Nel romanzo della scrittrice iraniana il protagonista è alla ricerca di una donna, ma poi la trova dentro di sé. La sua vera identità a poco a poco si sovrappone a quella della gemella. In un’indagine sull’animo femminile
Mia sorella è sparita.
Proprio così. La mia dolcissima sorella, bella come la luna, non si trova più. Ho cercato dappertutto, ma non mi do per vinto. Una persona mica si può volatilizzare di punto in bianco, senza lasciare traccia. La troverò.
La figlia di Sayfuri scuote la testa e alza gli occhi al cielo. Non capisco se ha sentito la mia domanda. Si infila un lembo del velo tra i denti e lo mordicchia. Il velo si storce, spunta una ciocca spelacchiata. Chiudo il cancello, ma posso ancora per- cepire dall’altra parte la sua presenza. Che modi sono? Sai che bello se adesso lo riapre: non potrà evitare di guardarmi negli occhi e morirà di vergogna. Sarebbe la volta buona che impara a rispondere come si deve. Come dice Aqa Jan, «per le donne la vergogna è fondamentale». Piuttosto dimmi che non lo sai! Cos’è questo silenzio? Aqa Reza se ne sta in piedi davanti al camion del latte e sbraita contro il garzone. Quando mi vede, abbassa la testa e si defila sul retro. Faccio finta di niente. Gli vado incontro e chiedo di mia sorella.
«Te l’ho già detto», risponde. «No! Non l’ho vista». Prendo un orsetto di gomma.
«Quant’è?».
«Yaqub Aqa ha già pagato».
Yaqub Aqa? Come suona male! Meglio Aqa Yaqub. Anche se Yaqub Aqa gli sta decisamente meglio. Gli si addice di più. Non gli daresti mai del signore. Una vicina che è uscita a comprare il pane si è fermata davanti al negozio di Aqa Reza e mi fissa la bocca: magari spera di cavarne qualcosa da spifferare ai quattro venti. Ottimo, faccia pure! Mi piace ficcanasare. Non che capiti spesso, ma adoro quando qualcuno mi viene a raccontare i se- greti degli altri. Se poi chi parla è il diretto interessato, meglio ancora. Quando a uno gli gira di spiattellarmi i fatti suoi e mi chiede che resti tra noi, mi sento al settimo cielo. Non lo dirò a nessuno, a parte mia sorella! Chi mi prende in confidenza non lo sa e mi racconta tutto a cuor leggero. Che goduria! Malus mi rimprovera: «I segreti sono cose da donne! Che discorsi sono, figlio mio?». Lei il suo segreto a me non lo dice. Le cose interessanti sono sempre roba da donne. D’accordo, ma la scomparsa di mia sorella mica è da nascondere. Lo sanno tutti! Cioè, si sono accorti che è una settimana che mi giro intorno come un pollo spennato. Quando sperano di carpire qualcosa zitti zitti, senza far- si scoprire, fanno davvero ridere. Possono anche venirmelo a chiedere, ma forse è che proprio ci godono a scoprirlo da soli. È un piacere che spinge perfino queste casalinghe sempliciotte a raccogliersi il chador attorno alla vita e uscire per strada a caccia di storie. Faccio finta di non averla vista. Assumo un’aria confusa, come se fossi arrabbiato senza sapere bene perché. È meglio anche per lei, potrà tranquillamente inventare di aver visto il figlio di Rafat che dava i numeri e ammorbava tutti con mille domande! Mentre lo racconta, Malus se ne sta seduta in un angolo a piagnucolare che è una disgrazia, «ci mancava solo che il mio figlioccio perdesse il lume della ragione». Le altre si accorgono che piange in disparte, si fa per dire, e le si raccolgono attorno, «racconta cosa è successo». È a quel punto che da Malus
vengono a sapere che mia sorella è sparita. Adesso questa storia avrà per loro tutto un altro sapore. Solo che Malus... Non sono sicuro che Malus la racconti. Le piace fare la misteriosa. Forse è per questo che lo dice anche a me, che sono un tipo misterioso. Sarà perché mi vuole bene!
Mi segue e mi chiama. Non rispondo. La sento ciabattare. Ecco che mi richiama. Non posso più far finta di non sentire. Giro la testa come per dire «ah, anche lei qui, non l’avevo vista!».
Mi fa: «La persona che stai cercando com’era vestita?».
Le dico che portava un velo rosa abbinato a una borsetta rosa con le paillette. Con calma appoggia il cesto per terra. Contiene un’anguria e qualche piccola pera che, se non fosse per il collo storto, a malapena si distinguerebbe da una mela. Mi tende il cesto.
