Il libro della giornalista francese Chloé Thibaud ripercorre la storia di quelle artiste che si sono battute per l’affermazione contro gli stereotipi e le barriere di genere. Il caso emblematico della sorella di Mozart, i pregiudizi nel jazz, gli strumenti proibiti alle donne. La pioniera? Una badessa nel Mille
Nell'aprile 2019 Angèle denuncia a gran voce la violenza sessista nella sua hit Balance ton quoi, scritta in risposta al movimento #MeToo. Negli ultimi anni si è assistito a una proliferazione di canzoni cosiddette impegnate (Run the World di Beyoncé, Amour censure di Hoshi, La Grenade di Clara Luciani...). Ma la pioniera del femminismo musicale è stata Hildegard di Bingen, una badessa tedesca nata nel 1098.
La giornalista francese Chloé Thibaud, nel suo ultimo libro Ni muses ni groupies (Leduc, marzo 2025), ripercorre la storia di quelle artiste che si sono battute per affermarsi nella musica. È vero che oggi Taylor Swift domina il panorama globale e Aya Nakamura è la cantante francofona più ascoltata al mondo, ma nell’industria musicale le donne ancora non superano il 20%.
«Volevo restituire alle donne il posto che meritano nella storia della musica. Per secoli, anzi millenni, questa storia, come tutte le altre, è stata scritta dagli uomini. Il titolo del libro vuole ricordare che le donne sono artiste a pieno titolo, invece sono spesso ridotte ad essere muse o groupies. Negli ultimi anni, quando Françoise Hardy o Jane Birkin sono morte, i media non hanno potuto fare a meno di presentarle come moglie di Jacques Dutronc/madre di Thomas Dutronc/musa di Serge Gainsbourg e di ridurle alle loro caratteristiche fisiche».

Mozart era una donna
Tra aneddoti storici, analisi e interviste, Chloé Thibaud racconta le esperienze di artiste, diverse per origini, generi musicali, fama ed età, ma che hanno tutte dovuto affrontare il sessismo. «Altre artiste non hanno voluto essere incluse nel libro perché non volevano parlare pubblicamente di femminismo. Nel 2025 è ancora un rischio per molte».
Le donne sono sempre state presenti nella storia della musica, ma sono spesso state cancellate, messe a tacere. «Come in molti altri campi, alle donne è stato impedito di fare carriera e di brillare come gli uomini. Aliette de Laleu ne parla meravigliosamente nel suo libro – dal titolo scioccante - Mozart était une femme: “Perché nel nostro immaginario i grandi geni, come Mozart, sono tutti uomini. O almeno, questo è ciò che è stato raccontato per secoli, soprattutto nella musica classica. Mozart era una donna riflette una realtà: quella di sua sorella, prodigiosa musicista e brillante clavicembalista, che dovette passare in secondo piano per prepararsi al matrimonio, lasciando tutto lo spazio al fratello minore per creare e diventare uno dei più grandi compositori della storia della musica. Quindi sì, Mozart era anche una donna, ma nessuno conosce questa storia”».
Ancora oggi, per esempio in alcuni Paesi musulmani come l'Afghanistan, alle donne è vietato parlare o cantare in pubblico.
«Citando Aline Jalliet, "le donne portano la sovversione nella loro voce”. Da sempre gli uomini considerano la voce femminile una minaccia. Nell’Odissea il canto delle sirene è associato al pericolo. Nella Bibbia si legge: "Non frequentare una cantante, per non esser preso dalle sue moine”».
Il ghetto del canto femminile
In realtà, però, le donne hanno sempre cantato, ma siccome erano relegate agli ambienti domestici cantavano per cullare i bimbi. Quel che è più problematico è la performance pubblica. «Ad ogni modo in ogni genere musicale, le donne sono sempre state presenti. Ma c’è voluto tempo, e lotte. Per questo motivo, molti non sanno che il rock è stato inventato da una donna nera, Rosetta Tharpe».
Per secoli, infatti, alcuni generi musicali sembravano esclusivamente appannaggio degli uomini. «Vanessa Blais, specialista della storia del jazz, ricorda che nell'immaginario collettivo, il jazz è musica per uomini, suonata da uomini. Questo perché in origine il jazz non veniva insegnato nei conservatori o nelle università. Era una musica che si imparava a suonare andando nei club all'ora delle jam session, cioè all'una o alle due del mattino. Ma la strada di notte era un luogo infinitamente più pericoloso per le donne, quindi pochissime uscivano per andare a improvvisare con le band locali».
Gli strumenti proibiti
Le donne hanno avuto un accesso limitato anche nel suonare determinati strumenti. «Le donne suonano generalmente l'organo, il clavicembalo e il pianoforte. Non solo per la loro passione per le tastiere, ma anche perché stando sedute con le gambe unite non potevano essere sessualizzate. Nell'Ottocento c'erano anche molte meno donne violoncelliste. Perché suonare uno strumento a gambe aperte era disapprovato dalla cultura vittoriana. La stessa censura si applicava agli strumenti a fiato, che richiedevano un bocchino o un'ancia in bocca. Tromba, oboe, fagotto? Mi dispiace, signore, sono per gli uomini. Sì, purtroppo gli strumenti hanno un sesso, come scrisse la giornalista Aliette de Laleu».
Ma allora quando le donne hanno cominciato le loro battaglie nella musica? «La pioniera è stata Hildegard di Bingen, nata nel 1098 in Germania e diventata badessa all'età di 38 anni. A quasi mille anni dalla sua morte abbiamo settanta canti che scrisse per le funzioni delle sue sorelle benedettine e la sua musica viene suonata ancora oggi. Hildegard inoltre si interessò alla natura del corpo femminile, oltre che alla masturbazione e alle mestruazioni. Definirla femminista è, ovviamente, anacronistico, ma certamente merita il suo posto di avanguardista nella storia della musica».
Le protofemministe
«Il legame tra femminismo e musica non è nato quindi negli anni Settanta – ricorda Chloé Thibaud – già nel 1848 Louise de Chaumont scrisse La Marseillaise des cotillons, considerato il primo inno femminista. Nel 1911 Ethel Smyth, dopo aver integrato le suffragette britanniche, compose The March of the women. Poi le blueswomen come Billie Holiday hanno cantato il sessismo e il razzismo, diventando le pioniere di movimenti storici futuri. Ma Rainey, in particolare, è stata una delle prime donne ad affrontare il tema dell'omosessualità femminile nel disco Prove it on me blues (1928) quando era ancora un crimine negli Stati Uniti. Negli stessi anni Bessie Smith, l’imperatrice del blues, mette in guardia dalla violenza degli uomini, per esempio nel brano Outside of that (1923) in cui dichiara il suo amore per l’uomo che la picchia. Poi Aretha Franklin, la regina del soul, diventa una vera icona della lotta per i diritti degli afroamericani e per l’emancipazione delle donne. In Francia, Anne Sylvestre è una delle poche a cantare non tanto dell’aborto, quanto della scelta, nel brano Non, tu n'as pas de nom (1988). Negli ultimi anni, sempre in Francia, quando Louane canta 3919 in riferimento al numero nazionale per le donne vittime di violenza, Yseult canta Bad Boy e Clara Luciani Cœur, sono parte di una resistenza iniziata più di cento anni fa. Oggi Yseult e Aya Nakamura hanno definitivamente reso il discorso femminista mainstream». Da noi una nuova generazione di cantanti, da Madame a Francesca Michielin e Joan Thiele, continua a sfidare gli stereotipi di genere.
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