È un classico, soprattutto a Venezia: si borbotta (quasi sempre a ragione) sulla selezione italiana in concorso e si protesta perché un film migliore di quelli in corsa per il Leone d’oro è stato relegato in una sezione minore.

Tra i “casi” quest’anno brilla Familia di Francesco Costabile, nella sezione Orizzonti. È la vera epopea familiare di Luigi Celeste, incarcerato per l’omicidio del padre violento, un gesto di autodifesa e disperazione. Il romanzo autobiografico Non sarà sempre così è la base del film, che sarà in sala con Medusa dal 2 ottobre.

È una storia di botte domestiche e di manipolazioni affettive non diversa da tante altre, ma con il bonus speciale di alcune interpretazioni superlative. Da spettatrice mi ha inchiodato, letteralmente, una scena in apparenza banale, con Francesco Di Leva, il padre, a un baracchino di strada discute col figlio Luigi (Francesco Gheghi) mangiando un panino.

Francesco Di Leva ne ha fatta parecchia di strada da quando nel 2019 Mario Martone gli ha messo sulle spalle il peso massimo di Eduardo De Filippo e de Il sindaco del Rione Sanità. Di quel panino bisognerebbe fare tesoro nelle scuole di recitazione. Scherzando mi ha raccontato che i ciak sono stati otto: otto panini.

La violenza produce rabbia

E comunque lo standard è alto, Barbara Ronchi è la moglie terrorizzata e incapace di denunciare: quando rilasciano in anticipo il consorte finito in galera l’incubo ricomincia. Quello dei maschi violenti è un veleno che segna la vita dei figli.

Perseguitato dall’idea di avere dentro «lo stesso sangue maledetto» del padre Luigi verrà risucchiato da un’orrida formazione neonazista, che Costabile tratteggia con preziosa (di questi tempi) precisione. Ma ci sono goiellini nascosti di regia, come un dialogo nel Padiglione degli Specchi del Lunapark che cita Orson Welles e La Signora di Shanghai. E c’è emozione, in questo melodramma nero: è merce rara.

So che Ficarra e Picone non vogliono che parli del loro lavoro di produttori, ma dietro il film di Costabile c’è anche la loro Tramp LTD. Si sono ben guardati dal dirmelo, l’ho scoperto da me.

Dice il regista che la violenza che vivi produce rabbia. «Gigi diventerà a sua volta un uomo violento, avvicinandosi all’estrema destra e facendo del fascismo una religione, una seconda famiglia, un luogo di appartenenza che gli dà sicurezza e conforto».

Forma-carcere

Visivamente, il film ruota intorno alla forma-carcere. Luigi è prigioniero di innumerevoli gabbie, galere che sono innanzitutto emotive. Ed è fisicamente una gabbia l’estrema periferia romana dove il cemento finisce e inizia l’aperta campagna. Introduco di soppiatto una mia storica fissazione: l’estetica è etica, quello che coglie il tuo sguardo ti scava caverne dentro la testa e nel cuore. Familia è un film fatto di quinte, di soglie da superare, impedimenti, geometrie rigide. Anche reagire diventa difficile.

I messaggi funzionano solo se fai un buon film, sennò sono sprecati. In questo caso, l’appello alle istituzioni, ad ascoltare ogni minimo segnale, ogni richiesta di aiuto, arriva a destinazione. La storia della famiglia Celeste ci racconta anche questo, secondo il regista: «È quella di una famiglia che viene abbandonata dalle istituzioni e che finisce per implodere su se stessa con le più tragiche conseguenze».

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