«È questo il modo in cui finisce il mondo. Non già con uno schianto, ma con un lamento» profetizza Thomas Stearns Eliot e tanto più andiamo avanti tanto più pare realtà. Realtà che Stephen Markley, statunitense, racconta in Diluvio - Einaudi Stile Libero, 2024. Il terrore per il nostro futuro, futuro che ci appare rabbuiato dalle ombre della crisi climatica, delle guerre, dei fascismi risorti – ma non sono mai morti, in effetti –, ecco, il terrore per il nostro futuro Markley lo mette nero su bianco. Raccontando gli Stati Uniti dei prossimi vent’anni, indica la meta che raggiungeremo se seguiteremo a camminare nella direzione imboccata. Diluvio è un romanzo duro. Ma è necessario - questo lo è davvero.

Markley, il suo romanzo è talmente grande, pieno che non saprei da dove iniziare. Decida lei.

(Ride, ndr). Iniziamo da quello che l’ha colpita di più.

Dall’ansia, allora.

È certamente un romanzo ansiogeno, il mio. Lo so.

Scrivendo l’ha provata?

Parlando di Diluvio, non faccio altro che ripetere che non c’è gioia nell’essere una Cassandra – la figura della mitologia greca con il dono della profezia. Non importa che ciò che sta accadendo nel mondo io, come tanti altri, l’avessi già visto: è comunque sconcertante. Quello di cui ho scritto, di cui parlo nel libro, non è qualcosa che forse succederà ma che sta già capitando. Per questo vorrei che il romanzo non venisse più definito una distopia.

A proposito di etichette. Alcuni in Italia hanno paragonato il suo romanzo a Underworld di Don DeLillo.

Mai letto; non per chissà quale motivo, semplicemente non è capitato. Ci sono così tanti libri da leggere che, per forza di cose, alcuni ci sfuggono.

Il suo romanzo, lo dicevamo, non è soltanto molto lungo, ma anche denso, sia di personaggi sia di accadimenti, e si estende per un arco temporale e spaziale davvero ampio, oltre a essere composto da lingue e codici diversi. Scrivere è mai stato sopraffacente?

Sì, in alcuni periodi sì. La mole di storie e informazioni è talmente grande che all’inizio il libro era settecento pagine più lungo della stesura finale –  appunto: troppo pure pe me. Ho dovuto tagliare tanto, ma la struttura è la stessa.

A proposito della struttura. Com’è nata?

L’ho sempre sentita – non la conoscevo per filo e per segno, però l’ho sempre avvertita. Sentivo che avrebbe avuto cinque parti tanto lunghe, delle sequenze di cui conoscevo inizio e fine. Il lavoro vero e proprio, in effetti, è stato ideare le storie dei protagonisti nelle diverse sezioni. Ho riscritto e spostato, tagliato e aggiunto fino agli ultimi giorni – quelli subito precedenti la pubblicazione.

Oltre al racconto della vita dei suoi personaggi, lei inserisce file dell’FBI, articoli di giornale, trascrizioni di interventi tivù e radio.

Volevo riprodurre la cacofonia in cui siamo immersi, in cui viviamo tutti, tutti i giorni. Il forte, costante bombardamento d’informazioni che non ci permette neanche di elaborarlo, quel che ci viene schiaffato davanti agli occhi. E da qui credo derivi il senso di confusione e sopraffazione perenne. Il nostro cervello, da un punto di vista biologico, non è programmato per processare una quantità tale di input e notizie. Abitiamo in un Tempo frammentato, e questi frammenti ci volano continuamente davanti agli occhi.

Torna, quindi, la coralità che aveva già usato nel suo romanzo precedente - Ohio, Einaudi Stile Libero 2020.

Sì, e, per quanto il risultato sia diverso, questa coralità torna per le medesime ragioni. Trovo davvero affascinante, infatti, guardare un evento da prospettive diverse, camminare per il mondo nei panni degli altri, pensare ad accadimenti, sia storici sia privati, traverso la testa di persone lontane da me. Penso sia una delle bellezze dello scrivere romanzi, in fondo: poter vivere, per del tempo, il mondo nell’anima di un’altra persona. E credo che scrivere un romanzo – una storia, comunque – da un solo punto di vista sia uno spreco, per certi versi.

