- La Treccani ha deciso di eliminare il presunto, vituperatissimo maschiocentrismo dei dizionari e dare al femminile (e alle donne) il posto che gli spetta
- Per ogni voce che possa avere una forma maschile e una femminile, il lemma è dato nelle due forme, prima al femminile e poi al maschile, con una virgola di mezzo
- Ma questa decisione è scivolosa e tecnicamente discutibile. I e le glottoradicali saranno contenti; i lettori e le lettrici comuni un po’ meno; gli studenti molto meno; gli specialisti per niente
Si pensa di solito che, nel mondo dell’educazione e della cultura, l’ideologia si manifesti soltanto in tema di politica, storia e filosofia e magari di biologia (dove si può manifestare negando o ignorando l’evoluzione). Nessuno immaginerebbe che possa infiltrarsi anche nei dizionari. Invece ce n’è anche lì, e si esprime in due modi: nella scelta delle voci da includere o escludere (il “lemmario”) e nel modo di definirle. Con questi due attrezzi apparentemente innocui si può spacciare tutta l’ideologia che si vuole.
Le censure
I dizionari della mia adolescenza, per esempio, instillavano silenziosamente una lingua pulita e composta: nello Zingarelli cercavamo invano le “parole sporche”, che a casa era proibito finanche pronunciare, come culo, stronzo e simili. Oggi suonano candide e quasi toccanti, ma si dovette aspettare l’edizione del 1971 perché quelle censure finissero. (Culo e stronzo sono peraltro ancora oggi testardamente rifiutati dal mio correttore T9).
A un livello più evoluto, fino a una trentina di anni fa in un celebre dizionario del cui nome non voglio ricordarmi (perché il brand esiste ancora) la definizione della voce donna iniziava sfrontatamente con le parole: «Femmina dell’uomo». Ci vollero ripetute revisioni prima che quello sproposito fosse eliminato.
Maschiocentrismo presunto
Animata da un intento analogo, nella nuova edizione del Dizionario dell’italiano monovolume pubblicata qualche giorno fa, la Treccani ha deciso di eliminare il presunto, vituperatissimo maschiocentrismo dei dizionari e dare al femminile (e alle donne) il posto che gli spetta. E come si elimina il maschiocentrismo? Per ogni voce (nome o aggettivo) che possa avere una forma maschile e una femminile, il lemma (cioè la parola in neretto che determina l’ordine alfabetico) è dato nelle due forme, prima al femminile e poi al maschile, con una virgola di mezzo.
Quindi, invece dell’usuale bambino, si troverà bambina, bambino e per tutto lo sviluppo della voce si avranno formulazioni ed esempi che usano i due nomi in sequenza. Allo stesso modo, per gli aggettivi, non troverete bello, ma bella, bello. Questo metodo è applicato anche a costo di tirare un po’ le parole per i capelli. La voce bambolotta, bambolotto inventa un femminile che nel mio italiano non esiste se non come possibilità remota; meccanica, meccanico crea una professione in cui non mi è mai capitato di incontrare una donna; medica, medico spinge a credere che quel nome sia usuale anche al femminile, e così via per migliaia di voci, di esempi e di definizioni.
Esultazione glottoradicale
Inutile dire che questa trovata è stata presentata dai responsabili come una rivoluzione e salutata da tutta l’ala glottoradicale del Politicamente Corretto con esultanti ovazioni. La stessa Treccani ha dichiarato, esagerando un pochino, che questa operazione punta a «validare (?) e dare dignità a una nuova visione della società».
Sul compassato Corriere della Sera del 19 settembre Elvira Serra, in un editoriale, dichiara senza fare una piega che «la nostra lingua resta la più bella e completa del mondo proprio perché ha saputo adeguarsi, crescere, e decidere, per esempio, che declinare solo al maschile le parole era una convenzione storica superata dai fatti, dalla vita, da un’astronauta italiana che comanda la Stazione spaziale internazionale».
Il ragionamento, sintatticamente un po’ traballante e piuttosto scombinato (sfugge come possa un’astronauta superare una convenzione linguistica), è un buon esempio del tono di festa rivoluzionaria. All’inverso, dalla destra (quando uno è reazionario lo è in tutto), sono piovute contro questa linea battute anche becere e volgari, a partire da crassi giochi di parole sul nome Treccani.
