- Nella visione della fisica classica anche lo stato informatico del cervello evolve secondo algoritmi che sono indipendenti da ciò che crediamo di volere. E quindi la coscienza sarebbe solo un’illusione
- La spiegazione materialista sarebbe vera se le particelle elementari fossero oggetti classici soggetti a leggi deterministiche, ma invece non è così perché la fisica classica emerge dalla più fondamentale fisica quantistica
- La differenza fra sistemi quantistici e quelli classici ci permette di inquadrare qual è la marcia in più della nostra coscienza rispetto a un computer
Il pensiero scientifico e filosofico è ancora oggi dominato dalla visione deterministica e riduzionistica della fisica classica malgrado l’esistenza della fisica quantistica che ne ha falsificato i presupposti.
La fisica classica parte dall’idea che l’universo sia una macchina fatta di parti separabili organizzate gerarchicamente a partire dalle particelle elementari, che sono gli oggetti irriducibili di cui tutto è fatto e che quindi rappresentano l’ontologia dell’universo. La fisica classica ritiene inoltre che le particelle interagiscano tra di loro secondo leggi matematiche a cui esse obbediscono ciecamente, e che quindi tutta la realtà sia descrivibile, almeno in linea di principio, da algoritmi.
Algoritmo cerebrale
In questa visione, anche lo stato informatico del cervello evolve secondo algoritmi che sono indipendenti da ciò che crediamo di volere. E quindi la coscienza e il libero arbitrio sono epifenomeni, cioè illusioni senza alcun potere causativo. In altre parole, anche quando siamo convinti di aver fatto una scelta libera, il cervello ha già preso la decisione per conto suo – per azione dei suoi circuiti biologici – e la nostra coscienza è semplicemente informata di tale decisione. Così ci dicono oggi quasi tutti gli scienziati cognitivi.
Nell’ottica materialista, la coscienza e il libero arbitrio non hanno nessun impatto su ciò che succede veramente, e quando moriamo la coscienza se ne va perché essa è semplicemente un fenomeno che dipende interamente dal funzionamento del cervello.
Se il materialismo fosse completamente vero, il cervello dovrebbe funzionare al buio, esattamente come fa il cervello artificiale di un robot. E poi, se la coscienza non avesse potere casuale, per quale ragione dovrebbe esistere? Non avrebbe senso provare sensazioni e sentimenti, e capire le situazioni in cui ci troviamo se ciò non ci conducesse a trovare soluzioni creative ai problemi che ci circondano.
I limiti del materialismo
Affermare che la coscienza è illusoria quando nessuno è mai riuscito a spiegare il meccanismo che produce le sensazioni e i sentimenti che tutti noi proviamo – ciò che i filosofi chiamano qualia – non è però accettabile. Specialmente quando ciò equivale ad eliminare tutte le proprietà che si basano sulla coscienza, come il libero arbitrio, la comprensione, la creatività, la gioia, il dolore, l’amore e così via, cioè tutte quelle qualità incommensurabili che danno scopo e significato alla vita.
La spiegazione materialista sarebbe vera se le particelle elementari fossero oggetti classici soggetti a leggi deterministiche, ma invece non è così perché la fisica classica emerge dalla più fondamentale fisica quantistica. Secondo quest’ultima, una particella non è un oggetto, ma uno stato del campo quantistico dell’omonima particella. Questi stati non sono separabili dal campo e si comportano come onde di probabilità. Alla frontiera della fisica, il prof. Giacomo Mauro D’Ariano e i suoi collaboratori hanno recentemente dimostrato che la fisica quantistica può essere derivata dall’informazione quantistica. Questo importante contributo ha permesso di collegare il modello della coscienza che avevo sviluppato negli ultimi dieci anni con la teoria di D’Ariano e fare un passo avanti nella comprensione della coscienza e del libero arbitrio.
La natura della coscienza
La coscienza è ciò che ci permette di comprendere chi siamo, cosa vogliamo e come agire con libero arbitrio per ottenere ciò che desideriamo. Sappiamo che l’esperienza che stiamo vivendo è la nostra esperienza e quindi possiamo dirigerla con le nostre azioni libere per conoscere sempre di più noi stessi e il mondo. Noi siamo enti coscienti con identità e libero arbitrio, proprietà quantistiche che sono incommensurabilmente di più della somma delle parti fisiche che costituiscono il nostro corpo. Il corpo è invece simile ad un robot, anche se estremamente più sofisticato dei robot che sappiamo fare, che è semplicemente la somma delle sue parti fisiche.
