È l’inno di un fenomeno musicale intergenerazionale, profondamente radicato nel suo territorio d’origine. Che però grazie a Casadei ha superato i confini di quei luoghi e fatto dialogare «mondi lontanissimi»
Quando nel 1998 Raoul Casadei, lui che era già il re del liscio, invitò la stella della disco music internazionale, la cantante americano Gloria Gaynor a duettare con la sua orchestra su un palco di Riccione, interpretando Romagna Mia in versione soul, per i puristi della tradizione delle balere romagnole fu una inconcepibile concessione alla modernità. Per i frequentatori delle discoteche, erano gli anni dei fasti edonistici della Riviera, che anticipava nei club quello che sarebbe successo a Ibiza e a Mykonos danzare con i valzer tutti tutine aderenti e pailettes, era inimmaginabile. Eppure…
Una forza di socialità
Era la prima edizione di Balamondo, un festival che il cantante di Gatteo Mare scomparso nel 2021 volle proprio per dimostrare quanto il liscio non fosse solo segno identitario di una terra, la musica delle aie e della campagna che si godeva il boom economico, ma avesse in sé la forza della socialità, dell’incontro.
Anticipando quella che, grazie al lavoro di Peter Gabriel, viene adesso definita world music, il liscio ha rivendicato, sin dalle sue origini – che non sono legate a Raoul, ma allo zio Secondo Casadei, che era chiamato lo “Strauss della Romagna”, e ancora prima a fine 800 a Carlo Brighi, detto Zaclén – il suo essere un suono di fusione, musica del mondo, appunto, dove le partiture colte della Mitteleuropa, la polka, la mazurka, il valzer, diventano patrimonio popolare, invadono i casolari, si intrecciano con il folk locale, danno sollievo al fisico provato da giornate intere consumate a lavorare in campagna.
Come ha detto Mirko Casadei che, dopo la scomparsa del padre nel ha raccolto la sua eredità artistica, formando la POPular Folk Orchestra, «il liscio, e i luoghi dove si balla e si ballava, hanno avuto una funzione culturale decisiva. Hanno rivendicato il diritto al tempo libero, che prima riguardava solo la borghesia e che diventa una conquista di tutti. Se prima le danze erano riservato solo alle élite che potevano permettersi lo svago, con il liscio , con i balli di coppia, è l’intera civiltà contadina a affacciarsi sul mercato dell’intrattenimento. Vestendo l’abito della festa, conoscendosi, frequentandosi dopo la fatica nei campi».
Un fenomeno che riguarda diverse generazioni. Nelle balere ci sono le famiglie intere, i ragazzi e le ragazze che cercano moglie e marito, tutti volteggiano, si scatenano, imparano i passi, si lasciano finalmente andare. Le orchestre, i musicisti sono presenze costanti nella vita di tantissime persone, per le quali questi luoghi rappresentano una seconda casa, accogliente e amorevole quanto la prima.
La storia
Raoul ha il merito di far uscire questa musica dai confini della Romagna. Abilissimo comunicatore, è lui a dare al liscio questo nome. Succede nel 1973, quando, come ha sempre ricordato lui stesso, era con la sua orchestra in una grande dancing, le Rotonde di Garlasco, provincia di Pavia e sedotto dall’immagine che aveva di fronte, centinaia di coppie avvinghiate e felicissime che danzavano come se fossero in trance, grida al microfono, «Vai col liscio». «Quel “vai col liscio”, commenta adesso Mirko, è diventato il nostro I feel good, va tutto bene!».
Da allora brani come il super classico Romagna Mia, scritto dallo zio Secondo, che originariamente si chiamava Casetta Mia ed era un omaggio alla piccola costruzione a Gatteo Mare, acquistata dal violinista con i primi guadagni, e quelli più recenti composti da Raoul come Ciao Mare e Romagna e Sangiovese, son diventati memoria condivisa.
Patrimonio culturale
Una vitalità delle tradizioni molto forte, fuori dalla conservazione museale, che ha convinto la regione Emilia Romagna, l’assessore alla Cultura Mauro Felicori in particolare, a sostenere, insieme al ministero della Cultura, una campagna per chiedere il riconoscimento del liscio e di tutta la musica da ballo della regione come patrimonio immateriale dell’umanità, come i flamenco, il fado, il reggae, la rumba congolese e il canto lirico, per fare qualche esempio.
