Sono passati quasi vent’anni da quando questo talent è approdato in Italia, ma funziona ancora benissimo. Il segreto è la conduttrice: che riesce a non far calare mai il livello di “vippismo” dei suoi concorrenti
Sembrava difficile prolungare la brat summer, ma Charli XCX ce l’ha fatta. Aveva detto che si sarebbe conclusa con la fine della stagione vacanziera e festaiola, elementi su cui si fonda l’ontologia del brat, e invece, l’artista britannica ha sfoderato l’artiglieria pesante per l’autunno.
Brat and It's Completely Different but Also Still Brat è la versione remix del suo famoso album verde mela, ossia la rivisitazione di quasi tutte le tracce con l’aggiunta di un featuring; tradotto in altre parole, è l’estensione tentacolare di brat, il rizoma del pop.
Nell’epoca delle bolle e del monadismo esperienziale, il featuring, la connessione, l’ospitata, il qua la mano tra mondi lontani, è la quintessenza della strategia di marketing, l’unica via contro il disordine della disintermediazione, ma anche il modo realmente efficace di uscire fuori dal confine della propria community, che per quanto larga, può sempre puntare all’espansione.
Da Julian Casablancas, re dell’indie anni Zero, a Billie Eilish, reginetta del pop GenZ, passando per Ariana Grande, Troye Sivan, The 1975, Lorde e Bon Iver, la nuova versione di Brat dà la sensazione di essere la trascrizione musicale di una lista di invitati al party più esclusivo del momento, un evento a cui tutti vogliono partecipare, ma che solo chi è abbastanza cool può farlo.
C’è stato un tempo in cui prendere parte ad alcuni programmi televisivi era un po’ come diventare un featuring nella nuova versione di Brat. Ti lanciavi da un paracadute dritto nel mar dei Caraibi e diventavi un idolo delle masse, anche se ne uscivi sconfitto dalle emorroidi o da una rissa con Aida Yespica. Trascorrevi qualche settimana nella casa più spiata d’Italia e ne venivi fuori Luca Argentero, nel migliore dei casi, o Rocco Casalino, nella più ironica delle conclusioni postmoderne.
Ci sono molteplici ragioni per cui questo processo si è invertito, trasformando i format televisivi che un tempo dispensavano celebrità in format televisivi che riciclano celebrità, sempre se così possiamo ancora chiamare il sottobosco mediatico di cui si nutrono i palinsesti. Il Grande Fratello, che per diverse edizioni ha aggiunto il suffisso VIP alla titolo, nelle ultime due stagioni televisive ha scelto di ovviare alla carestia di personaggi famosi – famosi in termini novecenteschi – buttandola in caciara e mettendo tutti insieme, in una macedonia di volti che prevede la presenza di calzolai e bidelli ma anche di Giampiero Mughini ed Enzo Paolo Turchi; il risultato, oltre al caos, è l’emorragia di ascolti.
L’Isola dei Famosi oggi potrebbe essere ribattezzata l’Isola dei Quasi Famosi, mentre Tale e Quale ha ormai ufficialmente assunto il ruolo di ecologista dello spettacolo: da Valeria Marini a Carmen Di Pietro, passando per ex concorrenti di Amici e comici non proprio di primo pelo, il programma di Carlo Conti è un’occasione ghiotta per chi non brilla di luce propria di mettersi sotto i riflettori in chiave autoironica, per non dire grottesca.
Tutto questo discorso, tuttavia, non si applica al programma di Milly Carlucci, il grande format del sabato sera autunnale su Rai 1 che fa testa a testa ogni settimana con la bestia defilippiana di Tu Si Que Vales, spesso vincendo.
Un programma in ottima salute
Non manca molto ai vent’anni della prima messa in onda di Ballando con le Stelle, talent show e varietà importato dalla tv britannica che gode ancora di ottima salute. Vent’anni di nomi inglesizzati urlati da Paolo Belli, vent’anni di giudici che si azzuffano con i concorrenti per una rumba o un cha cha cha, vent’anni di costumi pacchiani e dimagrimenti a vista d’occhio, vent’anni in cui il pubblico italiano, pur non capendoci nulla di balli da sala, si appassiona alle peripezie di chi in poche settimane deve mettersi sotto con le coreografie.
C’è qualcosa di profondamente ispirazionale nella parabola dei concorrenti di Ballando, del resto, Jennifer Lawrence ci ha vinto un Oscar nel 2013 con un film, Silver Lining Playbook, che parlava esattamente di questo: la rinascita spirituale di due persone che si cimentano nella danza, senza Milly Carlucci ma con passi e costumi molto simili.
