La scelta di abbandonare i giudizi descrittivi, per tornare a quelli sintetici alla primaria (“sufficiente, “insufficiente”, etc) non ha tenuto conto delle indagini condotte in questi tre anni ed è stata presa senza ascoltare né il mondo della ricerca né quello della scuola. L’intervento di Federico Batini, università di Perugia, membro del Consiglio direttivo del Crespi (Centro interuniversitario di ricerca educativa della professionalità dell’insegnante)
Lo confesso: nella mia esperienza scolastica mi è capitato di ottenere buoni risultati in termini di voto assegnatomi senza sforzo e senza impegno. Non avevo alcun merito se non quello di essere nato da genitori con un ottimo livello di istruzione, con un’importanza rilevante attribuita alla scuola, con un numero alto di libri in casa. In ogni grado scolastico ho visto altresì alcuni miei compagni e alcune mie compagne di scuola che a fronte di un impegno decisamente maggiore del mio hanno incontrato molte difficoltà.
La ricerca valutativa in ambito pedagogico e didattico ha compiuto negli ultimi decenni passi avanti fondamentali, attraverso le indagini sul campo e attraverso il confronto con migliaia di insegnanti, studentesse, studenti e famiglie. Significativa in tal senso, assieme ad altre, l’esperienza del Crespi (Centro interuniversitario di ricerca educativa della professionalità dell’insegnante) all’interno del quale da anni, ricercatrici e ricercatori delle tredici università italiane aderenti al Centro lavorano con scuole, docenti studentesse e studenti per fare in modo che la valutazione venga impiegata come rigoroso ed efficace strumento di miglioramento dell’insegnamento e dell’apprendimento. Nel corso dell’iter parlamentare che ha portato all’approvazione di questa riforma, al Crespi è stato richiesto un parere in commissione Cultura. Sebbene tale parere non sia stato preso in considerazione, appare utile ribadire alcuni punti fondamentale per sottolineare come la scelta di abbandonare la strada intrapresa con i livelli descrittivi rappresenti un errore per due motivi fondamentali.
Il giudizio che serve agli studenti
In decenni di studi sulle prassi valutative più efficaci, ovvero quelle che incidono in maniera positiva sullo sviluppo degli apprendimenti, abbiamo imparato qualcosa di diverso da ciò che viene oggi richiesto agli insegnanti. Va segnalato come le ricerche pedagogiche e didattiche mostrino chiaramente che la comunicazione del giudizio è solo il risultato finale del complesso processo valutativo. Per favorire realmente l’apprendimento, la valutazione deve essere in grado di far comprendere a studentesse e studenti i punti di forza e di debolezza dell’attività svolta.
Per fare questo è però necessario ricorre a un giudizio descrittivo, non a un voto. Il voto, numerico (“6”) o (“sufficiente”) che sia, comporta una notevole perdita di informazioni e implica la produzione di graduatorie in cui ogni singolo studente viene messo in competizione con il resto della classe. Questo porta gli studenti a concentrarsi più sul confronto con gli altri piuttosto che sullo sviluppo del proprio apprendimento, sul risultato anziché su ciò che si impara, sugli altri anziché su sé.
Il voto è meno rigoroso e preciso di un riscontro descrittivo. Chiunque abbia esperienza di scuola sa come dietro a uno stesso “numeretto” possano stare processi, risultati, azioni, performance e comprensioni completamente differenti. Il voto non è preciso.
Proviamo a pensare a un 4, cosa mi dice? Siamo certi di ciò a cui abbiamo pensato? Bene immaginiamo due situazioni differenti in cui una studentessa o uno studente riceva un voto del genere nel contesto di una classe in cui tutti hanno preso un voto insufficiente o nel contesto di una classe in cui tutti gli altri hanno preso la sufficienza. Inoltre come adulti abbiamo il dovere di riflettere su cosa comportano, complessivamente, le scelte valutative in termini educativi?
Studi e ricerche hanno mostrato che il voto è spesso inaffidabile e impreciso, si incentra più sull’individuo che sull’attività svolta, riflette distorsioni e stereotipi e riproduce le disuguaglianze di partenza trasformando in merito il vantaggio del punto di partenza. Al contrario, esprimere un giudizio descrittivo sulle attività svolte rafforza notevolmente la portata informativa e migliorativa della valutazione. La valutazione incentrata su giudizi descrittivi è una valutazione molto più rigorosa di quella che usa i voti: non nasconde i problemi, al contrario li fa emergere e li affronta. Questo processo rende non solo più efficace ma anche più trasparente la valutazione. In primo luogo, perché obiettivi e criteri valutativi sono comunicati in anticipo a famiglie, alunne e alunni. In secondo luogo, perché obiettivi e criteri valutativi sono coerenti con le attività svolte in aula e rappresentano delle guide utili a organizzare l’apprendimento e l’insegnamento.
Una scelta senza ascolto
Ci sono anche altri motivi di riflessione: l’introduzione dei giudizi descrittivi alla scuola primaria ha una storia di soli tre anni. In assenza di un monitoraggio da parte ministeriale, diverse università hanno condotto indagini rilevando che laddove la nuova valutazione è stata impiegata per orientare la didattica si sono riscontrati effetti positivi nella comunicazione tra scuole, famiglie, alunne e alunni. Al contrario, dove c’è stato un mero passaggio burocratico dal voto numerico a quello non numerico, la valutazione non ha conseguito risultati apprezzabili né sul piano dell’efficacia né su quello della trasparenza.
La scelta di abbandonare i livelli descrittivi – assunta mercoledì scorso alla Camera – non ha tenuto conto delle indagini condotte in questi tre anni ed è stata dunque presa senza ascoltare né il mondo della ricerca né quello della scuola. Una parte non irrilevante di scuole e insegnanti in tre anni ha lavorato con professionalità per rispondere al cambiamento metodologico e culturale richiesto dall’introduzione dei giudizi descrittivi. Tale investimento in termini di impegno e di risorse viene ora vanificato da una novità normativa non condivisa e non negoziata.
Infine l’idea di incentrare la valutazione del comportamento sul voto numerico appare del tutto disfunzionale.
Se lo scopo della valutazione è quello di educare al rispetto reciproco e alla condivisione di regole in una comunità educante è fondamentale coinvolgere studentesse e studenti in compiti sfidanti che comportino cooperazione, condivisione di attività e finalità comuni e siano regolati non attraverso premi e punizioni, ma mediante una valutazione centrata sulla piena assunzione di responsabilità.
Le metodologie didattiche e valutative basate sull’assunzione attiva di responsabilità da parte di studentesse e studenti, su processi autovalutativi e su una valutazione descrittiva hanno dato prova di funzionare molto meglio in tal senso. Lo Statuto delle studentesse e degli studenti (in vigore dal 1998) chiama in causa questi processi: secondo lo Statuto, una valutazione trasparente e tempestiva che usa l’autovalutazione al fine di migliorare l’apprendimento è un diritto di studentesse e studenti.
Promuovere il rispetto dell’insegnante partendo dalla negazione di un diritto di studentesse e studenti rivela la debolezza del piano sin dal punto di partenza.
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