«Prendi, primizie d’estate».
Bene, e quindi? Lo so che da queste chiacchiere non ne cavo niente. È una settimana che di mia sorella non si hanno notizie e tutti ripetono gli stessi discorsi. Una settimana?
«È già estate?».
Mia sorella è sparita che erano appena finite le vacanze di Nowruz. Ti sbagli, donna! Per arrivare, l’estate deve aspettare che finisca la primavera. Il mondo segue il suo corso a prescindere da cosa fai. Non è ancora passata una settimana da quando si è persa la mia sorellina. Con oggi fanno sette giorni. Allora questa donna... È proprio questo delle donne a lasciarmi allibito. Si consumano subito, sia nel corpo che nel cervello. Per quelle nate senza cervello, come mia sorella, non c’è pericolo. Almeno non hanno niente da perdere. Non è che questi pensieri sono venuti anche a lei, che ha deciso di andarsene e sparire? Ma via! È una ragazza semplice, non si darebbe mai queste arie da intellettuale. Mica è un poeta. Per mia sorella essere donna è un fatto che comincia con la nascita e continua fino alla morte. Per lei il mondo è cosa ovvia. È proprio per questo che non sapere dove si trovi mi preoccupa tanto. Anche se Negin ha un bel ripetere: «Non ti agitare, vedrai che torna».
Non insisto. La ringrazio e volto le spalle. Qualcosa mi punge la schiena, come se fossi un bersaglio e una freccetta mi avesse preso di mira. Esclamo: «Un’ape!».
La donna mi si avvicina borbottando, dice: «Ti è caduto anche questo, figliolo».
È il grande orologio da polso che mi ha regalato Aqa Jan quando sono stato ammesso all’università. Lo avevo dato a mia sorella! A volte basta che uno sconosciuto dica qualcosa perché nella mia mente si accenda una lampadina. Smetto di tastarmi la schiena. Mia sorella voleva mostrare l’orologio a Homa. Homa... Homa... E a te come ci siamo arrivati? Devi sempre metterti in mezzo tra me e mia sorella, non è vero? È stata a casa tua? Perché non me l’hai detto? Di nuovo hai avuto paura. A casa tua cos’è successo? Quando ti ha messo gli occhi addosso c’era anche quel bastardo di tuo marito? Il tuo bambino dov’era? Homa... Homa... Cos’hai promesso di nuovo a mia sorella, che è tornata a cercarti? L’hai voluto tu il mio orologio? Abbasso la testa, lascio la donna ai fatti suoi e mi incammino verso il vicolo di Homa, il nostro vicolo. Homa! Da quando sei diventata mamma il fetore del tuo marmocchio ha impestato la strada. Quanto ancora pensate di tenere l’hejleh in memoria di tuo cognato davanti a casa? Avete riempito di lampadine quella specie di tabernacolo così vi posso vedere meglio? O quello strippato di tuo marito ci guadagna qualcosa? O forse no, avete voluto illuminare il vostro cancello per farmi notare tutti i dettagli? Le grandi piastrelle grigie, per esempio, di cui due sono annerite e una, quella di fianco al fosso, è mezza rotta! Dopo tre anni lasciate ancora le luminarie accese per ostentare questo sfacelo? Oppure sperate che quando Malus passa davanti a casa vostra sotto la pioggia le luci scoppino una dopo l’altra, così da spaventarla a morte e costringerla a strisciare tra le braccia di Aqa Jan e tremare, si fa per dire. Come faccio a saperlo? Me l’ha raccontato mia sorella. E mi ha detto anche di più. Mi ha detto che Yaqub, o come lo chiamate voi, Yaqub Aqa se la rideva alla grande con i denti cariati in bella vista, mentre dalla finestra guardava sua mamma Malus, e che Aqa Jan se l’era presa così tanto per lo spavento della moglie che non la smetteva più di rovesciare insulti contro quello strippato di tuo marito. Vedi, io so un bel po’ di cose su di te, solo non capisco che diamine ci fa qui da tre anni questo hejleh maledetto. Ho la testa sempre occupata da cose che non mi riguardano. Lasciamo stare! Che volevi da mia sorella?
Ventre sepolto, in libreria da oggi e di cui pubblichiamo qui un estratto, è edito da Utopia. Mani Rafat vaga per Teheran alla disperata ricerca della sorella gemella. Il protagonista a poco a poco comprende che la sua inquietudine è alimentata dalla disforia di genere. Dentro di sé custodisce un io femminile.
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