Il regista italiano più audace riflette all’età di 91 anni sulle voci che lo descrivono affaticato. «La salute alla mia età si affronta giorno per giorno». E poi gli incontri con Pasolini, Ungaretti, Fellini. «La censura è paura di chi non si piega. Ho girato trenta film e ventinove sono stati censurati. È stato un premio al merito. Oggi l’eros è sepolto sotto strati di like»
Che si dica che la sua salute è particolarmente pericolante lo diverte. L’antifascismo, racconta, fu una naturale scelta di libertà. Le sue provocazioni, una critica al potere e anche un modo per riflettere sul senso della vita. Tinto Brass a 91 anni è «più vivo che mai». Domani lo raggiunge nella casa di campagna a Isola Farnese, dove abita con Caterina Varzi, avvocata, sceneggiatrice e attrice, psicanalista, che ha sposato nel 2017. Gli chiedo subito se le voci che lo descrivono molto affaticato dall’età lo infastidiscono, risponde invece: «Mi diverte che ci sia chi mi seppellisce vivo e chi si preoccupa che io stia tirando le cuoia. La salute, alla mia età, si affronta giorno per giorno. Caterina dice che quando si è amati non si muore, io sono qui – amatissimo – e più vivo che mai. E i gufi, quelli li ho fatti scappare più volte».
Pensa spesso al futuro?
«Non molto, a dire il vero. Ho sempre vissuto nel presente, ma è un atteggiamento che si rafforza con l’esperienza. Non mi interessano né le partenze né le destinazioni; ciò che conta è il qui e ora, l’unico tempo che può essere vissuto».
Una volta ha detto che il valore della sua vita è nella prospettiva della sua opera. Come vorrebbe essere ricordato?
«Le immagini delle attrici seminude sono parte di una provocazione più ampia che esprime un radicato pessimismo nei confronti dei valori consacrati dalla morale corrente e una feroce critica del potere. In definitiva, del mondo così com’è, che volevo rendere più abitabile grazie alla bellezza della forma e delle forme».
Eros e cinema. Due passioni, due ossessioni?
«Cinema e sesso sono sempre stati strettamente collegati. La passione per entrambi si è manifestata già dai tempi del liceo, esprimendo quella mia inquietudine e joie de vivre che mi ha sempre accompagnato. Ho desiderato fare film sin da quando ho iniziato a guardarli, e parallelamente sono stato un assiduo frequentatore dei casini. Quando vivevo a Venezia, la mia giornata spesso si alternava tra cinema e casinò. Andavo al cinema e, appena finito, mi spostavo al casinò o viceversa, anche più volte al giorno. Era un modo per afferrare la vita senza freni».
Senza freni, decise quindi che era tempo di far “esplodere lo schermo”. Perché?
«Perché il cinema stava già diventando troppo educato e compiacente. Sentivo il bisogno di rompere quello schema, di portare sullo schermo gli umori rivoluzionari che aleggiavano a Londra quando girai L’urlo, una scelta utopica, rabbiosa e anticonvenzionale. Ma anche di esplorare il linguaggio cinematografico per fare film eccezionali. Il cinema doveva stare al passo con la Storia».
Subì la censura, per una vecchia legge fascista. Ci soffrì?
«La censura è paura di chi non si piega, di chi mostra la verità nuda e cruda. Ho girato trenta film e ventinove sono stati censurati. Quando ci rifletto, penso sia stato un premio al merito».
Ha detto che se ha un rimpianto nella vita è non aver chiarito con suo padre. Avvocato e fascista, così lo descrive. La spedì in manicomio. Lo ha perdonato?
«Mio padre rappresentava un mondo che io ho sempre rifiutato. Avrei voluto chiedergli perché non mi ha mai capito, perché non ha mai cercato di farlo. Il manicomio e le punizioni fanno parte di un tempo in cui la repressione era la regola, e anche se non ho mai completamente perdonato, ho imparato a convivere con quei ricordi. Avevo 13 anni quando entrai in manicomio. La follia di quei giorni mi ha profondamente influenzato nello scrivere i primi film: sono la testimonianza della mia rabbia di quel tempo. Forse, oggi, l’unico rimpianto è non aver avuto la possibilità di parlargli da uomo a uomo».
Il suo essere “antifascista” viene anche da lì?
«Essere antifascista è stata e rimane una scelta di libertà contro ogni forma di autoritarismo e intolleranza per le diversità, come emerge in tutti i miei film. Una lotta contro la censura e, da ultimo, una certa insofferenza per chi vuole riscrivere la Storia manipolandola. Mi scappa da ridere quando sento che Giorgia Meloni viene paragonata a De Gasperi e certi libri dovrebbero essere introdotti a scuola».
