Nell’agosto 2023, su TikTok, non si parlava che di friselle imbevute di acqua di mare. Un abbinamento noto a chiunque sia nato in Salento o in un paese di mare. Tuttavia, l’inquinamento attuale dei mari non permette più di godersi lo spuntino marinaresco con la stessa disinvoltura del passato. Ma la sintonia tra acqua marina e cucina vive grazie alla tecnologia depurativa che permette di avere acque salubri, adatte a creare anche interi menu al sapore dei flutti salini.

Storia dell’acqua di mare

I primi a utilizzare l’acqua di mare in cucina sono stati i marinai. Per destinare l’acqua dolce all’estinzione della sete, pulivano e cuocevano gli alimenti ittici con il liquido marino. Crearono così la cottura all’acqua pazza, aggiungendo il sapore iodato senza bisogno di altri condimenti.

Ma le storie culinarie pugliesi e napoletane riferiscono di pani impastati all’acqua di mare e polli cotti con lo stesso ingrediente. Era il tempo degli acquaioli, i portatori d’acqua dolce e salata, la prima più cara della seconda perché più preziosa. «In tempi di estrema povertà, le nonne prendevano le pietre di mare, le mettevano in padella con l’olio per aggiungere alla pasta la sapidità marina necessaria per preparare gli spaghetti alle vongole fujute (cioè “fuggite”, senza vongole, ndr.) – ricorda il giornalista enogastronomico Luciano Pignataro –

Oggi i mari sono diventati pericolosi. Basti pensare alle nanoplatiche presenti persino nella carne dei pesci. Ma la tradizione resiste. In più, l’uso dell’acqua di mare depurata può contribuire ad abbattere il livello di sale negli alimenti». Da qualche anno, infatti, adeguatamente sanificata, questa materia prima è tornata in cucina, affascinando chef curiosi, attenti alla salubrità e al gusto naturale.

Le proprietà dell’acqua di mare

La sacralità dell’acqua di mare è incastonata in miti e leggende dell’antichità. Nello shintoismo si crede che abbia poteri purificatori. Euripide affermava che “il mare guarisce le malattie degli uomini”. E la scienza oggi gli dà ragione. Infatti, l’acqua marina contiene più di 90 elementi minerali che il semplice sale aggiunto non può sostituire. Contiene cloruro, sodio, solfato, calcio, magnesio e potassio sono presenti in generose quantità. In piccole dosi, gli analisti hanno individuato quasi tutti i 92 elementi della tavola periodica. Nel loro insieme, creano anche uno specifico bouquet aromatico. In più, l’acqua di mare migliora la conservazione degli alimenti e permette di abbattere del 50 per cento l’uso del sale da cucina nell’alimentazione quotidiana. La si potrebbe definire la più completa delle acque minerali.

Gli chef innamorati dell’acqua di mare

La riscoperta di questo ingrediente ha sedotto numerosi chef. Tra i più noti c’è Ferran Adrià, che al Bullì l’ha usata per preparare anche il fumetto di pesce. Dopo varie sperimentazioni, il pizzaiolo Guglielmo Vuolo ha creato un impasto all’acqua di mare, «seguendo la tradizione dei pizzaioli storici, che non avevano sempre il sale a disposizione. Tuttavia, oggi non è un trend molto di moda, dato che l’ingrediente e le conseguenti attenzioni richieste nell’utilizzo aumentano i costi».

Antonio D’Angelo, executive chef di Nobu Milano e coordinatore del food and beverage del brand Giorgio Armani nel mondo, da buon campano, ama la materia prima pura. Il primo incontro con l’acqua di mare risale agli anni in Costiera Amalfitana. «L’uso dell’acqua di mare in cucina rappresenta un ritorno alla natura e alle origini culinarie. Oggi la utilizzo per replicare e potenziare i sapori marini, conferendo una complessità e una profondità di gusto che il sale da cucina non può offrire. I sali minerali e gli oligoelementi arricchiscono il sapore degli ingredienti, rendendoli più autentici e saporiti senza alterazioni eccessive. Questo consente di avere una salinità più rotonda e bilanciata senza l’utilizzo del sale raffinato». Un esempio diverso dal classico utilizzo di acqua di mare con il pesce sono le zucchine utilizzate da Nobu per i ravioli di wagyu. «Essicchiamo gli ortaggi in forno con l’ausilio dell’acqua di mare, che conferisce quella salinità naturale e non eccessiva, utile a bilanciare i sapori del piatto».

