Il cantante romano, in gara all’Ariston con Incoscienti giovani: «Sono al festival per divertirmi. Vasco mi ha insegnato che la forza di una canzone è riuscire a parlare di sé in un’altra chiave: la sua Sally parlava di lui. È più facile rubare dalla realtà che inventare». Nel futuro? «Mi piacerebbe fare il tour negli stadi più grande che sia mai stato fatto in Italia»
«Non so se mi piacerebbe vincere Sanremo, so che mi piacerebbe fare il tour negli stadi più grande che sia mai stato fatto in Italia», aveva detto l’altro giorno Achille Lauro. Ora che col suo pezzo Incoscienti giovani è arrivato tra i primi cinque nella classifica della sala stampa forse non la pensa più così.
L’altra mattina prima che partisse per il Festival era in vena di conversazione. Era come se non volesse lasciarci andare, a noi pochi giornalisti presenti nella saletta riservata. Tanto che a un certo punto ci ha fatto persino sentire tre pezzi inediti dal suo telefono, che saranno contenuti nell’album che uscirà prima dell’estate. Uno in particolare, Perdutamente, con ambientazioni alla C’era una volta in America e Caruso, era dedicato a Roma e al bene che gli ha dato, in una fase della vita in cui ha sviluppato tutta la voglia di emergere che lo ha portato fino a qui.


«Non l’ho presentato a Carlo Conti perché l’ho creato solo cinque giorni fa», spiegava. All’Ariston ci ha portato invece Incoscienti giovani, dedicata a una ragazza che lo ha sostenuto quando era uscito troppo presto di casa, anche lei come lui nata ai bordi del grande raccordo anulare. «Ho scritto i primi accordi al piano e poi mi sono fatto trasportare. Il brano parla della mia storia, come tanti dei miei lavori precedenti. Incoscienti giovani è dedicata a chi è cresciuto come me, con me», spiega.
E dopo la prima serata di Sanremo la ragazza in questione, firmandosi solo S, ha risposto al brano: «Quando ho conosciuto Lauro era un adolescente magrolino, con i capelli sempre rasati corti e il viso scavato. Eravamo molto giovani quando ci siamo innamorati. Io vivevo da sola con mia madre, e lui veniva spesso da noi. Lo abbiamo aiutato tanto quando era solo, per mia madre era come un figlio. Aveva questa ossessione per la scrittura, come se fosse l'unico modo per dare un senso a tutto ciò che lo circondava e, probabilmente, scrivere lo aiutava anche a metabolizzare la situazione che viveva. Lauro ha sempre cercato di nascondere i suoi traumi. Li tiene dentro. É forse per questo che scrive canzoni».
Lauro, tornato per la quinta volta al Festival dopo le tre partecipazioni in gara del 2019 con Rolls Royce, del 2020 con Me ne frego, del 2022 con Domenica e quella da ospite del 2021, porta una storia autentica di chi non si è sentito amato e ha fatto di tutto per essere diverso da chi l’ha cresciuto. E la giuria della sala stampa e tv lo ha premiato.
Che cosa pensa della classifica e che molti già la diano come vincitore?
Mi preoccupa e m’imbarazza. Al di là del posizionamento voglio divertirmi. Non per caso ho voluto a Sanremo uno spazio dove divertirsi e bere tequila la sera. Siete tutti invitati.
Le sue fan sui social lamentano un look troppo castigato.
Lo stile si rifà a un mondo retro, come la canzone. Uno schianto tra Can’t help falling in love di Elvis e il grande cantautorato romano. È stata una mia esplicita richiesta.
È stato quattro mesi a Los Angeles e lì ha conosciuto Vasco Rossi. Mi dice una cosa che non dimenticherà?