Nel corso della sua vita ha conosciuto i più grandi intellettuali italiani. Mi regala qualche flash? Pasolini, ad esempio, era…
«Un poeta della vita ai margini. Con lui condividevo il gusto per la provocazione. Salò fu sequestrato qualche giorno dopo Salone Kitty».
Giuseppe Ungaretti?
«Un gigante della parola. Le sue poesie sono come ferite crude e necessarie. Venne alla proiezione privata di Chi lavora è perduto (In capo al mondo). Mi stupì che ci fosse. Mi meravigliava e gratificava che volesse conoscere un giovane regista maledetto. Lo affascinava il modo insolente di rompere con ogni forma di cinema tradizionale».
Federico Fellini?
«Un visionario geniale. I suoi film erano sogni e incubi. Non sapevi dove saresti finito, ma questo era il bello. “Tintaccio mi diceva, le tue ossessioni sono benedizioni”».
Siamo più liberi, oggi, rispetto ad allora?
«Meno di quanto ci piacerebbe raccontare. L'ipocrisia è dappertutto. Siamo bombardati da immagini di corpi nudi e il sesso è a ogni angolo. Ma è tutto finto, patinato. L’eros è sepolto sotto strati di like. Tra uomini e donne le dinamiche sono cambiate, ma non abbastanza».
In un’epoca così, l’eros può ancora provocare, essere trasgressivo?
«In un mondo dominato dall'immediatezza di una pornografia che perpetua aspettative poco realistiche rispetto al sesso, la sfida è riappropriarsi dei riti della seduzione, del corteggiamento e del desiderio. Una riscoperta che invita all’attesa, al gioco, a una tensione erotica che va oltre la sessualità come semplice consumo».
In Una passione libera, il libro che ha scritto per Marsilio con Caterina Varzi, scrive che la sua ricerca sull’eros è legata alla riflessione sul senso della vita. Come?
«Non è possibile parlare di Eros senza averlo vissuto intensamente. Scandagliare l'erotismo significava dare voce alle mie ossessioni, ma cogliere anche le molte sfumature dei rapporti di coppia. E quindi anche riflettere sull'amore e sul senso della vita».
E sull’amore cosa ha scoperto?
«L’amore sfugge alla nostra comprensione e al nostro controllo. È carne e desiderio, sentimento e libertà, l’ultimo traguardo della trasgressione. Proprio per questo sembra non appartenere più a questo mondo: tutti lo cercano, ma nessuno sembra volerlo davvero».
Si è scagliato contro la legge sul tax credit per il cinema perché per lei il cinema è fede: nelle idee, nell’arte, nel rischio creativo. E la cultura deve essere libera. Cosa sarebbe oggi provocazione al potere?
«Mi interessa poco il “cosa”; sono affascinato dal “come”. Il contenuto salta fuori dalla forma, e il significato si desume dal significante. Negli ultimi anni, però, ho assistito a una trasformazione radicale: il cinema, come lo intendo io, sembra non esistere più».
Perché?
«Oggi, più un prodotto è grezzo e privo di follia, più ha successo. Vorrei vedere opere che abbiano coraggio e che osino sperimentare sul piano del linguaggio. Il cinema dovrebbe essere un campo di esplorazione e innovazione, non una mera fabbrica di prodotti standardizzati. Spero in un ritorno a questa audacia, che permetta al cinema di riappropriarsi della sua vera essenza: quella di un’arte in continua evoluzione e capace di sorprendere».
Che cosa ha pensato del caso Boccia, che ha coinvolto l’ormai ex ministro Sangiuliano?
«La vicenda di Sangiuliano non racconta nulla di nuovo. Sesso e potere sono stati intrecciati in ogni epoca e cultura, e gli scandali legati a queste dinamiche hanno stroncato molte carriere brillanti. Prendo ad esempio la famosa relazione tra Clinton e Monica Lewinsky. Mi divertiva l'idea che Lewinsky si era trovata a trasformare la Sala Ovale, il centro del potere, in un’alcova per giochi erotici. Così le scrissi una lettera dichiarando di essere pronto a girare un film con lei».
Accadde?
«Quando la incontrai a Roma, al Caffè Rosati in Piazza del Popolo, mi colpì il suo aspetto: un bel viso e lunghi capelli bruni. Ma, man mano che parlavamo, compresi la sua fragilità e insicurezza. Era evidente che si trovava coinvolta in una situazione molto più grande di lei, e questo mi portò a riconsiderare la mia proposta».
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