Chiara Murra ha creato un intero menu all’acqua di mare, firmandolo nel 2023 per il ristorante Casa Martino, a Taviano (Le). Oggi responsabile food del brand Martinucci, ha l’acqua di mare iscritta nel suo Dna. «Mio padre è gallipolino. D’estate ci portava in barca e, seguendo la tradizione salentina, inzuppava le friselle nell’acqua di mare. Qualche anno fa ho scoperto l’esistenza di alcune aziende che producevano acqua di mare depurata ad uso alimentare. L’ho acquistata e utilizzata per i miei piatti. Ne ho sperimentate di varie tipologie: a cambiare, per lo più, è la salinità».

Così nel menu di Casa Martino sono comparsi piatti all’acqua di mare, come lo spaghettone con crema di patate allo zafferano e capocollo croccante, in cui la cottura delle patate veniva terminata ricoprendole con acqua di mare e zafferano. «L’ho usata per la cottura dei vegetali, l’impasto del pane, la focaccia barese, la cottura dei legumi, la tagliata, fino ad arrivare alla cottura della pasta. I riscontri del menu all’acqua di mare sono stati positivi: oltre a modellare il gusto, ci si stupisce che sia un prodotto salubre, adatto all’alimentazione umana».

L’acqua di mare oggi

Per essere utilizzata dall’uomo, l’acqua di mare va microfiltrata a freddo, e depurata. Steralmar, azienda di Bisceglie (Bt), ha adottato un approccio scientifico e chemical free: «Il processo di lavorazione non restituisce nulla di tossico all’ambiente», spiega Silvia Balsamo, co-founder dell’impresa. Oggi il brand commercializza bottiglie, confezioni da 2 fino a 1000 litri o flaconi spray che proprio Silvia Balsamo ha messo a punto per creare una “saliera” da tavola, che funge da dosatore di precisione per il sodio aggiunto. «Da ragazzina ho rotto la saliera a casa di nonna. Mi ha rimproverato spiegandomi che il sale è un bene prezioso, sostituito in molti casi dall’acqua di mare».

L’incontro con Pietro Di Liddo, fondatore di Steralmar e compagno di vita, non sembra dunque un caso. Il progetto, partito 30 anni fa, vede il suo avvio concreto nel 2013. La coppia aveva iniziato a investire in ricerca e sviluppo per mettere a punto un sistema per imbottigliare acqua di mare come soluzione viva. Il 29 marzo 2012 l’Efsa definisce i criteri minimi per imbottigliare acqua marina, assommandoli all’acqua per consumo umano e aggiungendo altri parametri specifici come la ricerca del vibrione del colera. A quel punto Silvia e Pietro aprono l’azienda e brevettano il processo produttivo.

«Siamo gli unici a partire dal mare per giungere all’imbottigliamento senza interruzione. Dal momento della captazione dell’acqua di mare si avvia un processo chiuso, che mette l’acqua al riparo da eventuali contaminazioni. Imbottigliamo una materia prima sicura, con gli stessi parametri dell’acqua destinata al consumo umano, solo salata».

Oggi utilizzare l’acqua di mare al posto di quella dolce significherebbe fare qualcosa di piccolo, ma importante anche per il pianeta, oltre che per il proprio organismo. Ma viene da chiedersi: tutti gli chef che dicono di usare l’acqua di mare lo fanno davvero? «Non ci sono dati sul tema», spiega Balsamo, «il rischio di health washing c’è. Molti sostengono che l’ingrediente fa lievitare i costi. Ma l’incremento potrebbe essere tra i 5 e i 10 centesimi a piatto». Una cifra irrisoria rispetto ai benefici apportati. Meglio, dunque, scegliere bene i cucinieri di cui fidarsi, leggendo il menu ed educando le proprie papille gustative al sapore del mare.

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