Han Kang, scrittrice sudcoreana del 1970, nota per La vegetariana, pubblicato in Italia da Adelphi nel 2019, ha vinto il premio Nobel per la letteratura. È la prima scrittrice del suo Paese a ricevere questo importante riconoscimento. Che è in qualche modo anche il riconoscimento finale all’impatto che la cultura coreana ha sull’immaginario occidentale e globale. Mats Malm, segretario permanente dell'Accademia svedese, che organizza il premio, ha ora dichiarato in una conferenza stampa a Stoccolma che la scrittrice riceve il Nobel «per la sua intensa prosa poetica che affronta i traumi storici ed espone la fragilità della vita umana».

La vegetariana, pubblicato in Corea nel 2007, ha vinto l'International Booker Prize 2016 dopo essere stato tradotto in inglese. Nel romanzo  una casalinga depressa sconvolge la sua famiglia quando smette di mangiare carne; in seguito, si lascia morire di fame, pensando di potersi nutrire di luce solare. È un libro sensuale, provocante e violento, carico di immagini potenti e simboliche, colori sbalorditivi e domande disturbanti.

Korean wave

L'impatto della cultura sudcoreana su quella occidentale, "Korean wave", è stato massiccio e si è diffuso rapidamente negli ultimi decenni. Questo fenomeno include la musica K-pop, il cinema, – che ha avuto un grande successo, culminato con la vittoria di Parasite agli Oscar nel 2020, che ha portato alla ribalta il regista Bong Joon-ho e l'intera industria cinematografica del paese –  i K-drama (serie televisive coreane) come Squid Game, che hanno conquistato piattaforme di streaming globali come Netflix, diffondendo temi coreani in Occidente e influenzando varie sfere della cultura pop occidentale, anche nella moda e nella cosmetica.

L’ora di greco

L’ora di greco, del 2011, è il suo ultimo romanzo,  tradotto da Adelphi l’anno scorso.

In una Seul rovente e febbrile, una don­na vestita di nero cerca di recuperare la parola che ha perso in seguito a una serie di traumi. Le era già successo una prima volta, da adolescente, e allora era stato l’in­solito suono di una parola francese a scar­dinare il silenzio. Ora, di fronte al riaffio­rare di quel mutismo, si aggrappa alla ra­dicale estraneità del greco di Platone nel­la speranza di riappropriarsi della sua vo­ce. Nell’aula semideserta di un’accademia privata, il suo silenzio incontra lo sguardo velato dell’insegnante di greco, che sta per­dendo la vista e che, emigrato in Germa­nia da ragazzo e tornato a Seoul da qualche anno, sembra occupare uno spazio limina­le fra le due lingue. Tra di loro nasce un’in­timità intessuta di penombra e di perdi­ta, grazie alla quale la donna riuscirà for­se a ritornare in contatto con il mondo. Scritto dopo La vegetariana e definito dalla stessa autrice «quasi un suo lieto fine», L’ora di greco si insinua − avvolto in un bozzolo di apparente semplicità − nella mente del lettore, come un «assurdo indimostra­bile», una voce limpida e familiare che ar­riva da un altro pianeta.

Atti umani

Nel romanzo Atti umani, Adelphi 2017, racconta la pagina più cruenta del recente passato coreani.

Una palestra comunale, decine di cadaveri che saturano l’aria di un «orribile tanfo putrido». Siamo a Gwangju, in Corea del Sud, nel maggio 1980: dopo il colpo di Stato di Chun Doo-hwan, in tutto il paese vige la legge marziale. Quando i militari hanno aperto il fuoco su un corteo di protesta, è iniziata l’insurrezione, seguita da brutali rappresaglie; Atti umani è il coro polifonico dei vivi e dei morti di una carneficina mai veramente narrata in Occidente.

«È come se con la punta estrema, con la parte più sottile e più affilata del suo talento artistico, giungesse a sfiorare una riserva di inesprimibile che sembra appartenere, più che al romanzo, alla sfera della poesia, della meditazione filosofica, dell’intuizione mistica ... L’umano, che Han Kang insegue con la sua prosa implacabile, a colpi di dettagli illuminanti, ci si squaderna davanti in tutto il suo inestricabile groviglio di orrore, eroismo, paura, dignità», ha scritto Emanuele Trevi.

Linguaggio

Il linguaggio di Han Kang è spesso lirico e pieno di simbolismo, con una tendenza a concentrarsi su dettagli viscerali e immagini che evocano il rapporto tra il corpo e l'ambiente. La sua scrittura, che può sembrare minimalista e allo stesso tempo profondamente emozionale, si contrappone all'uso della violenza e della brutalità come temi centrali. Questo contrasto tra forma e contenuto crea una tensione che coinvolge emotivamente il lettore.

Han Kang rappresenta un ponte tra la letteratura sudcoreana e il pubblico internazionale. Il suo lavoro riflette il cambiamento che la Corea del Sud ha vissuto nel corso dei decenni, dalla dittatura alla democratizzazione, dall'isolamento alla globalizzazione. Allo stesso tempo, affronta temi universali come il dolore, la perdita e l'alienazione, che hanno trovato una forte eco anche tra i lettori occidentali. Han Kang è una scrittrice che utilizza la narrativa per esplorare i limiti dell'identità, del corpo e dell'esperienza umana, creando un dialogo tra la tradizione coreana e le preoccupazioni globali.

Il suo successo internazionale ha consolidato il ruolo della Corea del Sud come fonte di cultura letteraria e intellettuale, mentre le sue opere continuano a interrogare i lettori su temi di importanza fondamentale per la nostra epoca. La sua narrativa è caratterizzata da una profonda riflessione su temi esistenziali e dalla rappresentazione di conflitti interiori e sociali, spesso esplorati attraverso la lente di esperienze individuali intense e talvolta disturbanti.

 

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