- Con una voce graffiante, Maia è uno dei personaggi più contemporanei degli ultimi anni. Con un racconto divertente, struggente e ipnotico, l’esordio di Irene Graziosi, Il profilo dell’altra, e/o, è la testimonianza onesta delle modificazioni di noi Millennial.
- I ventenni fanno molta attenzione a mostrare una sensibilità spiccata, una cosa bella e importante, certo, ma non credo che sforzarsi di continuo sia una strada praticabile. La sensibilità o ce l’hai o non ce l’hai.
- L’intimità con l’altro ci modifica, ci fa scoprire lati del mondo e di noi stessi che magari non conoscevamo e che però, una volta visti, non possiamo più ignorare. Non lo so, cosa siamo, ma, in fondo, cambiamo in continuazione.
Maia si trasferisce a Milano, dove non ha niente se non un fidanzato che odia. Passa le sue giornate a farsi un mucchio di canne e guardare Law & Order, in un presente continuo. Poi, per caso, inizia a lavorare per Gloria, influencer di appena diciott’anni che sente di non conoscere alcunché della realtà: il mondo di Gloria è pura narrazione social. Tra le due nasce un rapporto viscerale, una di quelle relazioni capaci di modificare le esistenze di chi ne è coinvolto.
Con una voce graffiante, Maia è uno dei personaggi più contemporanei degli ultimi anni. Con un racconto divertente, struggente e ipnotico, l’esordio di Irene Graziosi, Il profilo dell’altra, e/o, è la testimonianza onesta delle modificazioni di noi Millennial.
Milano nel romanzo ha un ruolo importante, ma tu sei cresciuta a Roma.
Ho girato molto, in realtà. Da piccola negli Stati Uniti con la mia famiglia. A vent’anni in Trentino per un master. Da qualche anno vivo a Milano, dove mi sono trasferita perché mi ero fidanzata con un ragazzo di qui. Ecco, ho girato molto, e forse è per questo che non mi sono mai sentita appartenere a un posto: non mi lego granché ai luoghi in cui vivo.
Odi Milano come la odia Maia?
No, io non la odio. Trovo solo che sia facile da prendere in giro, specie se non ci sei nata. Se presti attenzione, capisci subito che la maggior parte delle cose è fumosa. Milano mi ha trattata bene, mi ha accolta, ma non mi sono mai tolta di dosso la sensazione che certe cose qui siano impalpabili.
Un ricordo del tuo primo periodo a Milano?
Quando mi sono trasferita ero così innamorata del tipo con cui stavo che tanti ricordi sono legati a lui: ogni cosa era stupenda perché ero qui con lui. Dovessi scegliere una cosa però direi la gente: mi rilassava. A Milano puoi scomparire, confonderti nella massa e farti i cazzi tuoi, svanire. Qui non devi interagire per forza come in altre città.
Il padre di Maia lo definirei vecchio stampo, di quelli che si incaponiscono nel fare le stesse cose allo stesso modo finendo col rovinarle pur di evitare i cambiamenti. Pensi sia un tratto generazionale, qualcosa che appartiene a chi ci ha preceduti?
Di uomini adulti fatti in questo modo ne ho conosciuti parecchi. Di quelli che procedono seguendo una strada soltanto così da evitare ogni cambiamento.
È un aspetto che associ agli uomini?
I discorsi di genere sono sempre complessi. Trovo però che gli uomini delle generazioni precedenti siano diffidenti al cambiamento. Andare in terapia non era socialmente accettato fino a pochi anni fa, la famiglia era un organo in cui ogni ruolo era ben definito, lo spazio di manovra per chi fosse voluto uscire da questi recinti era minimo. Era una società stanziale e questo implicava che gli uomini non potessero soffermarsi sulla propria sfera emotiva. La società pretendeva degli standard e tutti, uomini e donne, erano obbligati a smussarsi.
Oggi le cose vanno diversamente?