Questa iniziativa ha avuto un effetto inaspettato, coinvolgendo gruppi, studiosi, scuole di ballo, istituzioni pubbliche (è stato creato anche un sito, vailiscio.it , per raccogliere materiale per accompagnare la richiesta all’Unesco), e quella in corso è sicuramente l’estate nella quale il liscio è tornato a essere il ‘suono’ del territorio.
Il festival
Balamondo, sottolinea Mirko Casadei, sin da quella intuizione di Raoul del 1998, ha sempre basato il suo cartellone sul dialogo tra quelli che Battiato avrebbe definito «mondi lontanissimi». Ogni anno invitiamo musicisti che non hanno a che fare con le nostre tradizioni, ai quali chiediamo di unirsi alla mia orchestra, per eseguire insieme i brani più noti di Secondo e di Raoul.
In questi anni sono passati dal festival nomi di grandissimo prestigio, dal chitarrista esponente del movimento avant garde newyorchese Marc Ribot, al grande virtuoso del bandoneon, il francese Richard Galliano, allievo di Astor Piazzolla, sino al jazzista Paolo Fresu, al cantante brasiliano Toquinho e moltissimi anni.
Galliano dichiarò che «far ballare la gente con il liscio è la cosa più bella che un musicista possa fare» e affermò che mettere la sua preziosa fisarmonica al servizio delle ballate della tradizione era stata una esperienza simile alla divulgazione della “musette”, la colonna sonora della Parigi dei sobborghi, che grazie a lui è stata riscoperta e resa “nobile”.
Balamondo ha infiammato con i suoi tantissimi appuntamenti, anche l’estate 2024. Memorabile quello, che si ripete ogni anno nel luogo dove sorge la casa di famiglia di Raoul, a metà strada tra Gatteo Mare e Cesenatico, la Romagna delle spiagge senza fine, il 15 agosto per festeggiarne il compleanno, questa volta con 300 musicisti di bande provenienti da tutta Italia che hanno reso omaggio al “re” con le loro fanfare.
Il gran finale è in programma a Rimini, in piazzale Kennedy, dal 21 al 23 agosto, con un programma decisamente vario, nel quale la big band del figlio Mirko duetterà con artisti come Tullio de Piscopo, che nell’occasione celebra i 30 anni di Stop Bajon, il brano che gli ha dato notorietà internazionale, primi posti nelle classifiche di vendita internazionali e che soprattutto, è considerato il simbolo della cosiddetta italo disco, il suono “nazionale” che ha influenzato tutta la dance music a venire.
La canzone simbolo
Ci saranno anche i Modena City Ramblers con la banda Città di Rimini e Alberto Bertoli. «Ma, soprattutto», aggiunge Mirko, «ci saranno i 70 anni di Romagna Mia, l’aria di Secondo Casadei che ha fatto diventare la Romagna un luogo al centro di un immaginario che appartiene davvero a tutti».
E pensare che Secondo Casadei non aveva nessuna intenzione di inciderla. La canzone era finita da oltre un anno in uno dei suoi tanti quaderni dove conservava i testi e le musiche di tutte le sue creazioni. Successe che, ha ricordato la figlia Riccarda lo scorso giugno ospite di un incontro a Ravenna Festival, il padre era a Milano prima dell’estate 1954, per registrare uno dei due album che incideva per promuovere le due stagioni, invernale e estiva nelle balere e si accorse che mancava una canzone per completare il lavoro.
Quella in programma, infatti, prevedeva un assolo di sax, ma il sassofonista si era improvvisamene ammalato e non si presentò in studio. Fu il direttore di produzione a ricordarsi di quel brano, e a chiedergli di trasformarlo in una dedica alla sua terra, e non solo alla casetta di fronte al mare.
«Papà non era assolutamente convinto, ma si accorse che dopo poco tutti la cantavano, dal garzone del latte ai muratori che lavoravano nei cantieri edili. Poi successe un fatto straordinario. Sulla Riviera arrivarono i juke box, cento lire tre brani e, sempre, uno dei tre era Romagna Mia. Una invocazione popolare alla gioia, alle radici, ma», sottolinea Mirko, «anche alla grande apertura nei confronti di chi arriva da fuori, che qui facciamo di tutto per far sentire a casa».
Un inno alla ricostruzione e alla solidarietà, intonato dai volontari, gli “angeli del fango” e dai soccorritori nei giorni apocalittici dell’alluvione del 2023. Che, probabilmente, diventerà patrimonio immateriale dell’umanità.
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