C’è una strana, bellissima commozione nell’aria in questa stagione di sfilate moda donna primavera/estate 2023 che chiudono a Milano.

È un’aria dei tempi che si sente, un’aria che è insieme di sollievo (dopo una estate lunghissima, di festa pazzesca per i kids di ogni tipo, mai così colorata, piena zeppa, e allegramente promiscua) e insieme di paura per quello che potrebbe accadere domani qui e nell’Europa allargata in particolare: l’abisso, anzitutto delle risorse, monetarie e fisiche, personali e collettive.

Ma c’è anche qualcos’altro: la necessità di stare caldi in famiglia – qualunque essa sia, vera o scelta, antica o nata da poco tempo. Famiglie con la loro storia e le loro figure archetipe. I brand diventano così case, e del resto lo sono sempre state.

E le sfilate – da tempo ma mai come in questi i giorni – sono come grandi balli dove i fan/influencer/gli ultimi blogger, vestite/i spesso in lungo, danno il meglio di sé per una festa che in qualche modo potrebbe non essere più la stessa, almeno in questa forma. E non a caso sono le vere star di quello che una volta si chiamava “circo” e che non ha più quello spirito, ma semmai quello di un’affezione immensa, identitaria, che accoglie tutti.

Sono spessissimo afrodiscententi e asiatiche/i, mai come oggi, e il genere biologico è definitivamente sparito, come se non fosse mai esistito (ma sarà ancora così, almeno dalla settimana prossima in poi?). Per questo diventa necessaria da Gucci l’affermazione chiara – la copertina del volume del “Fronte Unitario Omossessuale Rivoluzionario Italiano”, e qui c’entriamo – perché la nostra storia di famiglia va tirata fuori subito e le cose vanno dette chiare, ora, subito. Ma anche un senso profondo del non essere soli.

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La sfilata è scintillante – letteralmente – al solito, ma è solo quando si alza la barriera di ritratti in bianco e nero (che ricopre e che divide il grande spazio dello show) che tutto diventa chiaro: ogni modella/o/* ha un doppio, un gemello, non è più solo mentre percorre lo spazio vuoto.

Le coppie di soggetti identici si danno la mano e continuano a camminare, e ora sono più forti. Proprio come mamma e zia di Alessandro Michele, che erano sorelle omozigote, e voleva dire supporto doppio, carezze di quattro mani, due cuori caldi invece di uno. Infatti ci si commuove, e mica perché povere pazze della moda.

La performance è precisa, vera, e ha chiaramente comportato una discesa coraggiosa dentro di sé per arrivare nel profondo delle proprie risorse in modo da poter affrontare con forza il tempo presente. Anche la madre del filmmaker Nicolas Winding Refn lo supportava in tutto, «sei un genio» lo incoraggiava sempre. Lo racconta durante la conversazione su youtube con Miuccia Prada e Raf Simons e che accompagna la collaborazione a tre che ha portato – non a caso – ad un set ombratile dove squarci di finestre fanno intravedere una cucina, una camera da letto, un bagno, un salotto. Una casa, appunto. Dove la coppia di stilisti ha il coraggio di affrontare la crudezza, la disperazione.

Prada

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Nella scelta delle modelle, turbate dall’angoscia, con gli occhi pieni di pensieri. I vestiti ne sono la rappresentazione: smangiucchiati e bellissimi, oppure trasparenti (e quindi chiari a più strati) e disarmati, spesso versioni contemporanee di specifiche collezioni Prada degli anni Zero. E questo è un riferimento preciso: perché mai come oggi intorno alla casa si è generata in modo definitivo la chiara visione di un percorso mirabolante per intelligenza predittiva che dura da almeno due decenni e mezzo e che vede pezzi memorabili indossati anche dal pubblico astante ed esterno, come si fa con quelli presi da armadi di famiglie che hanno saputo spendere bene e con cura il loro denaro.

Questo accade in particolare anche per Miu Miu – con profili Instagram che ne percorrono la storia incredibilmente compatta e finalmente compresa da chiunque e a pieno – e anche per Prada Sport/Luna Rossa, specie in versione tecnica con Pirelli, che è adesso adorata in ogni singolo item dalla generazione under 30 planetaria.

L’intera storia familiare è messa in scena, fuori e dentro lo show di due giorni fa. È percepibile ovunque la solidità di un’entità che possa proteggere nei buoni e cattivi tempi (vedi anche il display delle più avanzate ricerche sulle malattie neurogenerative, “Human Brains”, messo a disposizione nello spazio più importante della Fondazione, lì accanto).

Emporio Armani

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Ancora una carezza – in modo radicalmente differente – ci viene data da Emporio Armani: set ancora anche qui buio, ma abiti chiari e calma (se non in una parte più che precisa della collezione, perché anche qui abbiamo bisogno di fiori, di gradazioni morbide di colore, per respirare). Sono abiti che proteggono il corpo dal negativo- il più possibile- e con i quali presentarsi al mondo con nitore mentale, calma e pienezza non aggressiva della mente. Ben sapendo chi si è, dove ci si trova, come rapportarsi in modo corretto con chi si ha di fronte. E con fiducia. Anche qui la presenza di una figura solida di protezione è fondamentale, e si percepisce benissimo. È un sollievo.

Poi ci sono i figli, i ragazzi. Che riempono dappertutto la città con presentazioni, gente in strada di fronte a spazi e cortili, ovunque, e gallerie (molte inaugurazioni di mostre d’arte, non ca caso, in questi giorni). Qui le facce sono straordinarie, e si vedono le nuove, bellissime famiglie completamente mescolate della città. Finalmente, vien da dire. Dentro uno dei magazzini raccordati dentro i tunnel della Stazione Centrale, gli agitatori culturali di “Archive Books” (Milano, Berlino, Dakar), forse i migliori della città – prendono uno spazio per alcune ore per fare vedere il lavoro straordinario che stanno facendo (in particolare) sul pensiero postcoloniale e sulle nuove realtà combattenti planetarie, e si capisce a pelle la loro apertura a chi vorrà unirsi al loro percorso, se con rispetto.

In Via Bovisasca, anche Vitelli – il produttore di tessuti totalmente tratti da lane già utilizzate e riprocessate – fa capire cos’è diventato il mondo, e pensare che è parte del calendario ufficiale della Camera della Moda, incredibilmente: in modo finora mai visto, ieri ha messo in scena con Nero Edizioni un festival musicale/rave di 14 ore, dalle tre del pomeriggio al mattino dopo, che ha come centro verso le dieci di sera la sfilata del brand, che fa moda (non solo materiali) e bella potente.

La seconda generazione milanese e i ragazzi che amano il marchio e che chiedono di lavorarci da tutto il mondo formano la tribù che non a caso alla fine del catwalk sfila tutta insieme, insieme al fondatore Mauro Simionato. È un’energia fortissima, perché anche Vitelli è un luogo protettivo per gente simile, ancora una volta, un “womb” (un grembo che genera i filati, ma non entriamo qui in questioni lessicali delicate). È sempre quella in fondo, che – in modi completamente differenti ma con temperature sorprendentemente simili – si sente ovunque. Potrebbe cambiare tutto, abbiamo bisogno di mamme collettive forti e affettuose che ci proteggano e ci diano fiducia, ma in questo modo, non in altri. Non tutte le donne sono uguali, insomma. È tutto detto.

   

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