I ventenni fanno molta attenzione a mostrare una sensibilità spiccata, una cosa bella e importante, certo, ma non credo che sforzarsi di continuo sia una strada praticabile. La sensibilità o ce l’hai o non ce l’hai e in quest’ultimo caso penso che più che recitare sia meglio, semplicemente, evitare di nuocere gli altri. È un po’ come il discorso sul femminismo. Sono tutti femministi, ormai. E te lo dicono subito.
Che intendi?
Che tutti ci tengono un sacco, a specificare di essere femministi. Mi è capitato un mucchio di volte di uscire con ragazzi che già dal primo appuntamento mi dicevano di essere femministi. Per carità, bellissimo ma mi chiedo che motivo ci sia di specificarlo subito. Cos’è, ce l’hai scritto sul biglietto da visita? Una mia amica ripete: quando uno ti dice che è femminista, tirati su le mutande.
Torniamo alla famiglia. I tuoi genitori?
Mio padre è una persona tranquilla. È professore alla Federico II, e non ha niente in comune con quello di Maia. Pure mia madre è lontana da quella della mia personaggia, una donna forte. Siamo una famiglia di persone indipendenti e penso sia uno dei nostri aspetti più belli.
Maia ha anche una sorella. Morta. Sembrerebbe odiarla, ma io ho avuto l’impressione che il suo sia più senso di colpa.
Volevo raccontare il tipo di sorellanza, che si sviluppa spesso e di cui si parla poco, in cui le due non vanno d’accordo. Nella maggior parte dei casi capita di conoscere sorelle che giurano di adorarsi, di avere un rapporto speciale. Di quelle che non hanno alcun conflitto. Io quando incontro ragazze così penso: be’, complimenti ma pure ‘sticazzi.
Perché?
Perché c’è anche una forte componente sociale a regolare i rapporti famigliari. Quante volte ci siamo sentiti dire: dovete volervi bene, siete cugini o fratelli o madre e figlia? Si tratta di un affetto regolato da convenzioni, ma io credo che in famiglia ci si possa pure voler bene in modi meno canonici.
Sul senso di colpa che mi dici?
Lo trovo un sentimento grandioso, mitomane. Come se le tue azioni potessero riverberarsi nell’altro in modo così profondo da farti pensare che tu sei forte e l’altro è debole. Penso sia un sentimento di blocco, che copre qualcos’altro, e Maia è una personaggia accecata da tante cose. Ciò che volevo rendere nel romanzo era quanto le sue verità non fossero la realtà del mondo. Lei non ha un vocabolario emotivo che le permetta di decodificare sé stessa e quello che la circonda. Da questo, forse, deriva il blocco di cui parlavo.
Ognuno ha le sue verità.
Tutto è costruzione. Vale anche per la scrittura: eventi casuali che acquistano senso sulla pagina. In Tu che mi guardi, tu che mi racconti, Adriana Cavalero racconta la storiella di un uomo che vive in riva a un lago e di notte sente dei rumori. Quando va a controllare trova delle orme sulla spiaggia - sono di una cicogna: tracce di un passaggio. Le orme sono ciò che ci lasciamo dietro nel corso della vita, ma la forma che prende il percorso possiamo vederla solo in retrospettiva. Certi pezzi dell’esistenza li viviamo a caso, è il tempo, poi, che dà loro un senso.
Di nuovo sul senso di colpa. Hai detto che è un sentimento mitomane. Nel tuo romanzo c’è: Maia, lo dicevamo prima, lo prova per la sorella morta.
Forse è perché sente di non averla aiutata.
Maia si crede cattiva.
Pensa di esserlo fin dalla nascita, ma mica si può nascere cattivi o buoni. Pure questa è una sua costruzione e pure questo ha a che fare coi legami famigliari. In fondo, se si sente cattiva è anche a causa dei suoi genitori.
Mi sembra che i meccanismi che regolano le famiglie ti interessino.
Sì, tant’è che mi faccio sempre adottare dalle famiglie degli amici. Mi piace vedere quali sono le costruzioni delle altre famiglie. I ruoli che ricopriamo in famiglia ci restano sempre un po’ addosso, e Maia in famiglia è la cattiva.
Tu hai una sorella?
Sì, che però sta alla grande - ride, ndr.