Questa ipotesi è fondata su di una teoria della coscienza e del libero arbitrio descritta recentemente in un articolo di D’Ariano e Faggin e chiamata “panpsichismo basato sull’informazione quantistica” (Piq). La teoria Piq afferma come postulato che un sistema quantistico che si trova in uno stato puro è conscio del suo stato, cioè ha un’esperienza del suo stato che si basa sui qualia.
Lo stato quantistico puro è rappresentato da un vettore unitario in uno spazio di Hilbert complesso. Secondo la teoria Piq, un sistema quantistico in uno stato puro è in uno stato ontico perché conosce “da dentro” il suo stato, mentre un osservatore esterno è in uno stato epistemico in quanto può conoscere soltanto i possibili stati che osserverà e le loro probabilità.
È un teorema della fisica che l’informazione quantistica non si può copiare (teorema di non clonazione), e la nuova teoria afferma che lo stato non è copiabile perché può esistere soltanto come esperienza privata del sistema. Lo stato può quindi essere conosciuto “da dentro” soltanto dal sistema che è in tale stato, mentre da fuori esso può essere conosciuto solo mediante informazione classica (bit) che è condivisibile, cioè pubblica. L’informazione classica, però, potrà solo descrivere una piccola parte dell’esperienza provata dal sistema.
Questa affermazione è supportata dal teorema di Holevo che ha dimostrato che la massima informazione classica che si può ottenere da uno stato puro è un bit per ogni qubit dello stato puro. Il qubit rappresenta un’infinità di stati mentre il bit ne rappresenta solo due.
Indescrivibilità
Ecco quindi che l’informazione quantistica e quella classica si comportano rispettivamente come la nostra esperienza e le parole che usiamo per descriverla. L’esperienza corrisponde all’informazione quantistica che è infinitamente più ricca della sua descrizione a parole. Per esempio, l’amore immenso che si prova per un figlio non si potrà mai descrivere completamente a parole, perché ne rimarrà sempre una parte intraducibile che si può soltanto sentire.
L’interiorità della natura è quindi rappresentata dall’informazione quantistica, mentre il mondo condivisibile è rappresentato dall’informazione classica. Il mondo condivisibile, oggettivo, rappresenta solo una piccola parte del mondo interiore, privato, qualitativo e soggettivo dell’esperienza cosciente. In altre parole, la fenomenologia dello stato quantistico puro è la stessa dell’esperienza cosciente perché entrambi sono stati ben definiti e privati (non-clonabili), conoscibili soltanto “da dentro” dal sistema che è in quello stato.
Diciamo che un sistema quantistico in uno stato puro conosce il suo stato mediante un’esperienza basata sui qualia, che sono qualità non numeriche. Però la descrizione matematica di una esperienza non è l’esperienza perché quest’ultima è basata su una conoscenza diretta e soggettiva del proprio stato mediante i qualia. L’interpretazione della informazione quantistica è quindi la seguente: essa descrive l’esperienza privata di un sistema quantistico che può essere conosciuta soltanto come esperienza vissuta.
La marcia in più
Ecco così che dal mondo soggettivo nasce il mondo oggettivo che rende possibile l’esplorazione collettiva del significato personale e universale attraverso lo scambio simbolico di informazione classica.
La differenza fondamentale tra l’intelligenza umana e l’Ia sta appunto nella comprensione sia della informazione quantistica che di quella classica che solo la coscienza, come fenomeno puramente quantistico, può avere.
Solo un ente cosciente possiede la capacità di comprendere sia la propria esperienza (stato ontico) che il significato dei simboli classici osservati liberamente. Solo tale ente è libero di scegliere quale significato tradurre in simboli e quali simboli osservare per poi tradurli in significato.
Un robot con un cervello digitale non può possedere la comprensione e il libero arbitrio che ci caratterizzano, perché esso è un sistema puramente algoritmico che non ha né coscienza di sé né la libertà di scegliere un’azione diversa da quella dettata dal suo programma (algoritmo).
Noi abbiamo una marcia in più che proviene dalla nostra natura quantistica non algoritmica che non è accessibile ad un computer classico.
Federico Faggin, fisico e inventore dei microprocessori, ha pubblicato ora Irriducibile. La coscienza, la vita. I computer e la nostra natura, Mondadori.
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