L’artista genovese ricorda gli esordi con Tedua e Rkomi: «Avevamo pochi mezzi, ma ci siamo divertiti». Poca tensione per l’esordio all’Ariston: «Per me è più una gita di classe». Sulla sua musica: «Sono introverso e riservato, vorrei raccontarmi di più. È bello liberarsi e non avere niente da nascondere»
«Non lo prendo come una competizione, ho tanti amici qui e gioco in casa. Per me è più una gita di classe», dice Andrea Brasi, classe 1996, nome d’arte Bresh che a Sanremo ha portato il pezzo scritto da lui, La tana del granchio. «Rappresenta una parte intima di me, le insicurezze, la difficoltà di spiegare alcune emozioni forti», specifica quando ci incontriamo.
Nato a Lavagna, cresciuto a Bogliasco, paese sul mare alle porte di Genova, la sua squadra, il Genoa, ha perfino lanciato una maglietta vintage in collaborazione con lui per onorare questa settimana sul palco dell’Ariston. Però è Milano che l’ha formato musicalmente, quando insieme a Tedua si è trasferito nel quartiere di Calvairate, periferia Est, a casa di Rkomi, anche lui in gara.
Che cosa ricorda di quei giorni?
Vivevamo in Piazza Ovidio, avevamo pochi mezzi, facevamo tanti lavori diversi e dormivamo sul divano. Però è stato un bellissimo periodo, ci siamo divertiti. E anche molto uniti. Abbiamo imparato che vincere insieme da maggiore soddisfazione.
Che cosa l’ha spinta a fare musica?
Penso dimostrare le mie debolezze. Perché una volta spogliato di quelle, levate quelle zavorre, usando una metafora la barca va più leggera. È stato un modo per far capire agli altri, guardate che è bello liberarsi. Perché poi sei puro, non hai nulla da nascondere. Ecco, ho iniziato per non aver nulla da nascondere.
Ricorda i suoi primi passi nella musica?
A guardare indietro mi sembra buffo quel ragazzo che credeva che a qualcuno interessasse ciò che lui aveva da dire. Però poi la legge dell’attrazione ha voluto che, credendoci così tanto, è successo davvero.
Qual è stato il primo concerto che ha visto?
Avrò avuto 13 o 14 anni e sono andato a vedere un concerto di Fabri Fibra al Porto Antico di Genova. Già allora avevo molta passione per la musica di tutti i generi, ma lì capii che quella voglia di esprimermi poteva essere messa in parole, in rime. E quindi tornato a casa quella sera, l’ho fatto.
Ha sempre voluto fare il cantante?
No, da ragazzino no. Vedevo i portuali, persone umili, che lavoravano e sapevano fare tutto. Che avevano una virilità grande ai miei occhi, erano per me veri uomini (con le dita fa il gesto delle virgolette), ma senza vestirsi con le marche addosso, e senza dover dire al mondo che sapevano fare una cosa. La sapevano fare e basta. Con loro ho capito cos’è la sostanza e non cos’è l’immagine.
Ci sono pezzi che raccontano meglio chi è a chi la conosce solo ora a Sanremo?
In Svuotatasche io mostro lati più intimi di me, ci sono i tasselli che hanno costruito la mia personalità. In Andrea, pure. Senza mai elevarsi, solo raccontando. Raccontando e basta.
A chi si ispirava?
All’inizio a tutti gli americani come Eminem, Lil Wayne, 50 Cent, Kanye West e Jay Z, con Watch the throne soprattutto, un album che mi spiazzò. Poi c’erano Faber (Fabrizio D’Andrè, ndr) e tutti i cantautori italiani, Lucio Dalla e Francesco De Gregori soprattutto. E poi Vasco Rossi e Luigi Tenco, che ho ascoltato più da grande ma mi ha dato grande ispirazione.
Che cosa ha imparato in questi giorni?
Stavo appunto pensando questo poco fa. Che amo le differenze. E a Sanremo sul palco ce ne sono tante. La musica unisce, e non è solo una frase fatta.
C’è un lavoro che sta facendo su di sé?
Sono introverso e riservato, la mia fragilità sono i social, vorrei provare a raccontarmi di più e l’ho sempre fatto poco. In questi giorni credo di esserci riuscito, spero che chi mi segue apprezzi lo sforzo. E spero di avere costanza.
Olly è genovese come lei, potrebbe vincere.
L’ho visto tante volte sotto i miei concerti, la madre della mia ex ragazza un giorno mi disse: «C’è il figlio di una mia amica che ti segue e ti vorrebbe conoscere». Era Olly. Questa nuova generazione di musicisti genovesi, con Olly e Alfa, spacca.
Questo sarà anche l’anno dei concerti per lei.
Il primo novembre sarò a Roma e il 6 novembre a Milano. Sto crescendo anch’io. Sanremo è stato solo il primo tassello.
Stasera porta sul palco Crêuza de mä di Fabrizio De André, accompagnato da suo figlio Cristiano.
Sì perché la mia generazione non la conosce. E portarla per me è un gesto di riconoscenza. Controcorrente rispetto a un brano italiano più facile che tutti possono cantare. Ma per me è giusto così.
Perché ha detto sì a Sanremo?
Per far contente tutte le donne della mia famiglia che da tempo me lo chiedono, da mia nonna alle zie, e poi mia madre, mia sorella, mia cugina, la mia fidanzata. Sono tutte qui, ho fatto un file Excel per organizzare i loro arrivi e la loro presenza all’Ariston. Siamo una famiglia molto unita, è anche grazie a loro se sono qui oggi.
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