Come ha preso il trattamento della sorella di Maia nel romanzo?
Non l’ha presa benissimo, a dire il vero, ma niente di eccezionale. È finzione narrativa, in fondo, e questo lo so tanto io quanto lei.
Maia con Gloria vorrebbe riscattarsi dagli errori che sente di aver fatto con sua sorella?
È così, ma non so se ci riesce. Maia è una ragazza con tanti problemi, si sente incompleta e, causa la mancanza del vocabolario emotivo di cui parlavo, non riesce a comprendersi lei stessa.
Perché una personaggia con tanti problemi?
Eh, non so. È venuta fuori da sola alla terza stesura. All’inizio non trovavo la voce poi è arrivata la sua e mi ha guidata. Non sapevo come sarebbe andata a finire, episodi e intere parti, come il racconto estivo, non erano programmati. Ho seguito lei, Maia. Maia e la sua voce.
Da cosa sei partita, allora?
Dal dolore di un certo periodo della mia vita. Era la primavera del 2019 e mi ero appena mollata.
Mollata con il ragazzo di Milano, quello per cui ti eri trasferita?
Sì, stavo malissimo. È stato un periodo complicato. Avevo appena iniziato a lavorare, mi ero trasferita da una mia amica, che mi ha accolta come fossi sua sorella, ed ero incerta su diverse cose. Allora ho cominciato il romanzo.
A proposito di Sofia. Com’è andata tra voi due?
Scrivevo già per Vice e mi avevano commissionato dei documentari per Fox Life, quando sono andata in ufficio per parlarne mi è stata presentata Sofia. Mi è piaciuta subito, tanto. Lei cercava qualcuno con cui far ripartire il canale, io qualcosa di nuovo da cui ricominciare. In quel periodo adoravo Rookie, il blog di Tavi Gevinson, e mi chiedevo come fosse possibile che in Italia non ci fosse qualcosa di simile. E abbiamo creato Venti. Abbiamo cominciato un periodo pazzesco, sempre insieme in giro per l’Italia e l’Europa. Lavoravamo, viaggiavamo, ci nascondevamo dalle fan. Io non conoscevo il mondo di Sofia, lei quello adulto: ci siamo insegnate tante cose a vicenda. Ieri a Fano, domani a Bratislava. Ieri in un hotel, domani in un altro. Ci facevamo una quantità di canne, serate, viaggi. È stato allucinante.
Sorelle.
Sorelle per scelta, esatto. Lea Melandri dice che negli anni Settanta le donne si sono liberate per la prima volta dallo sguardo maschile vedendosi tra loro. Per me è stato così con Sofia: non avevo mai avuto uno sguardo tanto limpido su di me. Ci siamo guardate, e ci siamo viste.
Ci sono dei personaggi che hanno preso vita vestendo gli abiti di persone esistenti? Ci sarebbe un certo editor raffinato, nel romanzo, in cui potrei aver riconosciuto qualcuno che conosco.
Ecco, sì, a proposito di questo editor: non era certo mia intenzione prenderlo in giro, è ovvio. Anzi, il contrario. Queste persone, queste simili all’editor del romanzo, sono dei grandi mix di conoscenza e le apprezzo molto.
Altri personaggi reali?
Credo di no, ma qualche episodio reale c’è. Quello dell’LSD, ad esempio.
È successo davvero?
Sì. Avevo dormito da un mio amico, e lui in quel periodo era in fissa con le microdosi. Ha insistito un po’ per farcene una assieme, io ero titubante perché nel pomeriggio avrei avuto un evento con Sofia, ma lui mi ha assicurato che prendendolo di mattina, LSD, per allora sarei stata bene. Così l’abbiamo fatto. E in effetti nelle ore subito dopo non è successo niente. Ho passato la giornata, ho persino fatto un brunch con le amiche: tutto tranquillo.
