puro tra donne, la loro bellezza» attraverso opere che rappresentano un incontro erotico e festoso di corpi femminili, «pensate come composizioni musicali».
Erotismo proibito
Nel mondo musulmano si lotta per poter esprimere liberamente la propria identità di genere e la propria sessualità. Le rivolte popolari degli ultimi anni hanno avuto un effetto profondo sulla società e hanno portato a un aumento dell’attivismo Lgbtqia+. Kubra Khademi si è quindi schierata a fianco del movimento per rivendicare l’emancipazione femminile, la libertà del corpo, la libertà di essere diversi e la libertà di amare.
Ma l’erotismo si accompagna sempre alla poesia come nell’opera The two page book, dove sul fondoschiena di una donna Kubra scrive i versi del poeta persiano Rumi, sua fonte d’ispirazione insieme alla poetessa Forough Farrokhzad (1934-1967).
Con uno sguardo naif, Kubra arriva perfino a riscrivere la mitologia afghana. Spesso rappresenta potenti guerriere e temibili eroine che sfidano mostri minacciosi, come nell’opera The great battle. «La mitologia afghana racconta di un dragone ucciso dall’imam Alì, ma nel mio universo femminile non poteva che essere una donna a ucciderlo».
Nel mondo femminile di Kubra dunque non c’è spazio per gli uomini: «Disegno raramente le figure maschili, ma sempre attraverso lo sguardo femminile. Loro rappresentano l’oppressione, il patriarcato, il potere e il dominio maschile, e allo stesso tempo la liberazione delle donne». Spesso, inoltre, gli uomini nelle opere di Kubra finiscono per diventare ridicoli come nel dipinto, ai limiti del kitsch, che rappresenta l’idillio, conclusosi nella violenza, tra un talebano e l’attore americano Daniel Pettrow. È evidente quindi la sua rabbia e frustrazione per il ritiro delle truppe americane.
La sua arte riflette su due questioni fondamentali in Afghanistan: il patriarcato e la guerra. In una performance del 2013, per esempio, Kubra Khademi ha bloccato un’autostrada all’ingresso di Kabul ricreando una scena di vita quotidiana. Il suo era un invito a interrompere la guerra e a tornare alla vita di tutti i giorni.
Donne, guerriere e dee, tutte le creature nate dalla matita di Kubra Khademi, lo scorso marzo, sono arrivate sul palco del Théâtre Nationale de la Ville de Paris per la sua ultima performance The golden horizon. Attraverso sette capitoli, quante sono le porte dell’Inferno, l’artista ha portato in scena il quotidiano drammatico delle donne afghane, prigioniere di mostri che cercano in tutti i modi di controllarle e sottometterle.
L’esilio
Ma la performance più famosa è stata quella del 2015 chiamata Armor: Kubra Khademi ha osato camminare per Kabul vestita con un’armatura metallica che esagerava la forma del seno, dello stomaco e dei glutei per denunciare le molestie che tutti i giorni le donne subiscono per strada. Seguirono minacce di morte che la costrinsero all’esilio. «Ero circondata da persone furiose che volevano uccidermi», racconta oggi, ancora incredula per l’esagerazione della reazione alla sua performance, una pratica artistica che aveva già utilizzato diverse volte in Afghanistan e che aveva imparato alla Beaconhouse University di Lahore, in Pakistan.
Così nel 2015, è arrivata a Parigi dove continua a denunciare il patriarcato, l’islamismo tossico e gli effetti devastanti dell’imperialismo americano sul suo paese. «Io appartengo a una generazione di afghani cresciuti con la pace, l’educazione, l’arte, internet e la possibilità di progettare un futuro», racconta Kubra Khademi, laureata in arte all’università di Kabul, che fino al 2015 ha lavorato come artista senza problemi nel suo paese. Oggi a 34 anni a Parigi si è costruita una seconda vita e nel 2020 ha ottenuto la nazionalità francese. Dal 2016, Latitudes Productions sostiene lo sviluppo dei suoi progetti artistici e performativi, mentre il suo lavoro plastico è rappresentato dalla Galerie Eric Mouchet.
«Dopo otto anni mi manca un po’ l’Afghanistan. Mia madre e le mie sorelle sono partite e oggi vivono in Australia, ma lì ho ancora i miei cugini e molti amici. In Francia però sono libera». Con il ritorno dei talebani in Afghanistan l’arte è un crimine, quindi può resistere solo clandestinamente. Di quel fatidico 15 agosto 2021, in cui i talebani hanno riconquistato Kabul, Kubra non vuole proprio parlare, «ho rivissuto la mia esperienza del 2015».
Ma sappiamo che ha aiutato decine di artisti, soprattutto donne, a lasciare il paese. «I talebani non rimarranno a lungo», dice con sicurezza e un po’ di speranza. In attesa di quel giorno in cui l’Afghanistan sarà libero, Kubra Khademi lavora a un graphic novel autobiografico e ha in mente un’opera teatrale su come salvare le donne afghane.
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