Il giorno che Gianluigi Buffon detto Gigi si presentò all'ex marito della sua compagna, si sentì dire benvenuto in famiglia, benvenuto nella nostra nuova famiglia allargata, ma sia chiaro che il bambino è interista, e interista deve rimanere. Ora, se c'è qualcosa che Gianluigi Buffon detto Gigi pratica con ostinata intensità è un’inafferrabile forma di onore, una parola dal senso sdrucciolevole che qualche volta l'ha messo pure nei casini.

Una onorabilità – sarebbe meglio dire – intesa come rispetto degli impegni presi verso sé stesso, come integrità verso principi a cui da solo ha dato gerarchie. Così, quel bambino che era interista, interista è rimasto pure adesso. Anzi, chi conosce le cose di casa, racconta che ogni tanto Buffon l'ha pure accompagnato allo stadio, con gli occhiali scuri, un berretto in testa, i baffi finti.

Al Pacino

Se la storia è inventata, è inventata bene. Se invece fosse vera, direbbe parecchio di questo arci-italiano che dentro lo spogliatoio della Juventus era il solo a possedere un armadietto a doppia anta, necessario a contenere il suo ordinato disordine, le scarpe vecchie, i guanti consumati, alcune lettere sgualcite, i vestiti del giorno, qualche fotografia, un trolley perché non si sa mai dove ti porta la vita, dei libri perché gli piace dirsi come Adriano Celentano uno che coltiva la sua ignoranza.

Gigi Buffon ha vissuto in mezzo agli ossimori e alle contraddizioni. Potrebbe essere del tutto credibile se fosse lui a pronunciare la battuta più celebre scritta per Tony Montana: «Dico sempre la verità. Anche quando mento».

La linea

Ha avuto posture da faccia tosta sin da ragazzino, non un tipo eccessivo ma un disinvolto, uno spericolato, sempre con i piedi tra l’impertinenza e l’ingenuità, come su una riga i piedi sanno tenerli solo i portieri. Si è fatto beccare con un diploma falso perché aveva il complesso di non averlo preso a scuola e si sentiva in colpa verso i genitori, si è fatto accusare di simpatie per il nazismo quando dietro la maglia ha messo il numero 88. Tutti pensavano a Hitler, lui giurò che voleva dire un’altra cosa, voleva dire «avere quattro palle». È Tony Montana, pure qua.

ANSA

La corona

Non è cercando di coglierlo in castagna che si capisce l’uomo Buffon, sarebbe perfino troppo facile. La prima volta che disse di voler smettere non smise. Quando disse la Juve o basta, se ne andò al PSG. Ma non è questo che conta con lui, davvero. Per lui conta che si sappia: l’ha fatto Buffon.

Come scendere in B con la Juventus. Come tornare a Parma per un ultimo giro da romantico. Per vent’anni ha dovuto essere all’altezza del trono che il calcio gli aveva consegnato, sapendo che una volta Maradona disse a un giovane Del Piero di stare attento, «in questo mondo ti danno la corona per poterti tagliare la testa».

Steve McQueen

Buffon l’ha attraversato con l’atteggiamento di chi dice di preferire «ritrovarmi senza benzina in alto mare dopo una traversata alla velocità di cento nodi, piuttosto che rientrare lentamente e mestamente in porto». È del partito degli Steve McQueen e dei Vasco Rossi.

Quando ti sei iscritto, la tessera non la stracci più. Qualche anno fa, in una bellissima intervista con Dario Cresto-Dina per Repubblica, rispose alla richiesta di scrivere la sua autobiografia in un rigo appena: «Sono stato ostinato senza essere ottuso».

Il comunista

Ora l’autobiografia l’ha scritta sul serio, moltiplicando quella riga per 246 pagine, dicendo molto e molto altro tenendo sicuramente per sé. L’impegno, l’integrità, l’onore. Ma non solo. Oggi la sua più grande preoccupazione è non ferire nessuno. Ha raccontato di quando Renzo Ulivieri quasi lo convinse «tu non sei un fascio, sei un uomo di sinistra. Io li conosco gli uomini, ne ho visti tanti di calciatori, e quello che tu hai fatto con il tuo collega lo fanno solo le persone di sinistra».

Era successo che Gigi avesse lasciato il posto in finale di Coppa Italia alla sua riserva, perché nei turni precedenti in campo c’era sempre andato lui, Matteo Guardalben.

Ma poi destra, sinistra, spiega il Buffon 46enne, lui cosa ne sa. Da tempo si definisce «un anarchico conservatore», qualunque cosa sia. Cadere, Rialzarsi, Cadere, Rialzarsi si intitola il libro (Mondadori), perché questo fanno i portieri durante una partita e perché altro non gli pare d’aver fatto lui, le discese ardite e le risalite, attraversando la depressione, il demone del betting («a me qualche volta piace giocare d’azzardo, sentire quel brivido, ma so benissimo che ci sono dei paletti, che il calcio non si deve toccare»), la difesa del tacito accordo per un pareggio («meglio due feriti che un morto»), i meme dell’arbitro col bidone al posto del cuore.

Il bidone dalla parte giusta

La più sottile delle rivelazioni presenti nel libro scritto con l’accompagnamento dello scrittore Mario Desiati è che un arbitro può avere un bidone al posto del cuore anche se fischia in tuo favore. Così diciott’anni dopo il Mondiale di Berlino, Buffon racconta che il rigore negli ottavi di finale contro l’Australia all’ultimo minuto, mmm, fu un abuso.

Ci sono finali di partita in cui l’arbitro deve lasciare che il fiume scorra nella direzione in cui stava scorrendo. «Rivisto alla moviola – si legge – appare un rigore molto generoso, a velocità normale si poteva dare. Ma è anche uno di quei rigori che se l’arbitro non lo fischia non ti arrabbi. Un po’ somiglia, come intensità, a quello in Real Madrid-Juventus del 2018.

Ci sono partite in cui certi rigori non li puoi dare, ecco». E se vi pare di essere dalle parti di una miniatura dei dilemmi morali alla Clint Eastwood, con Gigi Buffon siamo pure da quelle parti là.

Il mondo antico

«Ai miei figli, perché non abbiano paura di attraversare la vita» si legge nella dedica. Con loro nel tempo libero Gianluigi Buffon detto Gigi ha compiuto una specie di viaggi nel tempo, la sera capita che si giochi a nomi, cose, fiori, frutti, città.

Ci sono migliaia di calciatori che raccontano di quell’unica volta che, e adesso ridono dentro un bar. Ce ne sono decine di migliaia, centinaia di migliaia, che per colpa di un ginocchio rotto da ragazzi non sono diventati dei campioni.

Ogni tanto invece ne arriva uno che infila la sua giocata più bella nel giorno più importante della carriera, tipo volare sotto la traversa per parare un colpo di testa di Zidane nella finale dei Mondiali. E in effetti, pure questo: l’ha fatto Buffon.

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