Emily Brontë mi ha insegnato che l’unico tempo che conta è quello che si muove dentro di noi, perché è il solo capace di resuscitare qualsiasi cosa e chiunque. Ma è un tempo difficile da intercettare. Così a volte mi arrendo, prendo il telefono, apro Whatsapp e rileggo quello che Michela Murgia ed io ci scrivevamo. È un archivio fatto di racconti che ho prudentemente tenuto sigillato per molti mesi, ma in quel diario del passato che si è fatto eterno – le parole vincono la morte – ho trovato un antidoto all’assenza.

In una delle nostre conversazioni, Michela mi diceva: «Non finisco mai di meravigliarmi della quantità di storie straordinarie di donne, che anche quando sono arrivate alla fama, al loro tempo, sono poi state dimenticate. La grandezza delle donne è come se non producesse permanenza. È pieno di storie incredibili. Non basterebbe la nostra vita per raccontarle tutte».

In questi anni ne abbiamo raccontate tante, di storie piuttosto incredibili, perché siamo cresciute con i volumi de l’Enciclopedia della Donna o Il manuale della perfetta padrona di casa nelle nostre librerie, e ci è sempre piaciuto pensare che un’enciclopedia di Morgane potesse riparare a molti dei danni derivati dall’aver costretto le donne a immaginarsi per secoli dentro a un unico percorso.

Esplorare la vita di chi ha rivendicato la possibilità della diversità è sempre stato lo scopo di Morgana, e quando abbiamo iniziato a scrivere Il corpo della madre, il terzo e ultimo volume, Mondadori Strade blu, ci era chiaro che lo avremmo terminato in due differenti regni.

Forse anche per questo – in un paese in cui papa Francesco si è  scagliato contro l’aborto definendo i medici che lo praticano dei “sicari”, e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni continua a brandire il modello della “famiglia tradizionale” perpetrando un pericoloso cortocircuito in cui ciò che predica è sideralmente lontano da ciò che sceglie o le accade (una figlia avuta fuori dal matrimonio con il compagno Andrea Giambruno, la separazione da quest’ultimo che proponeva alle colleghe di fare sesso a tre, a quattro) – Morgana. Il corpo della madre è il più politico e il più feroce dei nostri libri.

Una mitologia che uccide

Lo stereotipo della maternità mitica produce solo madri inadeguate, perché nessuna riesce a portarci dentro per intero la propria irripetibile individualità, compresa di fatica, di frustrazione, di limiti e di sogni che il mondo intorno continua a chiamare egoismi. La mitologia della madre uccide quotidianamente le madri e mai come oggi il mondo è pronto a lodare il martirio delle donne per meglio giudicare le vite che al martirio non si adeguano.

Così Morgana. Il corpo della madre si apre con Maria di Nazareth, la cui storia è stata presa, usata, riscritta, cancellata, torta e ritorta fino a renderla una formina, uno stampo buono per tenere le donne, specie le madri, sottomesse a un modello unico in tutto il mondo. Il sì supremamente libero di Maria è stato presentato come la sublimazione spirituale di tutti i sì pretesi dalle donne credenti, e non importa che questi consensi fossero assai meno liberi di quello pronunciato dalla ragazza di Nazareth. L’obbedienza naturale al padre, al fratello, al marito. L’obbedienza spirituale a chi nel confessionale ti ha detto che per amore di Dio e della famiglia dovevi sopportare abusi e violenze.

Rinnegata 

È interessante poi notare che la madre per eccellenza, quella a cui tutte noi dovremmo guardare per prendere ispirazione di santità materna e devozione al ruolo, dai Vangeli sembra aver passato l’intera esistenza a vedersi rinnegare dal figlio proprio quel ruolo. Gesù non si rivolge mai a Maria chiamandola madre, se non in un caso, sotto la croce, mentre morente la indica al discepolo Giovanni dicendo: «Ecco tua madre», cioè di fatto nominandola come madre di qualcun altro. Eppure, disconoscimento dopo disconoscimento, Maria accanto a Gesù continua a esserci, diventando la discepola più tenace. Non è un passaggio facile. Molte madri nelle nostre esistenze non ci sono riuscite. È uno dei frutti più malati del sistema patriarcale: se la maternità di possesso è l’unica che conosci, perdere il possesso e perdere la maternità sono la stessa cosa.

Gesù straccia dunque lo stato di famiglia, si fa beffe dei legami del sangue e crea un’altra gerarchia basata sulla volontà, proprio come hanno fatto le Madri di Plaza de Mayo, Morgane che hanno trasformato la maternità in una fortissima esperienza collettiva e non certamente biologica, lottando da quasi cinquanta anni per i trentamila figli d’anima desaparecidos. Perché, come dice Beba Petrini: «Ci parve che la socializzazione della maternità ci avvicinasse molto di più ai nostri figli e fosse la dimostrazione che avevamo capito quello per cui avevano lottato, e che stavamo cominciando davvero a imparare da loro, che avevano a cuore tutti. Fu così che decidemmo di essere madri di tutti e trentamila. Li abbiamo portati tutti nel cuore, senza più sentire la necessità di azioni individuali».

Fecondità alternative

In questo terzo volume troverete Morgane terroriste, pioniere del femminismo e della chirurgia estetica, scrittrici senza corpo come Elena Ferrante o rinchiuse in campane di vetro come Sylvia Plath che annota nel suo diario: «Cavolo, mi sono detta. Troverai rifugio nella vita domestica e soffocherai cadendo a testa in giù nella terrina con l’impasto per i biscotti». Odiare un figlio che ci mangia le energie è umano da pensare, ma ci vuole coraggio per dirlo. Plath quel coraggio lo ha avuto.

Le storie di queste Morgane escono dalla maternità come destino e obbligo mostrando un mondo ricco di fecondità alternative, tutte diverse, talvolta fuori e talvolta contro il canone, perché come diceva Michela: «Siamo curiose, non ci interessano i vecchi cliché, ci sembra che il mondo che ci si apre davanti contenga la possibilità di più risposte, che ci si chieda di essere creative più di quanto siano state, e forse avrebbero voluto essere, le nostre madri in passato».

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