Il 3 maggio del 2016 un incendio boschivo irruppe nella cittadina di Fort McMurray, nel bel mezzo del Canada. Quel giorno la temperatura superava di dodici gradi la media stagionale: faceva un gran caldo. Di incendi in primavera ce n’erano sempre stati, anche se questo era arrivato prima del solito. Di solito, poi, erano domabili: la guardia forestale sapeva come affrontarli e nessuno si preoccupava troppo di un pennacchio di fumo all’orizzonte.

Soprattutto, di solito, restavano nella foresta. Per questo, quando già da diverse ore avrebbe dovuto essere chiaro a tutti che quell’incendio (cominciato il giorno prima e inizialmente non dissimile da molti altri) si sarebbe invece rivelato di tutt’altra pasta e tutt’altra potenza, il capo dei vigili del fuoco invitato a una trasmissione radio assicurava gli ascoltatori affermando che era tutto sotto controllo.

Si sbagliava di grosso. Solo poche ore più tardi il fuoco divorava diversi quartieri ed entro sera tutti gli 88mila abitanti della cittadina sarebbero stati evacuati. Nonostante l’enorme ritardo con cui si comprese la gravità della situazione, non ci furono vittime, ma molti quartieri della città andarono distrutti. L’incendio arse per un mese, molti impianti di estrazione di bitume dovettero fermarsi per la prima volta dal 1978, il settore e la città stessa non si ripresero mai del tutto.

Un classico corale

Scene dell'incendio a Fort McMurray, Alberta, Canada (foto EPA)

L’età del fuoco del canadese John Vaillant, uscito di recente per la collana I Corvi di Iperborea, ha la maestosità di un classico. Lo si può leggere come un grande romanzo, pur essendo piuttosto un’inchiesta giornalistica permeata di saggistica. È la storia dell’incendio di Fort McMurrey e il protagonista principale è l’incendio stesso: la sua storia, le condizioni in cui si è formato, la sua fame, le sue tattiche. Ma è un romanzo corale, e la narrazione dei primi tre o quattro giorni di vita dell’incendio avviene soprattutto attraverso vari personaggi fra forestali, vigili del fuoco, conduttori radiofonici e altri abitanti di Fort McMurrey.

Attorno a questa storia s’intrecciano racconti e digressioni su tutte le forme del fuoco, dal petrolio ai tessuti sintetici, e sui legami di quella zona del Canada, lo stato dell’Alberta, con il fuoco stesso: l’industria del bitume e gli incendi. Attorno al bitume («una sorta di cugino andato a male del petrolio», particolarmente energivoro) vivono ed esistono sia la cittadina di Fort McMurrey sia la cultura della comunità, fatta di troppe auto per famiglia, e case moderne piene zeppe di plastica e materiali infiammabili. È «un’isola industriale in un oceano di foresta». Vi si coltiva una «devozione patriottica all’industria del petrolio» e una «mitologia locale fatta di bestiame, cavalli, cowboy», bistecche e motore a scoppio.

Ascesa e declino 

Se lo scrittore indiano Amitav Gosh – che nel 2017 nel libro La grande cecità “accusava” il romanzo contemporaneo di non essere in grado di interpretare il presente (e dunque la crisi climatica) – leggesse L’età del fuoco, sarebbe probabilmente soddisfatto.

Si parla di un incendio, il fuoco è esso stesso un personaggio quasi con una sua propria agency, e condivide il posto di protagonista con i vari personaggi umani. Non c’è, fra gli umani, un unico eroe, ma tanti atti di coraggio e altrettanti errori sparsi fra molte braccia e molte teste. Questa coralità, questo decentramento, fa parte del tipo di romanzo “nuovo” che Gosh auspicava.

