Dietro al tipo di pasto a cui di solito non prestiamo grande attenzione ci sono intricatissime interconnessioni a livello globale. Per questo il concetto di “sistema alimentare” non basta più. Dobbiamo riportare la dimensione etico-filosofica nella riflessione su ciò che mangiamo
Il nuovo numero del nostro mensile Cibo è disponibile da sabato 21 dicembre sulla app di Domani e in edicola
Prendete una ciotola di corn flakes, il tipo di pasto a cui di solito non si presta grande attenzione. Lo comprate per abitudine, lo consumate frettolosamente e lo dimenticate quasi subito. Ma domandatevi per un attimo come quei fiocchi di cereali siano finiti nella scodella.
Un processo complesso
Potreste immaginare che tutto abbia avuto inizio da un contadino, ma non c’è modo di ricondurre la vostra colazione a un’unica fattoria. Il mais, per esempio, sarà stato acquistato da un intermediario, nei cui container ci sono cereali provenienti da molte aziende agricole diverse, tutti mescolati tra loro. È probabile che la maggior parte di questo granoturco derivi da semi brevettati, comprati da una delle poche grandi società che dominano il mercato globale.
Quei semi saranno stati coltivati con tecniche moderne, forse addirittura con la modificazione genetica. Ciascun agricoltore avrà fatto ricorso a diversi macchinari e quasi sicuramente a fertilizzanti sintetici, erbicidi e insetticidi. È inverosimile che l’irrigazione sia stata garantita soltanto dall’acqua piovana. I computer avranno aiutato a pianificare i raccolti che avranno richiesto lo stoccaggio e poi il trasporto.
Di solito i corn flakes sono arricchiti di vitamine e minerali, tutti forniti da produttori specializzati. Altri cereali più zuccherati possono contenere ingredienti altamente trasformati come lo sciroppo di mais a elevato contenuto di fruttosio o lo sciroppo di zucchero invertito. Una volta prodotti, i fiocchi vengono imballati, spediti in grandi centri di distribuzione e consegnati ai negozi al momento giusto, affinché questi non abbiano scorte eccessive o troppo modeste. Tutto ciò dipende dagli addetti alla catena di approvvigionamento, che spesso sono mal pagati e lavorano in condizioni precarie.
Poi c’è il latte. Le mucche vengono allevate per lo più al chiuso, dove ogni aspetto del loro ambiente è attentamente controllato. Il foraggio può provenire dall’altra parte del mondo, magari coltivato su terreni sottratti alle foreste pluviali. Il latte va sottoposto a trattamento termico, confezionato, spedito e, se è fresco, conservato a basse temperature.
Tutto questo si traduce in qualcosa di più del semplice cibo che mangiate. Gli imballaggi devono essere smaltiti, possibilmente riciclati, ma troppo spesso ciò non accade. Il letame e l’urina delle mucche degli allevamenti intensivi vanno trattati ed eliminati e quando, come spesso succede, questa operazione non è eseguita correttamente, si rischia di inquinare le riserve idriche locali.
Se i coltivatori di mais non fanno un uso accorto dei fertilizzanti, anche questi ultimi possono defluire e contaminare i terreni e le acque circostanti. Se la fattoria adotta l’approccio della monocoltura, con nient’altro che granoturco a perdita d’occhio, e fa largo uso di pesticidi, la fauna locale ne risente.
E, naturalmente, ci sono le emissioni di gas serra, dovute sia all’energia necessaria in ogni fase della produzione, sia al metano rilasciato dagli animali e dai loro escrementi. Per non parlare del tè o del caffè che bevete appena svegli.
I corn flakes sono relativamente semplici per gli standard dei moderni cereali da colazione. A parte l’aggiunta di vitamine e minerali, la marca più famosa contiene solo quattro ingredienti: mais, estratto di malto d’orzo, zucchero e sale. Eppure, se pensate a tutte le operazioni necessarie perché possiate mangiarli, scoprirete una storia intricata e complessa. Figuratevi dunque cosa comporta tutta la vostra spesa settimanale.
Immaginate una mappa del mondo, con luoghi e percorsi che si illuminano quando e dove si svolge una parte del processo di produzione e vendita dei corn flakes. Vedreste una specie di ragnatela di nodi e filamenti tremolanti. Ora immaginate la ragnatela illuminata di un altro alimento. Se l’impronta terrestre di ciascun cibo comparisse in sovrimpressione su un’unica immagine, i dettagli andrebbero persi e quasi tutto il mondo brillerebbe.