Forme primarie
A parte le esultanze e le battutacce, per me, linguista di antica data e autore di mezza decina di dizionari, la vera questione è la seguente: la scelta di sdoppiare i nomi e gli aggettivi anche in casi piuttosto acrobatici è sensata oppure no? Ovviamente non discuto opinioni toccanti ma vuote come «la nostra è la lingua più bella e più completa del mondo»; propongo invece qualche rilievo di dettaglio, giusto per evitare che la gente si confonda.
Nelle lingue che hanno più generi (che sul pianeta non sono poi molte), questi si sono formati in due modi diversi. Da una parte, attraverso percorsi separati: così in latino pater e mater, frater e soror; in inglese brother e sister; in francese singe “scimmia maschio” e guenon “scimmia femmina” ecc. Dall’altra parte, uno dei due è stato ottenuto a partire dall’altro per derivazione. In questo caso si assume che il genere storicamente primario (che tecnicamente diciamo “di default”) sia il maschile, così come che il caso primario è il nominativo. “Primario” allude al fatto che è da quella forma che sono state ottenute, attraverso processi morfologici diversi, le altre, a cominciare dal femminile.
Un esempio palmare di ciò son le coppie italiane come leone – el, campione – campionessa: il nome femminile deriva dal maschile incollando alla radice il suffisso -essa. Lo stesso accade in francese (lion – lionne “leone – leonessa”; blanc – blanche “bianco – bianca”); in spagnolo (doctor – doctora) e in tantissimi casi in altre lingue. Potremmo anche azzardarci a sostenere che bambino e bambina sono nati allo stesso momento, ma con leone – leonessa o lion – lionne ciò non è assolutamente possibile. A un livello di lingua più colloquiale, si usa oggi comunemente il nome stronza per riferirsi spregiativamente a una donna; ma non è possibile sostenere che questa forma sia nata allo stesso momento di quella maschile. Semplicemente, a forza di uso, dal maschile (usato come qualificativo spregiativo di un uomo) è sorto stronza, per non togliere a nessuno la possibilità di appellare così qualche essere umano donna.
La stessa cosa accade per ceffa, femminile di ceffo usato per alludere all’aria truce o sinistra di una persona. Nel maschile di ceffo si è vista probabilmente una limitata allusione a un uomo; avendo anche le donne, a volte, aria truce o sinistra, un femminile occorreva, e con l’uso lo si è creato.
Queste precisazioni servono a dire che la creazione di voci con doppia forma (tipo medica, medico) è storicamente immotivata, fatto non irrilevante dato che i dizionari sono tenuti a incorporare la trama storico-evolutiva non solo dei significati ma anche delle forme. Inoltre, come ho già osservato, alcuni femminili sono tirati per i capelli, perché l’uso comune non li contiene. Continuando di questo passo, sarà inevitabile dare a balena un maschile come baleno? E che si farà con belga, che distingue maschile e femminile solo al plurale?
Forme di citazione
Voglio concludere menzionando una ragione più sottile. Nelle lingue con flessioni (come l’italiano) ogni voce ha più di una forma: i nomi hanno maschile e femminile, singolare e plurale; i verbi hanno decine e decine di forme (si è calcolato che in italiano queste forme siano una novantina). In questa foresta di forme, per antica tradizione i dizionari ne scelgono solo una (chiamata nel nostro gergo “forma di citazione”) che usano come lemma.
Tutti sanno che nel dizionario i verbi greci si presentano come prima persona dell’indicativo presente, mentre i verbi italiani come infinito. Nei dizionari arabi, la forma di citazione è la pura radice di tre consonanti. Alla stessa maniera, la forma di citazione usuale dei nomi italiani (e di moltissime altre lingue) è il maschile (salvo i nomi solo femminili).
Stando così le cose, moltiplicare le forme di citazione è uno svarione tecnico (che per giunta produce, a forza di ripetizioni, un notevole aumento di pagine). Ancora più insensato mi pare creare voci doppie per gli aggettivi. Questi, salvo pochissimi (come incinta), sono, per così dire, asessuati: etichette generiche, prendono un genere effettivo solo quando si combinano con un nome. Ciò si vede soprattutto quando sono aggettivi che non descrivono nulla: davvero si pensa che scrivendo questa, questo o sua, suo si contribuisca alla causa delle donne?
Incantata dallo Zeitgeist la Treccani ha fatto un passo scivoloso e tecnicamente discutibile. I e le glottoradicali saranno contenti; i lettori e le lettrici comuni un po’ meno; gli studenti molto meno; gli specialisti per niente. Dobbiamo aspettarci che al prossimo passo si metteranno a lemma parole che finiscono in ə?
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