Perché in effetti, a differenza degli altri programmi che sfruttano il senso di rivalsa, di rilancio, di sfida con sé stessi e qualsiasi altro concetto tardocapitalista che ci vuole forti e autonomi, individui contro il mondo, Ballando ha una sua natura rigorosa e centrata, fatta di sacrifici che portano risultati concreti, a differenza dei digiuni isolani o dei trucchi prostetici, che conferiscono alle missioni dei concorrenti un aspetto tragicomico, a tratti patetico.
Del resto, gettarsi in pista, anche metaforicamente, è un atto di coraggio che presuppone un certo grado di autocontrollo e autocoscienza, soprattutto se si è Alan Friedman con un cilindro sulle note di Hello, Dolly o un qualsiasi personaggio televisivo pronto a farsi massacrare dalla paletta spietata di Selvaggia Lucarelli.
Un argine
Sarà questa intrinseca dignità del messaggio finale, l’esserci per ottenere un risultato visibile, e non solo l’esserci per il gusto di esserci, che mantiene in piedi l’assetto prestigioso di Ballando. Sarà anche che Milly Carlucci ha mezzi così potenti da riuscire a non far calare mai il livello di vippismo dei suoi concorrenti, lei che alterna militarmente la sua divisa da fuori servizio, Ray Ban a goccia, baschetto e pantaloni a zampa, con i lunghi abiti da scena, per sottolineare sempre quando si sta sul palco e quando invece si è a riposo.
Milly Carlucci, signora della televisione che più che brat dovremmo definire demure, per attingere dalla dicotomia che ha infestato internet questa estate, very mindful, come recita la litania diventata tormentone: domatrice di celebrità, tiene stretto il suo microfono a gelato, non un capello fuori posto, non una vocale aperta. Sorride sempre ma non ride mai, argina i fiumi di parole che esondano, e convince Barbara D’Urso a concederle l’esclusiva del suo tanto atteso ritorno in tv dopo la cacciata da Mediaset.
Di quella apparizione, ricorderemo lo scontro a caldo con Lucarelli, il «Figa sopra ogni cosa» con riferimento alla invidiabile scosciata della ormai ex presentatrice di Canale 5 e i video confessionale in cui D’Urso si interroga sul senso stesso del trash, dimostrando di non aver letto Tommaso Labranca.
Unica
Solo Carlucci è capace, a oggi, di creare uno spettacolo del genere, che si tratti di Sonia Bruganelli che se la prende con tutti o della figlia di Asia Argento e Morgan, Anna Lou Castoldi, che sgambetta sulla pista da ballo per poi aggiungere che dopo la aspetta la techno, come a voler precisare che tutti quei piercing non sono mica là per caso. Solo a Ballando, infatti, vediamo ancora la vera celebrità, quella che crea notizia e non la insegue, prestarsi alla macchina arrugginita e inceppata della televisione per dare prova della propria versatilità e determinazione.
Non mancano, infatti, i retroscena strappalacrime, le spruzzate di Flashdance che condiscono il racconto di riscatto e commozione: Bianca Guaccero, vera rivelazione di questa edizione, oltre ad averci dato prova di essere una ballerina ai limiti col professionismo si è anche aperta sul suo passato problematico. E come lei, ciascuna stella del firmamento carlucciano, che sia Federica Pellegrini fuori dal suo elemento o Luca Barbareschi in lacrime per un apprezzamento di Selvaggia Lucarelli, ha qualcosa di sé da svelare al mondo, qualcosa che, grazie al fuoco sacro della danza, può venire fuori, tra una piroetta e un battibecco con Guillermo Mariotto, sotto lo sguardo apprensivo e militare della domatrice Milly.
Un luogo ambito
Ballando and It's Completely Different but Also Still Ballando, dovrebbe chiamarsi la prossima edizione del programma. La linea di congiunzione tra Milly Carlucci e Charli XCX, in questo mondo tecnologicamente e mediaticamente frammentato, «delineante un’ontologia intonata alla rivoluzione permanente dell’infosfera globale», per citare l’ormai storico discorso d’insediamento del ministro Giuli, sta nel fatto di aver creato un luogo ambito.
Che si tratti di un album o di un programma televisivo vecchio di vent’anni, l’unico modo di attirare a sé i big dell’intrattenimento è far credere loro che esserci, in quel posto, sia la cosa giusta. Questo, più un cachet dignitoso, ma preserviamo un po’ di incanto, almeno quando guardiamo il caos di Milly Carlucci, unico in grado, al momento, di partorire stelle danzanti.
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