Attraverso la lente di Fort McMurrey, Vaillant interpreta a fondo il presente: «Quel settore [quello del petrolio e più in particolare del bitume] e questo incendio sono l’espressione ingigantita di due tendenze he da un secolo e mezzo vanno a braccetto. Insieme, incarnano la vertiginosa sinergia tra la corsa allo sfruttamento a tutti i costi degli idrocarburi e il proporzionale aumento dei gas serra che intrappolano calore e alterano l’atmosfera», permettendo fra l’altro incendi “oversize” come quello di Fort McFurrey nel 2016.

Un po’ come I Buddenbrook di Thomas Mann raccontava l’ascesa e il declino della borghesia tedesca del XIX secolo attraverso la storia di una sola famiglia, L’età del fuoco racconta l’ascesa e il declino del “petrocene” (così Vaillant chiama la nostra epoca) attraverso un solo incendio e un solo angolo di mondo.

Ripercorre la storia del bitume da quando si cominciò a utilizzare seimila anni fa, ricostruisce le vicissitudini dell’industria canadese da quando si fondava sulle pelli di castoro (poi terminò la materia prima, nel senso che finirono i castori) fino all’inaugurazione della Syncrude nel dicembre del 1964: chi c’era quel giorno, chi aveva avuto le idee, chi le realizzò. E ancora, le circostanze che un paio di secoli fa portarono a scoprire la presenza di vari gas in atmosfera, di come potevano deteriorarsi, e non molto più tardi dei pericoli che in questo senso accompagnavano la combustione di carbone e petrolio.

A tutto tondo 

Scene dell'incendio a Fort McMurray, Alberta, Canada (foto EPA)

Poi gli avvertimenti degli scienziati negli anni Cinquanta, Sessanta, Settanta. Le ricerche interne alle compagnie petrolifere, e infine l’operazione di silenziamento e negazionismo operato da queste stesse compagnie. Una storia a tutto tondo del mondo moderno attraverso un’unica vicenda, durata pochi giorni, in una zona remota del Canada, che prende le sembianze di un incendio famelico e risuona in questi giorni fra i roghi dei Balcani e l’incendio che ha invaso Monte Mario e Prati a Roma.

Infine, c’è l'incredulità che paralizza le autorità quasi fino all'ultimo davanti all’evidenza di un evento diverso da tutti gli incendi che si siano mai visti da quelle parti: sembra impossibile convincersi che il fuoco stia davvero entrando in città.

È un’incredulità pericolosa, che diminuisce e ritarda di molto le contromisure. «Per quanto lascino perplessi, gli errori di valutazione come questi non sono rari, anzi: è una storia vecchia come l’uomo (…), la difficoltà dell’essere umano di immaginare e riconoscere fenomeni che esulano dalla sua esperienza personale» spiega l’autore citando a sua volta Lucrezio. Il miglior vigile del fuoco stenta a riconoscere la gravità di questo incendio perché non ha mai visto nulla di simile. Non sa che può esistere.

L’incredulità 

Ecco, questa incredulità ricorda molto quella, più grande e profonda ancora, che frena reazioni adeguate alla crisi climatica, nonostante sia già in città e stia già bruciando interi quartieri (o allagando intere regioni, mutando il corso delle stagioni). Una sorta di intima cecità che appartiene a ciascuno, ma anche a tutti, e quando appartiene a tutti può fare danni enormi.

Quell’incendio, altrimenti inimmaginabile, è reso possibile dal riscaldamento globale, che deriva dall’eccessiva concentrazione di CO2, causata a sua volta dallo spasmodico bisogno di fuoco (in forma di petrolio, plastica, motori a scoppio, bitume) che caratterizza il petrocene.

Tout se tient: ed è questo – il fatto che tutto si tiene, tutto è collegato e ogni cosa ha un passato e un futuro, delle cause e delle conseguenze – il nocciolo stesso del presente, della sua comprensione e di questo libro.


L’età del fuoco. Una storia vera da un mondo sempre più caldo (Iperborea 2024, pp. 528, euro 22) è un libro di John Vaillant. 

© Riproduzione riservata