Il suo romanzo si spinge di qualche anno più in là nel futuro, nel tentativo di prevedere come andranno le cose. Lo fa anche per ciò che riguarda la politica, naturalmente. Immagino che Diluvio lei abbia finito di scriverlo diversi anni fa, e, all’epoca, cercando di prevederlo, questo futuro politico degli Stati Uniti, ha raccontato che a succedere Biden è una donna. Perso la scommessa?

Da giorni, per sdrammatizzare, dico che la più grande tragedia nella rielezione di Trump è che il mio romanzo non funziona già più. Però è una battuta, ecco. Vede, il punto è che la mia intenzione con Diluvio non era prevedere in modo scientifico ciò che accadrà ma indicare la direzione verso cui stiamo andando. Che sia stato eletto Trump invece di Harris poco importa: abbiamo anticipato i tempi, nient’altro.

A proposito delle elezioni americane, dunque. Il disagio e la rabbia della grande fetta di popolazione che ha votato per Trump sembra sia qualcosa che i Democratici proprio non riescono a cogliere – o quantomeno anche solo a sfruttare. Perché un milionario, lontano da questa gente, ce la fa?

È una domanda difficile ma credo che le molte risposte che si potrebbero dare potrebbero applicarsi a tanti altri Paesi occidentali. Quello che sta accadendo negli Stati Uniti, in fondo, sta succedendo anche in Europa.

Si riferisce alle ultra-destre?

Sì, certo. L’insorgenza di movimenti antidemocratici ormai è un fatto che non riguarda solo il nostro Paese, ma molti altri.

Una risposta non me l’ha data.

Perché non credo di averla. Ciò che le posso dire è che, storicamente, la gente tende ad affidarsi a chi sembra forte, a chi mostra i muscoli. Nessuno di questi politici ha inventato la ruota, non c’è nulla di nuovo fuori dalle nostre finestre. Ad ogni modo, la domanda non dovrebbe essere come fanno a stregare masse tanto grandi tanto velocemente?, ma come facciamo a smascherarli?

Come facciamo?

Che ne so, io.

Larry D. Moore, CC BY 4.0, Wikimedia Commons.

Viviamo nella post-verità, e le opinioni personali hanno un peso maggiore rispetto alla realtà, la razionalità. Come ci siamo arrivati?

Potrei sembrare banale, ma penso che i social abbiano avuto un impatto molto forte. Twitter, TikTok, Instagram, Facebook hanno rimpiazzato i giornali, che, a conti fatti, erano istituzioni il cui compito era fornire la verità: dare ai lettori, alla gente comune, i dati di realtà per capire il mondo. Sui social tutti possono dire tutto, invece, e tutti credono a tutto, e nessuno si fa problemi a mentire.

Tornando al libro. In Diluvio racconta un assalto al Campidoglio davvero simile a quello realmente avvenuto –  ma il suo è a opera di ecoterroristi.

Il 6 gennaio, quando, nel 2021, ci fu il tentativo d’insurrezione dei pro-Trump, fu scioccante per tutti, naturalmente, però io avvertii anche uno straniamento, un senso dell’assurdo molto forte: quel che vedevo in tivù l’avevo già scritto.

L’assalto al Campidoglio in Diluvio l’ha scritto prima che avvenisse nella realtà?

Sì, certo. Circa sei anni prima. Il mio romanzo sta predicendo molte cose, per questo è spaventoso pure per me stesso.

Alla sopraffazione, all’ansia che vengono fuori dalla situazione del nostro mondo, situazione sociale e politica e ambientale, come reagisce? Ha delle vie di fuga?

Il giardinaggio. E poi leggo, guardo film. E, naturalmente, scrivo. Soprattutto, però, ho imparato a lasciare il cellulare fuori dalla stanza, quando sto facendo una di queste cose. Mi sono proprio allenato, per riuscirci.

Nota una differenza?

Sì, sostanziale. Il mio umore migliora.

Considerando tutto quel che ci siamo detti, Markley. Oggi qual è il ruolo della letteratura?

Ha un ruolo fondamentale, a mio avviso – anche se la gente ci si è allontanata. L’arte non si limita a fornirci dei dati, l’arte ha la capacità di avvicinarci, sotto il punto di vista psicologico e sentimentale, all’altro. Stai vivendo esperienze, vite che altrimenti non conoscesti neanche. Ti stai arricchendo.

Ancora considerando tutto quel che ci siamo detti. È ottimista sul futuro?

Le rispondo come faccio sempre a questa domanda: Pessimismo della mente, ma ottimismo della volontà.

© Riproduzione riservata