Poi nel pomeriggio mi sono fatta una canna - all’epoca fumavo tantissimo, oggi non più - e allora è arrivato tutto di botto. Ero in motorino, andavo all’evento di Sofia, quando mi sono detta: cazzo, sono strafatta. Non potevo tornare a casa, avevo con me l’attrezzatura per l’evento, così sono andata lo stesso. Sono arrivata sul posto, era pieno di gente e io volevo solo andarmene. Sofia però mi voleva con lei, così mi hanno parcheggiata su una sedia e lì sono rimasta per tutto il tempo - occhiali da sole in faccia e una voglia pazzesca di trovarmi in qualsiasi altro posto e ascoltare musica. Cazzo, che esperienza, con Sofia ne ridiamo ancora.
Hai nostalgia di quei tempi?
È stato un periodo della nostra vita. Oggi abbiamo altre cose, e siamo felici. Ogni tanto mi pare di avere un passato da rockstar, succedeva tutto per caso.
Anche a Maia le cose capitano e basta. È una delle poche cose che ho in comune con lei. Una decisione la prende, a un certo punto: molla Filippo, il fidanzato. È il suo primo momento di cambiamento.
Maia desidera essere tradita da Filippo, ma lo tradisce. Perché?
Di recente ho letto Atti di sottomissione di Megan Nolan. La protagonista d’un tratto prende a guardare le ragazze come le guardasse lui, il suo fidanzato. E guardandole, queste ragazze, desidera che lui la tradisca, che la loro relazione finisca. Evidentemente capita e non di rado. Maia non è innamorata di Filippo e spera che lui vada a letto con un’altra per mettere fine alla relazione facendo ricadere la colpa su di lui. Il loro è un rapporto disfunzionale da entrambe le parti. Si odiano. Sono l’uno la vittima dell’altra e l’uno il carnefice dell’altra. Il loro è un innamoramento narcisistico.
Perché ci infiliamo in questo tipo di relazioni?
Perché siamo giovani, perché a volte vediamo solo quel che vogliamo, perché avere una relazione è faticoso. Essere in intimità con qualcuno vuol dire anche accettare che il mondo non è come lo vuoi.
Hai mai avuto una relazione del genere?
Quand’ero più piccola sì, ma erano principi di relazioni.
Hai mai desiderato essere tradita?
Sì, ma di nuovo: quand’ero più piccola.
Hai mai tradito?
Ancora una volta: sì, ma quand’ero più piccola. Oggi non lo farei mai.
«Si esiste solo se c’è qualcuno che ci vede», scrivi nel romanzo. Persone che ti hanno vista?
Marianna, la mia amica geniale. Sofia, lei come nessun altro. Matteo, il primo fidanzato. Lorenzo, il mio attuale ragazzo.
Mica poche, non tutti hanno questa fortuna.
Ho una base solida di belle persone attorno.
Io quando mi sento visto, scappo. Ho paura. Tu come reagisci?
Per me è riposante. Non devo essere compiacente, non mi devo nascondere. Nel libro c’è la differenza tra come Maia vede Gloria e come la vedono le fan. C’è la convinzione di conoscere le persone vedendole solo sui social.
Esiste questa idea, ed è una stronzata. Non è vero. Come non è vero che siamo reali sui social. I social ci fanno credere di conoscere chi c’è sullo schermo in modo profondo e, allo stesso tempo, ci fanno credere d’essere importanti. Ma no, non è vero niente.
Senti, ma questa fissazione che avete tu e Maia per Law & Order?
Ride, ndr - Eh, mi fa stare bene. È una serie che non richiede impegno, ma è comunque ben fatta; le stagioni più vecchie, quelle nuove sono oscene. Sono contenuti che ti tengono impegnata ma che non pretendono un lavoro da parte tua. È una serie sciacquacervello.
Se è lo sguardo degli altri a definirci, quando non c’è nessuno guardarci cosa siamo? Magma, al modo pirandelliano, o non siamo proprio niente?
Fino a una certa età siamo magma, poi da adulti le cose cambiano. L’intimità con l’altro ci modifica, ci fa scoprire lati del mondo e di noi stessi che magari non conoscevamo e che però, una volta visti, non possiamo più ignorare. Non lo so, cosa siamo, ma, in fondo, cambiamo in continuazione.
© Riproduzione riservata