Già passare due serate con lui è qualcosa che non si dimentica. Mi ha raccontato che molte sue canzoni sono autobiografiche. Come Jenny è pazza, che in realtà era lui. O come Sally. A volte la forza di una canzone è lì, riuscire a parlare di sè traslandola in un'altra chiave. Ciò non è distante da Incoscienti giovani. Sono tornato nel passato, mi sono ispirato alla mia storia vera. È più facile rubare dalla realtà che inventare.
Ha pensato di proporgli una collaborazione?
Sono nato l’11 luglio 1990, la notte in cui lui festeggiava il suo primo San Siro. Non mi pareva il caso di chiederglielo.
C’è una strofa che si tatuerebbe?
“Gli uomini non cambiano, sono stata anch'io bambina”. Nel brano di Mia Martini c'è quella profondità che io amo, quella delle canzoni intime che mi ricordano esattamente il momento in cui le ho scritte. Perché stavo di merda.
Per esempio?
Lost for life e Ora e per sempre, che sono canzoni di dieci anni fa, forse di più. O come C’est la vie, scritta in dieci minuti senza musica. Agli errori, agli amori finiti, alle perdite, a tutto c'è un motivo. Nella vita tutto serve per crescere. A volte le persone non arrivano nella tua vita per rimanere, ma solo per cambiarti. È una grande verità questa. Come tutti anch'io ho le mie persone che sono arrivate nella mia vita solo per cambiarmi. Non farei niente per riprenderle, doveva andare così.
Tra gli artisti, chi le ha dato una mano?
Da Gemitaiz fino a Marracash, che ha firmato il mio primo progetto e mi ha fatto arrivare a Milano. Sono riconoscente, da soli non si va da nessuna parte.
In lei vince più il talento o la determinazione?
La determinazione, chiamiamola pure ossessione dei dettagli. Certe notti dormo solo tre ore.
Che uomo è oggi?
Voglio far vedere una parte di me che pochi conoscono, più lontana e vulnerabile, ma vera.
Per la serata delle cover ha scelto come partner Elodie. Canterete A mano a mano e Folle città, come tributo a Roma che vi ha cresciuti. Perché lei?
Non è solo una cantante, ma un'artista che vive quello che canta, che è parte di quel dramma romano tipico di chi è cresciuto nelle periferie, poetico. Abbiamo una storia simile.
Che cosa ricorda dei suoi festival passati?
Sul palco dell'Ariston ho fatto diverse esperienze. In passato, una settimana dopo Rolls Royce, mi sono detto: “Siamo stati con il freno tirato”. Il 2020 ha definito chi fossi, mi ha regalato soddisfazioni e un pubblico trasversale.
La sua Rolls Royce e il suo look crearono polemiche. Il testo fu criticato.
Il tempo è sempre la cura. Solo passati solo cinque anni e ora la metti al compleanno di tua nonna, a Capodanno, alla festa dei 18 anni o quando sei sbronzo. È di tutti ora.
Passa dai palchi alla tv, lei come si definisce?
Ciò che faccio non mi piace chiamarla arte, lo trovo presuntuoso, io sono un artigiano. Mi hanno definito esibizionista, detto che facevo attività sovversive rispetto a un format tradizionalista, ma è solo colpa del fatto che non dormo di notte. Non ho più 20 anni e non vedo l'ora di averne 65.
Tra poco avrà due date al Circo Massimo, 29 giugno e primo luglio.
Per me è un sogno e un punto di arrivo, dove le canzoni avranno il posto che meritano.
Il suo compagno d’avventura Boss Doms non è con lei stavolta.
È un genio visionario, non è vero che abbiamo discusso. È una persona che vede oltre il contemporaneo, gli voglio bene. Mia madre lo seguiva quando faceva la catechista e da allora siamo diventati amici. Ora lavoriamo insieme dietro le quinte.
La fede cristiana sua madre l’ha trasmessa anche a lei?
Sì, forse la vivo in modo diverso. Ma la sento.
Prega?
Sì, l’ho sempre fatto. Solo che oggi ringrazio per quello che ho.
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