Sistema o mondo
Di solito questa rete inc
redibilmente complessa prende il nome di «sistema alimentare», un concetto difficile da definire con chiarezza. (...) I sistemi alimentari cambiano e variano nel tempo e nello spazio, spesso in misura considerevole, ma governano, guidano e controllano sempre una particolare sfera dell’esistenza umana: l’insieme di tutti gli agenti, le pratiche, la flora, la fauna, la terra e l’acqua che sono coinvolti nel processo di produzione, consumo e digestione del cibo e che ne sono influenzati. Stranamente, non abbiamo un termine specifico per designare questo ambito.In mancanza di un adeguato nome di derivazione latina o greca, come «nutrosfera», lo chiamerò semplicemente «mondo alimentare». Questo settore non è una parte distinta e separabile del mondo inteso nel senso più ampio, bensì comprende ogni caratteristica del mondo che apparirebbe se aveste una sorta di telecamera a infrarossi capace di catturare tutto ciò che influenza e viene influenzato dall’alimentazione umana.
L’uso del concetto di mondo alimentare ridisegna la nostra visione in modo impercettibile ma determinante. Il sistema alimentare è qualcosa di esterno, a cui talvolta partecipiamo come consumatori e lavoratori. Come individui che mangiano tutti i giorni, siamo invece sempre all’interno del mondo alimentare. Mentre il termine «sistema alimentare» evoca l’idea di un’enorme macchina globale, azionata da leve e carrucole, il concetto di mondo alimentare ci spinge a immaginare un ecosistema organico, in cui ogni parte è collegata a tutte le altre.
E se chiedere come dovrebbe funzionare il sistema alimentare suona tecnocratico, pensare a come andrebbe gestito il mondo alimentare mette in primo piano l’importanza etica ed esistenziale del modo in cui ci nutriamo. Dobbiamo pensare ai valori oltre che ai processi. Il dibattito sui sistemi alimentari contemporanei è polarizzato e controverso, ma c’è una cosa su cui quasi tutti sono d’accordo: sono guasti e necessitano di riparazioni urgenti. (...)
La necessità di comprendere meglio il mondo alimentare è diventata urgente perché, con molta probabilità, non è mai stato così fragile. Per capire l’entità del problema dobbiamo scavare più a fondo nel paradosso della simultanea sovrapproduzione e insufficienza di cibo, a causa della quale una grande minoranza globale di esseri umani soffre perché mangia troppo, mentre un’altra soffre perché mangia troppo poco. (...)
Una filosofia “globale”
Per cavarsi d’impaccio sono necessarie innovazioni tecnologiche e cambiamenti nelle pratiche. Però non possiamo permettere che siano gli scienziati e i tecnici a stabilire quali siano i sistemi agricoli più efficienti e le diete più nutrienti, per poi insistere affinché i politici seguano i loro suggerimenti. Come dice Tim Lang, «la politica alimentare non è e non può essere neutra, dal momento che è costruita su ipotesi, basata su valori».
Ciò che deve guidarci è una filosofia globale del cibo, ed enunciarla è l’obiettivo di questo libro. Per «filosofia del cibo» intendo, strizzando l’occhio a Wilfrid Sellars, l’insieme di principi e valori che dovrebbero ispirare la gestione del mondo alimentare, inteso nel senso più ampio possibile.
Questa ampiezza implica che tale filosofia potrebbe essere compatibile con una varietà di pratiche diverse: agricole, industriali, commerciali, culinarie, sociali. È anche più ampia di un’ideologia del cibo, che definisce nel dettaglio come andrebbe gestito il mondo alimentare, pretendendo che tutti ci convertiamo all’agricoltura biologica, all’approccio biodinamico, al veganesimo o che ci affidiamo al libero commercio o alla tecnologia per trovare una soluzione.
Una filosofia globale del cibo non deve necessariamente essere così prescrittiva, anche se comporterà qualche regola. Escluderà alcune pratiche, ne imporrà altre, ma spesso lascerà aperte più opzioni per la loro adozione.
È indispensabile una filosofia globale del cibo, perché qualcosa di più sottile ci lascerebbe senza una bussola capace di guidarci mentre cerchiamo di risanare questo mondo alimentare in crisi. Allo stesso tempo, qualcosa di più spesso non raccoglierebbe consensi sufficienti a spingere gli attori principali a lavorare insieme.
Il testo è un estratto da Pensa come mangi. Una filosofia globale del cibo (Touring Club Italiano 2024, pp. 400, euro 22) di Julian Baggini
© Riproduzione riservata